LA STORIA DI LOCOROTONDO
 
Appunti sulla storia di Locorotondo

a cura del dott. Francesco Fumarola

estratto della tesi

"Societa' ed economia a Locorotondo attraverso i bilanci comunali" (1817-1842)

 
 
1. La Valle d' Itria e le origini di Locorotondo
 
Questa singolare valle, che ha come punto centrale Locorotondo, si sviluppa nel senso Est-Ovest comprendendo centri come Martina Franca, Alberobello e Ceglie Messapica, lambendo da una parte Noci, dall’altra Ostuni.

Locorotondo sorge su un rilievo posto a 410 metri s.l.m. appartenente a quel comples­so altopiano collinare detto Murgia (dal latino murex: murice, poi roccia aguzza) e più specificatamente al ramo sud-orientale denominato comunemente Murgia dei Trulli, carat­terizzato da rilievi poco accentuati e dalle tipiche costruzioni coniche.

La Murgia dei Trulli, partendo dall’insellatura di Gioia del Colle, degrada poi lentamente in direzione Sud-Est fin oltre Ostuni; mentre sul versante adriatico tronca bruscamente con il terrazzamento di Fasano, su quello ionico, si stem­pera discretamente nell’anfiteatro tarantino.

Tramontata quasi definitivamente l’ipotesi che faceva deri­vare il nome della valle dall’omonimo torrentello che tempo fa doveva scorrere attraverso questi luoghi non ci restano che due ipotesi. La prima lega l’origine del toponimo al lon­tano ritrovamento d’ una antica icona della Vergine in una grande cisterna d’acqua, subito battezzata Madonna d’Jdria, modificata in Jtria; ipotesi avvalorata da qualche caso di ono­mastica locale (Maria d’Idria).

La seconda ipotesi, attestata da recenti scoperte, vuole che il nome derivi da una chiesetta extraurbana a sud-est di Martina Franca, dedicata alla Madonna d’Hodigitria (guida e protettrice dei viandanti) culto d’importazione orientale. Infatti era già ben noto come la Vergine Hodigitria, patrona di Costantinopoli, venerata in Oriente da molti secoli, fosse giunta in Italia tramite il fuggia­sco Baldovino II, ultimo imperatore latino di Bisanzio, che nel 1261 portò con se l’antichissima pittura, attribuita addirit­tura al pennello di San Luca evangelista; pittura che è stata recentemente (1989) rinvenuta celata sotto La Madonna di Montevergine, nell’omonimo Santuario in provincia di Avellino. L’importantissimo ritrovamento avvalora l’ipotesi di una grande diffusione del culto per la Madonna d’Hodigitria nel Meridione (1).

Per la sua indubbia importanza logistica ed economica, la Valle d’Itria fu probabilmente abitata già in epoca Paleolitica (III millennio a.C.). Un altopiano collinare terrazzato, ricco di boschi, pascoli e selvaggina costituiva per i primitivi abitatori una sicura attrattiva. I ritrovamenti archeologici, nelle contrade Grofoleo, Badessa, Monte del Forno ed altre, fanno pensare che la Valle fosse sicuramente abitata già nell’età del Bronzo finale (fine del II millennio) da comunità japige e messapiche.

Nel IV-III secolo a.C. l’influenza di Roma dapprima su Taranto, poi su l’intero territorio, si avvertì forte, per consolidarsi in seguito con la suddivisione dell’agro in centuriazioni e la sua consegna ai soldati, veterani di tante battaglie. Sotto la giurisdizione Romana si incrementarono la viticoltura, la cerealicoltura e l’allevamento. Nel periodo imperiale, diventate Brindisi ed Egnazia rilevanti porti commerciali a discapito di Taranto, e con la realizzazione dell’ Appia e della   la Minucia-Traiana che la escludevano dalle più notevoli vie di comunicazione, l’importanza sociale ed economica della Valle d’Itria si affievolì inesorabilmente.

 

S. Giorgio, patrono di Locorotondo

dipinto del presbiterio della chiesa matrice

 
Un periodo di torpore che durò fino al V secolo d.C., quando, sospinti ed impauriti dalle orde barbariche (Goti) che invadevano l’anfiteatro tarantino ed il litorale adriatico, modesti gruppi di Bizantini, sfuggiti ai massacri, alle scorrerie ed alle epidemie, vennero a rifugiarsi sulla impervia, ma sicura Murgia. Forse fu allora che i profughi, costretti ad adattarsi ad una nuova vita, non cittadina, ma agreste, svilupparono lentamente una nuova realtà economica, creando i primissimi nuclei di comunità agrarie che con pochi mezzi, tanta tenacia e tantis­simo lavoro, crearono le premesse per la costituzione di una civiltà contadina tipica della Murgia.

