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Sono passati trent'anni dall'abolizione dei manicomi e dall’entrata in vigore della legge 180 che doveva restituire diritti civili e dignità alle persone affette da malattie mentali, prevenire e curare adeguatamente i loro disturbi. Ma alle nobili intenzioni non sempre sono seguiti i fatti. Gli interessi nel campo dell'assistenza e l'impostazione della legge 180 non hanno consentito un'adeguata applicazione delle norme che puntavano sostanzialmente alla riabilitazione e al reinserimento nella società della persona affetta da malattia mentale. La legge 180 è tra le più inapplicate, se si pensa che sono serviti mediamente 18 anni per chiudere i manicomi e che ancora oggi ne esistono tre. Oggi il disturbo psichico è sempre più dilagante e diffuso e sempre meno intercettato e curato dall'assistenza psichiatrica italiana. Depressione, disturbi alimentari, fino alle più gravi psicosi, ma l'assistenza sanitaria si prende carico soltanto del 10% delle persone che avrebbero bisogno di un supporto. La cura del disagio psichico rappresenta un costo enorme per le aziende sanitarie che possono fingere di non vedere una malattia che, a differenza di tutte le altre, è senza materia. L'inchiesta è un viaggio nell'Italia della follia, quella che lascia i malati di mente, anche i più pericolosi, per strada o rinchiusi nei moderni manicomi, che rispetto a quelli che si volevano abolire sono soltanto più piccoli. Oppure li lascia totalmente a carico delle famiglie che a volte sono impreparate a gestire il proprio caro e spesso si trovano anche in abitazioni inadeguate dove si consumano tragedie di fatto annunciate. Una legge rivoluzionaria la 180 forse, ma nel Paese sbagliato.

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