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Piero Fassino

Se al referendum vincono i contrari si chiude il ciclo del Cavaliere. Parola di leader ds. Che intanto lavora al partito democratico. 'Sono felice della scelta di star fuori dal governo' 

Il nome? Promosso on linePartito democratico? Il nome va bene.

A favore dell'appellativo democratico per la formazione unitaria in cantiere si è infatti pronunciato il 60,3 per cento dei votanti, mentre il 14,6 preferirebbe Partito dell'Ulivo e il 7,8 Partito riformista. Una fetta consistente di lettori, il 17,4 per cento, non apprezza nessuna delle scelte proposte e dice che "ci vorrebbe un nome diverso".
La cosa che mi ha offeso di più è sentir dire che sono alla ricerca di un ruolo. Sono appagato e felice della mia scelta di restare al partito... Piero Fassino è l'unico tra i leader del centrosinista a non essere entrato nel governo Prodi: dal suo quartier generale studia le prossime battaglie. Il referendum, innanzitutto: "Se vince il 'No' si chiude il ciclo del berlusconismo". Dopo il 25 giugno, aggiunge il segretario Ds, verrà il tempo del dialogo: con Tremonti, Casini, Bossi e con chi ci starà. E poi il Partito democratico: "Chi pensa di farlo contro i Ds è velleitario", avverte. E mette in guardia contro il "riformismo dall'alto": "È sbagliato affidare il rapporto tra centrosinistra e il Paese solo al governo. Ci saranno posizioni dialettiche con i partiti e sarà un bene".

Partiamo dal dramma iracheno. L'ultimo attentato di Nassiriya impone di accelerare il ritiro?
"Evitiamo le strumentalizzazioni. Nel caso del soldato Pibiri l'attentato è stato realizzato dopo che era stata ampiamente annunciata la decisione del governo di ritirare le truppe. Il terrorismo colpisce sulla base delle sue logiche. La vicenda irachena si può risolvere se si accentua il profilo politico su quello militare. Il ritiro deve essere accompagnato da un pacchetto di aiuti più consistente di quanto è stato finora: per la crescita economica, per la ricostruzione civile. Non è un venir via, una fuga".

Cosa pensa del presidente della Camera che mostra ai militari la spilla arcobaleno?
"Il fatto importante è stato che Bertinotti abbia presenziato alla parata. Non c'è da drammatizzare: abbiamo visto ministri della Lega che non partecipavano alle feste nazionali e si scandalizzavano in pochi. In questi anni è cresciuta la consapevolezza a sinistra che l'uso della forza può essere un'eventualità, estrema, dopo che si sono sperimentati tutti i mezzi pacifici, e a certe condizioni: la presenza delle Nazioni Unite, la legalità internazionale dell'intervento, la proporzionalità tra mezzi e fini, l'incombenza di un pericolo. Nel caso dell'Afghanistan queste condizioni sono state rispettate, nel caso dell'Iraq, no".

L'ala radicale della maggioranza vuole ritirare le truppe anche dall'Afghanistan...
"Sarebbe un errore. In Afghanistan si sta concentrando un'offensiva degli integralisti talebani e una ripresa dell'intreccio droga-armi e notabilato che rende quella regione strategica e decisiva. Certo, anche qui bisogna rafforzare i processi di transizione politica. Non possiamo restare lì secoli, e neppure decenni".

Sul referendum è scontro con il centrodestra. Nonostante le aperture di Bossi e Tremonti...
"Registro un cambiamento di tono. Per settimane il centrodestra ha chiamato gli italiani a dare la spallata al governo Prodi con le amministrative e con il referendum. Stanno cambiando atteggiamento, è la presa d'atto che la strategia della radicalizzazione dello scontro è stata sconfitta. Ora, con il referendum, c'è l'occasione di chiudere definitivamente una lunga fase della vita politica italiana, cominciata nel 1994".

Se vincono i 'No' è la fine del Cavaliere?
"No, i destini di Berlusconi sono un'altra cosa da un semplice referendum. Ma la sconfitta del centrodestra può chiudere un ciclo caratterizzato da una conflittualità aspra, dal tentativo di sradicare gli elementi fondamentali della Repubblica e di modificare la Costituzione materiale della società italiana. Questo è stato il berlusconismo: non solo l'efficacia di qualche spot televisivo, è stato un progetto che mirava a cambiare gli assetti politici e sociali del paese. Questo progetto non ce l'ha fatta. Il referendum può aprire un nuovo ciclo. Ma a una condizione: che vinca il 'No'".