Con la dominazione longobarda (VI-VII secolo) si consolidarono i primitivi nuclei agrari; in questo sistema organizzativo, invero abbastanza chiuso, intorno all’VIII-IX secolo s’innestò la ventata culturale innovativa del Monachesimo Basiliano. Quest’ultimo apportò allo statico consorzio della Valle d’Itria un certo rinnovamento culturale e religioso con nuove tecniche agrarie. La ventata innovativa orientale miglioro’ il modus vivendi della popolazione murgiana incentivandone soprattutto l’agri­coltura e la pastorizia con la creazione delle prime masserie (dal tardo latino, massa: insieme di fondi, terreni), e da cio’ ne trassero giovamento anche gli scambi economici e i rapporti di comunica­zione. Seguirono alterne vicissitudini belliche sulle coste, con invasioni saracene e controffensive longobarde e bizantine: di questo periodo sono le distruzioni di Brindisi (838), Bari (847) ed infine di Taranto (928), che costrinsero nutriti gruppi di popolazioni rivierasche a rifugiarsi sulla boscosa Murgia. Con questi apporti demografici si rivitalizzarono i nuclei abitati più antichi e se ne crearono di nuovi, da cui sarebbero sorti, nei secoli successivi, i primi Casali.

Le vicende storiche, sociali ed economiche che riguardano Locorotondo per tutto il primo Millennio sono tuttora oscure, per questo si è creduto opportuno occuparsene tenendo ben presente che in quegli anni il destino storico del loco, anche per la esiguità di popolazione e per la scarsità di vie di comunicazioni, era comune a quello di quasi tutti i piccolissimi nuclei che si affacciavano sulla Valle d’Itria.

Sulle remote origini di questa cittadina due studiosi locali del secolo scorso, Padre Serafino Tamborrini di Ostuni (1784-1869)(2) e il medico locorotondese Angelo Convertini (1771-1831)(3), ci hanno tramandato ricostruzioni storiche troppo spesso condite di mitologia.

Entrambi ne fanno risalire la fondazione a parecchi secoli prima di Cristo, ad opera di una colonia di greci Locresi: il primo, basandosi sulla corrispondenza tra le parole Locorotondo e Locros-Tonos, ovvero forti locresi, afferma che un gruppo di questi, reduci dalla guerra di Troia, si sia qui stabilito dopo essere approdato sulle coste pugliesi a causa di un naufragio; l’altro chiama in causa Periandro Locrese fondatore, appunto, della città di Locreuse, ossia Locorotondo.

Lo storico Sanpietro, invece, la ritiene sorta, unitamente agli altri casali vicini , ad opera delle popolazioni sfuggite alla distruzione dell’ antica citta’ di Egnazia avvenuta nel 545 (4). Comunque sia, le numerose tombe trovate nel 1840 durante lavori di scavo fanno  pensare a una frequentazione antichissima.

Dagli scritti dello storico Giuseppe Baccari, il quale si rifa’ agli scritti dello storico martinese Abate Chirulli, apprendiamo che, incoronato Carlo Magno Imperatore nel Natale dell’ 800 da Papa Leone III, “… nell’anno 803 fu convenuto che all’Impero Romano di Occidente rimanesse tutto ciò che Carlo aveva occupato in Ita­lia, insieme con la Corsica, Sardegna, ed altre Isole; ed all’Impero Greco di Oriente tutto il Regno di Napoli coll’isola di Sicilia, e con alcune città deli’Istria e Dalmazia. La città di Venezia rimase totalmente libera, e fu posta per limite di ambedue gl’Imperi. Restando dunque i Greci possessori dei due Regni d’Italia e di Sicilia, accadde nell’anno 827 che un potente capitano dell’Impero Greco (Eufemio) in Sicilia, innamoratosi d’una religiosa claustra­le, la rapì dai monastero. Saputo ciò l’Imperatore Greco Michele Balbo lo fece richiamare a Costantinopoli per punirlo; ma egli fuggì in Africa e congiurò cogli Africani per assalire la Sicilia. Da qui la calata dei Saraceni, i quali si resero padroni di quasi tutta la Sicilia, di parte di Terra di Lavoro, della Puglia e Calabria.(5)

 
Dunque , in seguito alla calata dei Saraceni in Puglia, lo storico Baccari pensa che alcuni guerrieri Greci, sfuggendo alle orde barbare, vennero a stabilirsi in collina, lontano dalle spiagge e in luogo elevato per vigilare. E cosi’ costituirono a poco a poco il Casale che, guerrieri essi , posero sotto la protezione ideale di altro guerriero, S. Giorgio, che nell’ era dei martiri era stato martirizzato da Diocleziano (anno 303).

