LUCA  2, 1-7

 

 

 

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Con questa domenica è iniziato l'Avvento e la liturgia propone alla nostra riflessione il vangelo di Luca.

 

 

Una breve parola su Luca e la sua opera

 

 

Chi è mai questo Luca? Diciamo subito che non è certo della Palestina, in quanto non ne conosce la geografia. Un primo esempio lo abbiamo proprio nel nostro racconto, che mediteremo questa sera. Non sembra essere medico, dato che si mostra molto impreciso quando parla di ammalati e di malattie. Non sembra essere neppure quel Luca che accompagna Paolo nei suoi viaggi, considerata la diversità di pensiero tra i due e le imprecisioni tra i suoi racconti negli Atti degli Apostoli e le lettere di Paolo, quando queste parlano degli stessi avvenimenti.

 

Chi è, dunque, questo Luca? Luca sembra essere un cristiano proveniente dal paganesimo, verso il cui mondo si mostra molto sensibile.

 

L'opera che Luca ha scritto (Vangelo e Atti degli Apostoli) forma un corpo unico, che soltanto nel II secolo verrà divisa, ma che non lo era certamente nella mente del suo autore. Il suo intento era quello di presentare la predicazione e l'opera di Gesù che si prolungano in quelle della Chiesa. La Chiesa, dunque, percepita quale prolungamento di Cristo nella storia.

 

Il Vangelo sembra essere stato scritto tra l' 85-90, ma non si sa dove; certamente non in Palestina, visto che non ne conosce la geografia. Non mancano tuttavia delle ipotesi.

 

Quanto ai destinatari dell'opera di Luca (Vangelo + Atti), questi sono cristiani provenienti dal paganesimo e, probabilmente, appartenenti alle comunità paoline, considerata la rilevanza che Luca dà alla figura di Paolo nel racconto degli Atti. Che siano cristiani provenienti dal mondo del paganesimo, lo si può capire dal fatto che Luca nella sua opera non usa mai espressioni che in qualche modo possano offendere i pagani, li vede, anzi, con occhio benevolo e destinatari dell'opera salvifica di Gesù.

 

Infatti, il problema che si ponevano queste comunità cristiane provenienti dal paganesimo era il seguente: quale posto veniva loro riservato nell'ambito della storia della salvezza, visto che loro non hanno mai partecipato alla religione giudaica e non vi appartenevano come popolo? Luca nella sua opera (Vangelo + Atti) risponderà che la storia della salvezza, pensata da Dio e attuata in Cristo, ha un respiro di tipo universale, cioè abbraccia tutti gli uomini indistintamente, e supera, quindi, il ristretto ed angusto orizzonte del Giudaismo. Il vero Israele, per Luca, sono coloro che aprendosi all'annuncio di Cristo, lo accolgono nella loro vita.

 

La chiave di lettura dell'opera di Luca, pertanto, è la storia della salvezza, cioè l'agire di Dio nella storia degli uomini, che si attua in Cristo (vangelo) e si prolunga nella Chiesa (Atti).

 

Il testo di Luca 2, 1-7

 

 

[1]In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra.

[2]Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio.

[3]Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città.

[4]Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme,

[5]per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta.

[6]Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.

[7]Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.

 

 

Introduzione

 

 

Il brano che meditiamo può essere diviso in due parti: il quadro storico entro cui avverrà la nascita di Gesù (vv.1-5); e la nascita di Gesù (vv. 6-7). E qui va fatta una precisazione.

 

Luca fin dall'inizio del suo vangelo si dichiara uno storico attendibile che vuole fare "ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne ... un resoconto ordinato ..." (Lc.1,3). Quindi, ci attendiamo tutti che quanto qui Luca ha scritto sia storicamente vero. Vedremo, invece, come i problemi, proprio da un punto di vista storico, siano notevoli. Ciò non deve stupirci, poiché lo storico dell'epoca ragiona in termini completamente diversi, anzi, per certi aspetti opposti ai nostri. Noi abbiamo un concetto scientifico e positivistico di storia. Per noi la storia è una sequenza documentata di fatti storicamente ben contestuati. Per lo storico dell'epoca la storia sono soltanto degli avvenimenti da raccontare.