Tremonti e Bossi chiedono di approvare la parte sulla devolution e poi riaprire il dibattito sul resto della riforma.
"La disponibilità al dialogo non va lasciata cadere. Ma se i cittadini votano Sì, la riforma sarà quella, non possiamo cambiarla il giorno dopo. Se vincono i No, invece, il tavolo resterà sgombro e si potrà costruire una fase nuova. Una brutta riforma, un impasto di separatismo e di neo-statalismo. Avremmo 20 sistemi sanitari diversi, uno per regione, 20 politiche energetiche. E un capo dello Stato ridotto a notaio, una confusione spaventosa di competenze tra Camera e Senato. Sia chiaro: temi che hanno bisogno di una soluzione. Siamo pronti a discutere di tutto ma per soluzioni serie".
In quale sede? Qualcuno invoca l'elezione di un'Assemblea costituente.
"Discutiamo insieme: l'Assemblea costituente o la Convenzione, su modello di quella che ha scritto la Costituzione europea. Oppure si può scegliere di fare le riforme in Parlamento, con la modifica che vogliamo introdurre all'articolo 138: le modifiche della Costituzione vanno votate a maggioranza qualificata".

Quando parla di dialogo a chi si riferisce?
"Non spetta a me decidere chi sia il leader del centrodestra. È un problema loro: se il centrodestra ritiene di farsi guidare da Berlusconi parleremo con lui, se cambierà leader discuteremo col nuovo. Mi sembra che a destra ci sia una leadership plurale: Berlusconi, Fini, Tremonti, Casini".

In un'intervista al 'Foglio' aveva proposto al centrodestra un patto globale con l'elezione di D'Alema al Quirinale. Si è pentito?
"La madre dei fessi è sempre incinta e c'è sempre un fesso pronto a gridare all'inciucio. Non c'era e non c'è nessun annacquamento delle distinzioni tra maggioranza e opposizione. Chi vince le elezioni governa e chi perde fa l'opposizione. Se il governo Prodi dovesse andare in crisi si tornerebbe a votare. Questo non significa impedire il dialogo sulle questioni istituzionali".

Un dialogo difficile: Napolitano è stato eletto a maggioranza...
"Il clima sta cambiando, come testimoniano le interviste di Bossi, Tremonti e Casini. La strategia della rivincita è fallita. Quando si perdono le elezioni, per darsi coraggio il primo istinto è mostrare i muscoli. Poi la dura realtà si impone e si passa all'elaborazione del lutto...".

C'è una materia meno nobile che coinvolge i rapporti maggioranza-opposizione: le nomine Rai. Vi state preparando alla spartizione?
"Con il centrosinistra al governo in Rai c'erano Santoro e Mimun, Vespa e Biagi. Quando sono arrivati loro gli sgraditi sono stati epurati. Si deve tornare al diritto di cittadinanza per tutti. Non si sceglie un direttore di tg o di rete o un direttore generale in base all'appartenenza politica. Si sceglie sulla competenza, la professionalità. Naturalmente chi possiede questi criteri può anche avere un'appartenenza politica, ma non deve essere né un merito né una colpa".

Rivedremo una lunga estate di nomine Rai?
"La eviteremo".

Il governo Prodi: qual è la priorità?
"La drammatica situazione dei conti pubblici. Nessuno discute l'autorevolezza e l'imparzialità di Padoa-Schioppa. Se il ministro afferma che siamo vicini al 5 per cento nel rapporto deficit-Pil non è per propaganda. Ci siamo assunti sulle spalle un'eredità molto più pesante del previsto. Se saremo costretti a prendere misure severe non sarà la dimostrazione che la sinistra è il partito delle tasse, ma che Tremonti ci ha lasciato un disastro".