Nell’ XI secolo l’ Italia meridionale cadde progressivamente in mano ai Normanni, i quali suddivisero il territorio affidandone  la gestione a potenti casate. A Goffredo della famiglia degli Altavilla toccarono i possedimenti di Nardo’, Brindisi, Lecce, Montepeloso, Polignano e Monopoli, di cui faceva parte il Casale S. Giorgio. Egli stesso si era proclamato Conte di Conversano e Dominatore di Monopoli. Tanto il Conte Goffredo che la moglie Sicelgaita ed i figli Roberto, Alessandro e Tancredi hanno lasciato in ognuno dei loro possedimenti opere di fede e di pieta’ cristiana dalle quali omettiamo la menzione (6).

Mai nulla, circa le origini di Locorotondo e’ stato tramandato per iscritto, ne’ nell’ archivio comunale vi sono documenti storici sull’ argomento ( i piu’ antichi risalgono all’ incirca al 1750), come non ve ne sono nell’ archivio parrocchiale, che conserva atti solo a partire dal  1600: il resto del patrimonio documentario fu  distrutto da un Cancelliere del Clero che, dilettante di lavori in cartapesta, li mando’ al macero (7).

Le piu’ antiche notizie attendibili relative a Locorotondo risalgono al 1086. All’epoca, il Conte di Conversano fondava la badia di Santo Stefano presso Monopoli, e le donava in feudo, insieme ad altri casali, il Casale San Giorgio , e cioe’ l’ attuale Locorotondo.

Quest’ ultimo era all’ epoca costituito da un aggregato di case che poteva contare un centinaio di famiglie. Il piu’ antico documento esistente risale al 1195  e  fa espressa menzione del luogo detto Rotondo e della sua Chiesa di S. Giorgio.

Verso la metà del ‘200 l’ori­ginario feudo crebbe gradualmente, fino a diventare un vero e proprio casale che rimase sottomesso alla giurisdizione del monastero di Santo Stefano fino al 1385.

Durante quegli anni Locorotondo venne coinvolta nelle turbolente vicende che compromisero la stabilità del monastero, entrato in lite col confinante Principato di Taranto che spingeva gli abitanti dei casali ad affrancarsi dalle dipendenze dei monaci.

Nel 1314 i Benedettini alla guida di Santo Stefano furono rimpiaz­zati dai Cavalieri Gerosolimitani che fecero di quella sede un vero e proprio fortilizio. Verso la metà del ‘300 Locorotondo, insieme ad altri casali di Santo Stefano, venne occupata da Gualtieri VI di Brienne, duca di Atene, divenuto famoso per le sue imprese politico-militari tra cui il breve governo di Firenze dal 1342 al 1343.

Riottenuto il feudo locorotondese nel 1358 i Gerosolimitani lo tennero fino al 1385 circa. Dalla fine del ‘300 a gran parte del ‘400 Locorotondo divenne possedimento di una delle più grandi famiglie dell’epoca nel meridione, i Del Balzo Orsini, il cui dominio su di esso si arrestò con Aghelberto (8), coinvolto nella cosiddetta “congiura dei baroni” (1486) tramata ai danni della corte Aragonese. In tale occasione, in seguito ad una ridistribuzione dei feudi, il paese fu donato a Pirro Loffredo, di un’altra potente e nobile famiglia napoletana. Dopo pochi anni, nel 1499, la cittadina passò ai Carafa; probabilmente fu in questo periodo che vennero eretti le mura e il castello, opere rimaste intatte fino alla metà dell’800. Ma nel 1530 ai Carafa, infedeli agli aragonesi, successero nuovamente i Loffredo. Questi governarono solo su metà del paese; l’altra metà fu tenuta prima dai Figueroa e quindi dai Borrassa, i quali nel 1604 comprarono anche la restante parte (9).

A sentire Edgardo Noya di Bitetto, i Borassa sono di origine probabil­mente veneta (10); in ogni caso, essi appartengono alla nobiltà di Monopoli. Per Giovanni Battista Pacichelli, anzi, il loro posto è tra i nobili di prima piazza (11).

Non si conoscono, almeno allo stato attuale delle ricerche, episodi della signoria dei Borassa su Locorotondo. Nè si ha traccia di interventi che possano qualificare in senso positivo tale signoria. Probabilmente si e’ trattato di una signoria di rapina: tesa a sfruttare le poche risorse che il piccolo feudo poteva offrire. E sicuramente i Borassa non erano persone pacifiche. E’ nota, infatti, l’inimicizia tra i Borassa e Francesco Surgente, vescovo di Monopoli dal 1640 al 1651; è noto, ancora, l’episodio a seguito del quale la moglie di un tale Giovanni Battista Borassa incorre nella scomunica.