 

Quale differenza tra fatti e avvenimenti? Quale differenza, poi, tra storia documentata e storia raccontata?

 

Il fatto dice soltanto l'accadere di una cosa, mentre l'avvenimento è l'interpretazione del fatto stesso. L’interesse, quindi, si sposta dalla forma (il fatto) al contenuto (l’avvenimento)

 

Quanto alla differenza tra raccontare e documentare, potremmo dire che il documentare è un esporre i fatti così come si sono riscontrati oggettivamente nella storia. Qui l'importante è il fatto, non il suo significato e il suo contenuto. Il raccontare, invece, è un esporre degli avvenimenti. Per cui il raccontare non si cura dell'oggettività del fatto in sé e per sé e della logica in cui si colloca nella storia, ma si preoccupa che il suo significato venga compreso. Per cui il raccontare può anche essere in contraddizione con la storia, oggettivamente compresa, poiché il suo intento è rispettare e mettere in evidenza il contenuto, il senso e il valore della storia stessa.

 

Gli evangelisti, e Luca nel nostro caso, si muovono secondo le logiche del raccontare gli avvenimenti. La loro preoccupazione non è quella di documentarci storicamente la figura di Gesù, ma di spiegarcene il senso, cioè la comprensione che loro ne hanno avuta, perché è proprio sul senso che si basa la fede.

 

 

Il Commento

 

 

Avvenne che ... questo verbo, presente nel testo greco, non appare nella traduzione italiana, forse per rendere più scorrevole la frase; ma esso è importante da un punto di vista teologico, perché dice che quanto "avviene" ha a che fare con il piano di Dio che si realizza nella storia. Questo "avvenne", quindi, dice l'intervento di Dio nella storia. Non dimentichiamo mai che per Luca la storia della salvezza è l'incrociarsi dell'agire di Dio con quello dell'uomo.

 

... in quei giorni ... : di quali giorni parla Luca? Di certo non fa riferimento ai giorni intesi come li intendiamo noi. Forse qui Luca ha in mente la profezia di Geremia, un profeta vissuto tra il 650 e il 580 circa a.C. : "Ecco, verranno giorni ... nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; ... in quei giorni Giuda sarà salvato ..." .(Ger 33,14-15). Qui Geremia parla di un salvatore che nascerà dalla casa di Davide.

 

Luca, pertanto, vede nella nascita di Gesù il realizzarsi di questa profezia che si sta attuando proprio in "quei giorni". "Quei giorni", dunque, fanno riferimento ad un piano di Dio che si sta attuando nella storia. Sono i giorni della storia della salvezza, in cui gli avvenimenti degli uomini (censimento) si incrociano con quelli di Dio (nascita di Gesù).

 

Cesare Augusto ordinò ... : Cesare Augusto fu imperatore dal 29 a.C. fino al 14 d.C. Egli fece due censimenti avvenuti nel 29 e 7 a.C. finalizzati a rilevare i cittadini romani, ma non ci sono notizie di un censimento in Pelestina intorno al 7 o 6 a.C., epoca questa in cui è nato Gesù e a cui fa riferimento Luca.

 

Questo primo censimento fu fatto ...: Luca vuole ulteriormente precisare il quadro storico in cui è avvenuto questo censimento, al cui interno è accaduto l'evento della nascita di Gesù. Egli afferma che questo censimento è avvenuto quando era governatore della Siria Quirino. Sennonché questa precisazione fa sballare tutto il quadro storico, poiché Quirino fu si governatore della Siria, ma soltanto a partire dal 6 o 7 d.C., cioè circa dieci anni dopo la nascita di Gesù. Come si vede, volendo seguire le cose da un punto di vista storico, queste si complicano enormemente e rimangono senza risposta.