E il Partito democratico? Grande confusione...
"Nessuna confusione. Che diavolo si doveva fare di più? Quando ho chiesto di aprire subito un cantiere si è detto che ero impaziente, ora mi accusano di voler rallentare. La prospettiva è chiara: l'Ulivo soggetto politico. Ne parliamo da 11 anni, possiamo accendere le candeline. Abbiamo fatto vivere questa novità fra tanti stop and go. Ora dobbiamo andare avanti in tempi rapidi".

In che direzione?
"Intanto dando basi culturali solide al progetto: aprire una riflessione sull'Italia, sulla sua collocazione internazionale. E poi attivare una larga partecipazione. Serve l'intesa Ds-Margherita, l'Ulivo non cresce. Ma da sola non basta. Occorre coinvolgere la società: le associazioni, il popolo delle primarie, i sindaci. Diamo vita a un comitato nazionale e ai comitati locali che si misurino sulla carta fondativa, lo statuto, la forma di adesione. E poi serve una scadenza: non possiamo darci tempi biblici".

Sulla bioetica ognuno alza la sua bandiera. La cattolica Binetti della Margherita da una parte, Mussi dall'altra. 'Avvenire' le consiglia di evitare "i colpi di mano" sulla fecondazione...
"Serve nell'Ulivo un gruppo di lavoro dove sia possibile per me e la Binetti sederci e discutere. Io mi sforzerò di capire cosa pensa lei e la Binetti cosa penso io. Serve una strategia della condivisione e non dello scontro. Sulla legge 40 ho detto che va rivisitata insieme, centrosinistra e centrodestra. Dov'è il colpo di mano? Se una malattia ereditaria si può evitare, è un dovere morale evitarla. Sento grande inquietudine di fronte a casi come quello della bimba colpita da una rara forma di tumore. Nessun colpo di mano, neppure da parte di Mussi: il governo italiano ha messo un veto al finanziamento della ricerca sulle cellule staminali, Mussi lo ha rimosso".
Lei è pronto a dire ai suoi militanti: sciogliamoci per fare un partito con la Margherita?
"I miei militanti hanno lavorato perché l'Ulivo vincesse. Trasformare l'Ulivo in partito non è uno 'sciogliete le righe'. Non verranno dai Ds i problemi. A una condizione: la nostra forza è decisiva. Chi pensa di fare il Partito democratico guardando in cagnesco i Ds si condanna alla velleità. Senza i Ds il nuovo partito non nasce, chiaro?".

Qual è il ruolo dei Ds in un momento in cui tutto sembra passare dal governo?
"La politica non si fa solo al governo. Non rifacciamo l'errore dell'altra volta, il riformismo dall'alto. Non basta essere al governo e fare cose buone per essere compresi e votati. La politica ha bisogno di valori, ideali, obiettivi. Negli altri paesi un partito che arriva al governo mica si scioglie".

Negli altri paesi, però, il leader del partito che ha vinto va al governo: lei è rimasto fuori.
"Non dappertutto. In Belgio, per esempio, il leader dei socialisti non fa parte dell'esecutivo. Se io fossi ministro accentueremmo ancora di più il rischio che il rapporto tra il centrosinistra e il paese passi solo dal governo. Sarebbe un errore".

Insomma, lei non si sente il grande escluso di questa fase politica?
"La cosa che mi ha offeso di più in questi giorni è sentir dire che sono alla ricerca di un ruolo. Piero Fassino è un uomo tranquillo e appagato. Nel 2001 ho preso in mano un partito in crisi in un centrosinistra a pezzi. In cinque anni ho vinto tutto quello che c'era da vincere, sono felice di essere restato al partito. Ho fatto una scelta chiara: al governo c'è una squadra forte, la mia scelta sottolinea il valore di una politica non affidata solo alla mediazione governativa, nel momento in cui vogliamo costruire il Partito democratico".

Non c'è il rischio di una conflittualità tra i Ds e il governo Prodi?
"Ci saranno in futuro posizioni dialettiche tra noi e il governo ed è un bene che sia così. Questa dialettica ha bisogno di gente che la interpreti senza che si traduca in conflitto".

Che ruolo immagina per sé nel futuro Partito democratico?
"Si apre un cantiere e io farò la mia parte per costruire il nuovo edificio. Il leader è Prodi, quello che accadrà dopo lo si vedrà e dipende da quello che tutti insieme costruiremo".

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