 

S. Rocco, protettore di Locorotondo

scultura del timpano della chiesa di S. Rocco

 
La fine del dominio dei Borassa su Locorotondo è però ingloriosa. Infatti nel 1645 i Borassa sono costretti ad alienare il feudo di Locorotondo per debiti contratti con l’Ospedale e Banco della Santissima Annunziata di Napoli: un grosso ente, quest’ ultimo, che amministra un ospedale di duemila letti, un monte di pietà, un banco di deposito, un brefotrofio ed un conservatorio e che possiede in Terra di Lavoro otto Comuni a titolo feudale. Ed è proprio questo ente che pone all’asta il feudo di Locorotondo.

Il debito è antico e risale almeno al 1604 quando (cosi’ come si legge nel documento del 29 marzo 1645 relativo all’acquisto della baronia di Lo­corotondo fatto dal duca di Martina Franca Francesco I Caracciolo: “Donato Antonio de Loffredo, Duca de la nocara, havea venduto, et alienato a Gio: Jacovo Borrassa la metà della terra di Loco Rotundo sita nella Pro­vincia di Bari per prezzo di docati dudicimila quali esso Gio: Jacovo de vo­lontà del detto Sig. Duca della nocara promette pagare quandocumque et interim correspondere l’interesse a raggione d’otto meno un quarto per cen­to a Isabella Carbone vidua del quondam Scipione Loffredo”(12).

Isabella Carbone, però, designa quale suo erede universale l’Ospedale e Banco della Santissima Annunziata (almeno a quanto si legge nello strumento del 1645 ora in esame) e nel contempo dispone che la metà dei 12.000 ducati venga assegnata alla duchessa di Bisaccia (3.000 ducati), a una tale Gratiosa (1.000 ducati), a un tale Sibilia (1.000 ducati) e al Monastero di Santa Maria delle Grazie (1.000 ducati).

I Borassa, per loro sfortuna, non riescono a pagare nè gli interessi nè il capitale. E la questione va avanti fino al 1643 quando “fu ordinato che detto Francesco Borrassa Barone di detta Terra di Locorotondo fra giorni dieci pagasse a detto S. Hospedale le quantità debite per Capitale, e terze, et che elasso detto termine si procedeva alla vendita di detti beni”(13), e cioè del feudo di Locorotondo.

Francesco Borassa non tiene conto dell’intimidazione e l’Ospedale e Banco della Santissima Annunziata non può far altro che richiedere la vendita della baronia di Locorotondo. Il duca di Martina Franca, Francesco I Ca­racciolo, per mezzo di  tale Francesco Cannalonga, forse suo agente in Napoli, offre 17.000 ducati. “Sopra la quale offerta fù ordinato, che s’ allumasse la candela, et quella accesa, et dopo estinta detta terra di Locoroton­do rimase, e fù liberata a detto Francesco Cannalonga, per ducati dicessettemilia con patto di retrovendendo frà quattro anni, et servatis servanda(14). Il razionale Giovanni Bruno, anzi, specifica che il prezzo pagato da Francesco I è di ducati 17.316:3:3; in seguito lo stesso duca, per altri ducati 6.683:1:17, acquista dai Borassa anche i diritti di “ricompra”. Locorotondo, quindi, passa dalla signoria dei Borassa a quella dei Caracciolo.

 
 
 
Note
(1)Montanaro P.- Tursi G.,Guida di Locorotondo, Bari, Arti Grafiche Angelini, 1991,p.9
(2) Tamborrino S., Origini, fondazione, e vicende di Locorotondo, in “Cummerse”, pubblicazione a cura della consulta per le attivita’ culturali, numero unico, Locorotondo, Stampa Grafica Meridionale, pp. 13-14
(3) Guarella G., La storia di Locorotondo nel manoscritto di Angelo Convertini, Fasano, Grafischena SpA, 1985, p. 17
(4)Montanaro P. –Tursi G., op. cit.,p.10
(5)Baccari G., Memorie storiche di Locorotondo, Fasano, Arti Grafiche Nunzio Schena, 1869, pag.61
(6) Baccari G., op. cit. ,p. 62
(7) Baccari G., op. cit. ,p. 59
(8) Guarella G., La storia di Locorotondo nel.., op. cit. , pp.63-74
(9)Montanaro P. e Tursi G., op. cit, p.15
(10)Guarella G., L ‘ Universita’ di Locorotondo, I Borassa e le capitolazioni del 1605, in “Locorotondo, rivista di economia, agricoltura, cultura e documentazione” n° 4,(1988), p. 20
(11) Guarella G.,L’ Universita’ di Locorotondo, I Borassa….., cit., p. 20
(12) Guarella G., L’ Universita’ di Locorotondo, I Borassa……, cit ., pag.32
(13) Guarella G., L’ Universita’ di Locorotondo, I Borassa…, cit.,pag.32
(14) Guarella G., L’ Universita’ di Locorotondo, I Borassa…, cit.,  pag.33
 
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