 

Andando tutti a farsi registrare nella sua città (è la città natale, di provenienza): questo obbligo non esisteva per i censimenti imposti da Roma. Perché mai, dunque, doveva valere per la Palestina, piccola provincia romana, sempre che ci sia stato qui un censimento. Questo gran movimento di persone, poi, sarebbe stato pericoloso per l'ordine pubblico: poteva essere l'occasione per lo scoppio di qualche sommossa.

 

Insomma, a ben guardare, è difficile far coincidere i dati storici che Luca ci fornisce con la storia come realmente si è svolta.

 

Non va mai dimenticato che qui Luca "racconta" e la sua preoccupazione non è la precisione storica, ma quella teologica, cioè quella del realizzarsi del piano di Dio nella storia. Per cui Luca qui sembra usare dei fatti storici accaduti in epoche diverse o forse mai accaduti, come per il censimento in Palestina, per dirci la sua verità, cioè quello che lui ha capito della nascita di Gesù.

 

L'intento di Luca, dunque, non è datare la nascita di Gesù, ma far vedere come questa nascita si inserisce nella storia universale dell'umanità. Luca, quindi, fa un parallelo tra un evento universale che ha avuto una grande risonanza nell'intero mondo allora conosciuto (il censimento), con la nascita di Gesù. Quasi a dire che anche la nascita di Gesù, inserita in questo evento universale, ha una valenza e una risonanza universale, cioè valida per l'intera umanità.

 

Luca, quindi, tiene a legare la storia di Gesù con quella degli uomini. Egli fa qui un ulteriore ed implicito parallelo tra la figura di Augusto, che regnava su quasi tutto il mondo allora conosciuto e sul quale garantiva la pace, con la figura di Cristo che è il vero Augusto, destinato a regnare su tutto il mondo a cui darà la vera pace.

 

Come si vede, a questo punto, i fatti della storia contano ben poco, poiché essi sono semplici strumenti usati da Luca per farci capire la realtà e il significato teologico della nascita di Gesù.

 

Anche Giuseppe che era ...: se si legge attentamente, vediamo come Luca insista molto sulle origini di Giuseppe, definito come appartenente alla "casa e alla famiglia di David". Ora, le cose incominciano a chiarirsi. Betlemme è considerato il luogo in cui è nato Davide; pertanto, Giuseppe deve recarsi a Betlemme dove, guarda caso, nasce Gesù. Si realizza così la profezia di Michea, profeta tra il 750 e il 697 a.C., "E tu Betlemme di Efrata ... da te uscirà per me colui che deve essere il capo di Israele ..." (Mi 5,2). Ecco che allora si capisce il senso di un censimento, che forse non c'è mai stato in Palestina: esso doveva servire a spingere Giuseppe e Maria a recarsi da Nazaret, in Galilea, dove abitavano, a Betlemme, in Giudea.

 

Si noti, poi, che Betlemme ha visto nascere Davide, il re a cui il profeta Natan aveva promesso una discendenza e un casato eterno. Luca si ricorda anche di questa profezia, che vede realizzarsi in Gesù, visto come il vero discendente di Davide, anzi quasi un nuovo Davide, che garantisce stabilità e pace su Israele per sempre.

 

Vediamo, dunque, come con lo stratagemma di fatti storici rimescolati storicamente in modo confuso ed equivoco, Luca incomincia a tessere la figura di Gesù: egli è colui di cui i profeti hanno parlato, lui è la vera discendenza di Davide, lui è il vero Signore del mondo a cui dona una pace stabile per sempre.

 

Ora avvenne che ... anche qui il verbo greco è stato saltato in italiano, trascurando così tutta la sua densità teologica. Ciò che accade qui è il realizzarsi del disegno di Dio nella storia. Si noti tutta la concretezza con cui Luca dice queste cose: "mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto". L'evento della nascita di Gesù viene descritto in modo molto sobrio ed essenziale. Si parla di "in quel luogo" per dire che l'azione di Dio si colloca nella storia in modo puntuale e preciso; si tratta di un'azione ben concreta e storicamente rilevabile. La nascita di Gesù, vista come l'agire di Dio nella storia, non è, quindi una metafora o un'allegoria, ma una realtà ben concreta. Gesù non è più un semplice annuncio profetico, ma l'attuarsi storico di questo annuncio.

