Il primo ospite della serata è Vincenzo Paglia, vescovo di Terni. Presenta il suo libro scritto con Franco Scaglia "In cerca dell'anima. Dialogo sull'Italia che ha smarrito se stessa". Il libro parla dell'immigrazione e della necessità del lavoro per tutti. Chi nega queste due cose è senz'altro senza anima. Perché questo nostro Paese che Scaglia, parafrasando Shakespeare, chiama l’Italia del nostro scontento, sembra sprofondato in una sorta di apatia che lo rende apparentemente privo di ambizioni e disinteressato al futuro? E perché, contrariamente a quanto avviene in molti altri Paesi, non esiste da noi un dibattito consistente sui temi che appartengono all’identità di ogni uomo, come i diritti umani, la qualità della vita, la povertà, l’ambiente, la religione? Sono solo alcune delle domande che i due autori si pongono dove, ai molti dubbi e interrogativi di Franco Scaglia, Monsignor Vincenzo Paglia risponde con un’analisi profonda. Si parla di individualità e di collettività, di nazionalismi e globalizzazione, di guerra e di pace, e dell’impegno dei singoli, che si manifesta in un fenomeno dai confini assai vasti come il volontariato. E poi si parla di Dio e di fede, e della funzione della Chiesa in un mondo carico di fermenti e lacerato da mille contraddizioni. Franco Scaglia e Vincenzo Paglia ci offrono un libro che invita a pensare, per capire dove stiamo andando e per ritrovare quell’”anima” che, come dice Paglia, in quanto collettività sembriamo aver perso.
L'ultimo ospite della serata è Francesco Guccini che presenta il suo ultimo libro "Non so che viso avesse. Quasi un autobiografia.". Da piccolo la nonna gli regalò diverse aermoniche a bocca e così si appasionò alla musica. Ma da grande è l'uso della sua prima chitarra che lo avvicinò davvero alla musica cantata. Prima di approdare al mondo della musica però ha fatto per diversi anni il cronista di nera. Montanaro di pianura, nato a Modena, diffidente, avaro di sé, sobrio e bevitore, pigro e serissimo, ma chiacchierone instancabile, Francesco Guccini ha scelto, per la prima volta, di raccontare la sua vita. E ci è riuscito, in questo libro bello e bizzarro, nell'unico modo per lui possibile: fingendo di parlare d'altro, per dire tutto di sé. Per farlo, Guccini organizza una geografia: Pavana col mulino degli avi, i nonni, le nonne e i bisnonni, il bosco, il fiume, la montagna. Modena, odiata e amata, piccola città bastardo posto. Bologna, l'eletta, in via Paolo Fabbri, una vecchia signora dai fianchi un po' molli col seno sul piano padano e il culo sui colli. E poi gli altri luoghi e i loro aneddoti: le osterie, il giornale per sbarcare il lunario (perché cantare non è mica un mestiere), e le balere, dalla via Emilia al West, con gli orchestrali, le giacche con i lustrini, il rock and roll. E ancora: l'amore per il cinema, con gli amici Luciano Ligabue e Leonardo Pieraccioni, per le chitarre, per i fumetti e per l'ottava rima. E infine: il concerto, il luogo dell'incontro col pubblico, secondo una liturgia ritualizzata che comincia con il c'era una volta di "Lunga e diritta correva la strada" di "Canzone per un'amica" per finire con l'epos trionfale di "Non so che viso avesse" della "Locomotiva".