LA NECESSITà  DELLA  CONVERSIONE

 

Luca 13, 1-9

 

 

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Premessa

 

 

Il passo che ci viene proposto dalla liturgia della terza domenica di quaresima è posto in stretta correlazione ai versetti 12,54-59, che lo precedono e il cui tema di fondo è quello di imparare a leggere i segni dei tempi. Gesù, infatti, si lamenta con le folle: "Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?" (Lc 12,56).

 

Il tempo che la gente non sa giudicare è quello della presenza di Gesù in mezzo a loro. Il termine greco per definire qui la parola "tempo" è "kairos", che indica un tempo particolare e nel Nuovo Testamento richiama il tempo di Dio. Con Gesù, quindi, è incominciato il tempo di Dio in mezzo agli uomini, nella cui storia Egli coabita con loro.

 

La presenza di Gesù è il segno chiaro e inequivocabile del ritorno di Dio in mezzo agli uomini. La sua parola e il suo operare è sotto gli occhi di tutti e spinge la gente a interrogarsi sulla sua presenza: "Non è il figlio di Giuseppe?" (Lc 4,22) e a stupire di fronte alla sua autorevolezza: "Rimanevano colpiti dal suo insegnamento, perché parlava con autorità" (Lc 4,32), e ancora: "Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti immondi ed essi se ne vanno?" (Lc 4,36).

 

La gente, dunque, si interroga e stupisce di fronte alla sua parola e al suo operare, ma non sa interpretare, non sa comprendere o meglio non vuole comprendere, perché questo avrebbe comportato per loro convertirsi e modificare radicalmente il proprio modo di pensare e di vivere; Gesù, infatti, li chiama "Ipocriti".

 

Con i versetti 12,57-59 Gesù invita questa gente, dura a capire e ribelle a Dio, ad approfittare della sua presenza, poiché è presenza di misericordia divina, che spinge tutti a regolare i propri conti con Dio, finché c'è ancora tempo. La presenza di Gesù, in questi versetti, è colta come una presenza che pesa come giudizio di condanna per coloro che non approfittano di Gesù, definito qui "il tuo avversario", perché è motivo di giudizio e di condanna per coloro che lo rifiutano: "Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada (questo lungo la strada dice il tempo della presenza di Gesù) procura di accordarti con lui perché non ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all'esecutore e questi ti getti in prigione".

 

Vediamo, dunque, come in questi versetti (Lc 12, 54-59) Gesù spinge la gente, da un lato, a cogliere il senso della sua presenza e della sua missione; dall'altro, ad accogliere la sua proposta, poiché la sua presenza è posta come segno di giudizio sull'uomo. In altre parole, di fronte a Gesù l'uomo è chiamato a prendere posizione e a dare la sua risposta a Dio, che lo interpella per mezzo di suo Figlio. L'unica risposta utile per l'uomo e tale da poterlo riscattare dalla sua condizione di morte è il convertirsi e credere alla sua Parola (Mc 1,15).

 

 

Il Testo

 

 

[1]In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici.

[2]Prendendo la parola, Gesù rispose: <<Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?

[3]No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

[4]O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?

[5]No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo>>.

[6]Disse anche questa parabola: <<Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò.

[7]Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?

[8]Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime

[9]e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai>>.

 

 

Il Commento

 

 

In quello stesso tempo si presentarono alcuni ... il testo greco dice: "In quel preciso momento vennero alcuni che riferirono circa dei Galilei, il cui sangue ...".

 

Con l'espressione "In quel preciso momento" Luca non solo si aggancia a quanto Gesù stava dicendo sopra, ma l'espressione "quel momento" (in greco kairos) richiama il tempo dell'attuarsi del giudizio divino. La scena che segue, infatti, mostra l'apparire improvviso e repentino di strani messaggeri, i quali annunciano l'accadere di una sventura (il verbo greco "apanghellontes" richiama proprio l'azione del messaggero che annuncia), quasi a confermare e dare consistenza alle dure parole di Gesù.

 

Il momento particolare in cui improvvisamente compaiono, i messaggeri, il loro annuncio e le modalità repentine della sua attuazione ci portano in un contesto di giudizio che si compie. Quanto segue, pertanto, va letto entro questa cornice.

 

... quei Galilei, il cui sangue Pilato ...  Luca ci riporta di seguito due episodi sconosciuti agli altri evangelisti e alle cronache del tempo in nostro possesso e di cui nulla sappiamo. Sono due fatti tra loro paralleli, la cui storicità sembra essere indiscutibile. Entrambi, poi, terminano con il duro e identico richiamo di Gesù: "... se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo". I fatti accaduti, pertanto, vengono presi da Gesù come segno del giudizio divino che si compie su chi non si apre a Dio. Vedremo, comunque, come Gesù non intende dire, qui, che ciò sia stato provocato da Dio per giustiziare dei peccatori; ma i fatti hanno assunto, in questa cornice di giudizio, un significato simbolico del giudizio divino imminente per coloro che, non volendo cogliere il momento opportuno (la presenza di Gesù), non si decidono per la conversione (l'imminenza ci viene data dall'apparire improvviso di messaggeri sconosciuti che annunciano la sventura, con cui si apre il brano).