 

Quanto a quel "si compirono" dice il compiersi del disegno di Dio qui nella storia. Paolo ricorderà questo evento con la durezza del suo linguaggio, che abbiamo visto la volta scorsa: "Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo figlio, nato da donna, nato sotto la legge ..." (Gal 4,4).

 

Diede alla luce il suo figlio primogenito: qui Gesù è chiamato primogenito. Questo "primogenito" non sta a significare che poi Maria ha avuto necessariamente anche un "secondogenito" (i vangeli e altre fonti non ne parlano). Luca sottolinea la primogenitura di Gesù per dire che Gesù gode dei diritti della primogenitura, cioè la sua consacrazione speciale a Dio.

 

Lo depose in una mangiatoia: questa mangiatoia fa supporre che Gesù sia nato in una stalla o in una grotta adibita a stalla. Tutto ciò ha smosso le fantasie della pietà cristiana lungo i secoli, che vuole Gesù come nato povero in una stalla al freddo, riscaldato soltanto da un bue e da un asino. Si dice, inoltre, che "per loro non c'era posto in albergo". Questo ha fatto pensare a un Gesù rifiutato da tutti.

 

Credo che il tutto vada ridimensionato alla realtà dei fatti.

 

Innanzitutto va fatto un appunto su quel "albergo". Luca usa un termine (katalimati) che nel suo vangelo non significa albergo, ma semplicemente stanza. E', infatti, improbabile che il piccolo villaggio di Betlemme avesse un albergo.

 

Per poter capire bene perché Gesù è stato deposto in una mangiatoia, dobbiamo rifarci a com'era la casa in Palestina ai tempi di Gesù: un grande cubo, fatto di fango e paglia, in genere con una sola apertura (la porta d'entrata). All'interno c'era un'unica stanza divisa da uno steccato: da una parte dormivano gli uomini, dall'altra gli animali domestici. Uomini e animali, quindi, condividevano la stessa abitazione e lo stesso tetto. Il pavimento, poi, era in terra battuta.

 

Probabilmente, la parte della stanza in cui dimoravano i proprietari della casa non era sufficientemente capiente anche per Giuseppe e Maria, per cui è stato ritagliato per loro un posto nel settore riservato agli animali domestici, che, comunque, convivevano in casa con gli uomini. Questo spiega perché Gesù venne depositato in una mangiatoia.

 

Gesù, dunque, è nato dove tutti i bambini dell'epoca nascevano: in una normalissima casa palestinese. E probabilmente non fu neppure il primo ad essere deposto in una mangiatoia, che altro non era, in genere, che una cesta riempita di paglia o fieno per gli animali e che poteva fungere, all'occorrenza, anche da culla.

 

Fatte le debite proporzioni, se Gesù nascesse oggi, nascerebbe in maternità e vivrebbe in un normale condominio. Egli, nascendo, infatti, non ha voluto strafare, ma soltanto fare quello che gli uomini normali fanno normalmente tutti i giorni.

 

Quanto all'asino e al bue, che adornano i nostri presepi, i vangeli non ne parlano. Essi sono stati introdotti nel corso del II sec. da un certo Giustino, un filosofo apologeta del II sec., forse per accostare la nascita di Gesù, di fronte a cui Israele si è ostinatamente chiuso, al rimprovero che Isaia rivolge al popolo : "Il bue conosce il proprietario e l'asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende" (Is 1,3).

 

Quanto al fatto che Gesù sia nato d'inverno, non ci è dato di sapere in quale stagione egli è nato. Il mese di dicembre, quale tempo della nascita, è sorto intorno al IV sec. per combattere una festività pagana: quella del "Solis invicti" (Sole invincibile), che festeggiava il solstizio d'inverno.