 

A cosa alludono queste due sventure? La prima narra della violenta e cruenta repressione che il governatore Ponzio Pilato  aveva scatenato contro dei Giudei che, saliti al tempio, stavano sacrificando degli agnelli, così che il sangue di questi animali sacrificati si mescolò a quello dei Giudei giustiziati da Pilato, forse perché ritenuti degli sovversivi.

 

Diversi studiosi ritengono, tuttavia, che Luca qui abbia confuso questo episodio, di cui non abbiamo notizia, con un altro simile: il massacro di samaritani, compiuto dai romani e avvenuto sul monte Garizim nel 35 d.C., mentre questi samaritani facevano un sacrificio.

 

Comunque episodi di questo genere non erano fatti eccezionali all'epoca. Infatti, in quel tempo la Palestina era terra di rivolte quasi quotidiane; mentre Pilato, che ne fu procuratore dal 26 al 36 d.C., è noto per la sua crudeltà e spietatezza, tanto che, dopo questo episodio, riportato solo da Luca, venne rimosso dal suo incarico ed esiliato.

 

Quanto al fattaccio del crollo della torre di Siloe, che ha travolto diciotto sventurati, di cui le cronache in nostro possesso nulla dicono, è da ritenersi comunque vero, se non altro per la precisazione del numero delle vittime, numero che non è simbolico, ma reale. Una disgrazia, questa, che deve aver impressionato molto i Giudei del tempo, se Luca la riporta nella sua opera.

 

Luca con questi due episodi si richiama ai precedenti versetti 54-56, dove si parla della necessità di riconoscere i segni del tempo presente per decidersi per Dio. I segni dell'agire di Dio, pertanto, secondo Luca, vanno cercati anche nei fatti quotidiani.

 

Credete che quei Galilei fossero più peccatori ... era diffusa credenza che le disgrazie fossero la ricompensa per le colpe commesse dalle persone che ne sono rimaste travolte. In altre parole, Dio giustiziava in qualche modo i peccatori. Ma questa convinzione portava i contemporanei di Gesù a pensare che , non essendo loro travolti da particolari sventure, fossero dei giusti e, pertanto, non bisognosi di conversione.

 

Gesù sfata brutalmente tale credenza, che racchiude l'uomo nelle sue sicurezze e lo chiude nei confronti di Dio, provocando in lui una certa arroganza religiosa. Quegli sventurati, afferma Gesù, non erano affatto più colpevoli di tutti gli altri. Non c'è, dunque, corrispondenza tra peccato e castigo: tutti sono parimenti peccatori e bisognosi di conversione.

 

Tuttavia, Gesù invita a leggere i due episodi come un segno dell'imminente ira di Dio contro quegli uomini che non riconoscono nella presenza di Gesù l'invito del Padre ad aprirsi a Dio e decidersi definitivamente per Lui.

 

Sono, dunque, un segno e niente di più. Gesù, qui, sembra dire che bisogna imparare a leggere attentamente nei fatti, che capitano attorno a noi e che in qualche modo ci colpiscono nell'attenzione, l'agire di Dio che ci interpella e ci chiama a conversione.

 

Disse anche questa parabola ...  I due episodi di cronaca dell'epoca, sopra riportati, erano introduttivi e preparatori a quanto segue. Questa parabola, pertanto, riprende i versetti 1-5 e li illustra. Il tema è sempre quello dell'imminenza del giudizio incombente per coloro che, credendosi giusti, non danno frutti, cioè non vogliono adeguarsi ai nuovi tempi, inaugurati con la venuta di Gesù, e alle esigenze di Dio, che Gesù è venuto a far conoscere a tutti gli uomini, perché questi vi si possano adeguare.

 

Un tale aveva un fico piantato nella vigna ... è qui presente un doppio simbolismo, ma dall'identico significato: il fico e la vigna simboleggiano Israele. L'accoppiata fico-vigna è già presente nell'Antico Testamento, in particolare in Geremia 8,13, in Osea 9,10 e in Michea 7,1 e sono sempre utilizzate per descrivere l'infedeltà e l'infruttuosità di Israele nei suoi rapporti con Dio. Ma in questa parabola, se la vigna rappresenta Israele, vediamo come il fico, impiantato nella vigna, rappresenta l'operare di Israele. Infatti, Gesù non se la prende con la vigna, ma con il fico. E', quindi, sull'operare del popolo che Luca incentra la sua attenzione. Israele, infatti, è e rimane sempre il popolo privilegiato di Dio, che ne stigmatizza la condotta e la sottopone a giudizio: Israele non ha saputo riconoscere e cogliere nella presenza di Gesù il dono che il Padre gli faceva; non ha saputo cogliere il tempo opportuno a lui riservato, per cui la presenza di Gesù diventa motivo di giudizio.

 

... e venne per cercarvi frutti, ma non ne trovò ...  il venire del padrone della vigna in cerca dei frutti è il venire stesso di Gesù, che con la sua venuta in mezzo ad Israele diviene motivo di giudizio per l'infruttuosità del popolo. Questa parabola, infatti, ne richiama un'altra simile: quella dei vignaioli assassini (Lc 20, 8-15) in cui il padrone della vigna, al momento della raccolta dei frutti, manda i suoi servi, che vengono puntualmente bastonati e uccisi. Da ultimo manda suo figlio a raccogliere i frutti ma anche questo viene ucciso. E' evidente il significato: la vigna è Israele; il padrone è il Padre che, dopo aver inutilmente inviato i profeti, tutti perseguitati e uccisi, manda Gesù, l’ultimo inviato, che viene, anche lui, ucciso.

Questa parabola dei vignaioli assassini si conclude con il giudizio che Dio pone su Israele: "Verrà e manderà a morte quei coltivatori, e affiderà ad altri la vigna" (Lc 20,16).

 

Gesù, dunque, è l'inviato del padrone di questa vigna ed è mandato per cercare e raccogliere i frutti. La sua, dunque, è una presenza di giudizio; la raccolta dei frutti dice proprio questo.

 

Giovanni lo ricorderà nel suo vangelo: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chi crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna ... Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto ..." (Gv 3,16.18). Il mondo, pertanto, dalla venuta di Gesù è spaccato in due: chi crede e chi non crede e il giudizio si compie qui, nel nostro presente. Si noti, infatti, come i verbi usati da Giovanni sono tutti posti al presente.

 

La conclusione è triste: Gesù, inviato dal Padre, non trova frutti in Israele.

 

... sono tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico ... i tre anni qui citati potrebbero essere un richiamo all'attività pubblica di Gesù, che secondo la cronologia di Giovanni, dura appunto tre anni, considerato che il Gesù di Giovanni vive tre pasque: la prima si trova in Gv 2,23, la seconda in 6,4 e la terza in 11,55.

 

Probabilmente questi tre anni fanno riferimento anche alla credenza che i frutti sono puri e pronti per essere consacrati al Signore soltanto dopo questo tempo. Se questo è vero, allora ciò può voler dire come soltanto dopo l'attività di Gesù (tre anni) nascerà un nuovo Israele capace di dare veri frutti di conversione e conformare il proprio vivere alle logiche e alle esigenze di Dio.

 

Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?  L'espressione così concisa e dura dice tutta la forza del giudizio che è venuta a portare la presenza di Gesù e richiama molto da vicino la predicazione di Giovanni: "La scure è già posta alla radice; ogni albero che non porta buon frutto, sarà tagliato e buttato nel fuoco" (Lc 3,9). Il tono qui è escatologico, cioè da ultimi tempi. Questo ci sta a dire come la venuta di Gesù ha inaugurato questi tempi escatologici e, pertanto, la sua venuta e la sua presenza sono l'ultima chance che Dio offre all'uomo. Ma già fin d'ora è stato posto sul suo capo il giudizio divino, rappresentato da quella scure posta alle radici.

 

Un linguaggio ovviamente figurato per dirci l'urgenza di aprirci a Dio e di accoglierlo nella nostra vita, configurandola alle sue esigenze.

... vedremo se porterà frutto per l'avvenire ...  nella venuta di Gesù è già implicitamente espresso il giudizio sull'uomo, che è chiamato, di fronte a questa irrepetibile presenza, a prendere posizione con la propria vita da subito.

 

Tuttavia, vediamo come questa presenza  non dice attuazione, esecuzione del giudizio, ma c'è ancora un tempo per l'uomo. Infatti, la scure non si è abbattuta sull'albero, ma è soltanto posta alle radici; vediamo come il vignaiolo si prende ancora un anno di tempo prima di dare esecuzione al giudizio. Il motivo di questo anno è per permettere al vignaiolo di zappare e concimare ancora.

 

Non è difficile qui vedere, a mio avviso, il tempo della Chiesa, quale prolungamento della missione stessa di Cristo. Infatti, l'anno richiesto dal vignaiolo è, in ordine di successione ai primi tre di Gesù, il "quarto anno" è, cioè il tempo della Chiesa, quale prolungamento del tempo stesso di Gesù. Infatti, il vignaiolo dirà: "... vedremo se porterà frutto per l'avvenire ...". In quel "avvenire" non c'è alcuna precisazione di tempo né, tantomeno, una scadenza. E' un tempo che si apre dopo i tre anni della missione di Gesù in cui l'uomo, stimolato dalla missione della Chiesa, è ancora una volta, ma è l'ultima occasione, chiamato a portare frutto, cioè a prendere posizione di fronte all'ultimo appello del Padre, aprendosi a Dio e configurando la propria vita alle esigenze e alle logiche divine espresse in Cristo, sacramentato nella sua Chiesa.

 

E' vero, ormai "il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15). E' la nostra ultima chance.