Sereno, disponibile. Pacato ma non privo di vivacità; parla con tono entusiasta nei momenti che precedono il sound-check del suo concerto serale. Niccolò Fabi è come te l’aspetti: saggio senza scadere nel moralismo, acuto senza la pretesa di diventare un maestro di pensiero, consapevole del proprio valore senza doverlo rimarcare con atteggiamenti sgradevoli o di sopraffazione verso l’interlocutore. Nessun concerto è previsto nel Vicentino: la tappa più vicina del tour è a Conegliano (Tv), nel nuovo locale Zion Rock Club, dove Fabi si esibirà questa sera dalle 23. Il cantautore romano è accompagnato da Lorenzo Feliciati (basso), Francesco Valente (chitarra acustica ed elettrica), Agostino Marangolo (batteria), Aidan Zammit (tastiere), Massimo Cusato (percussioni), Danilo Pao (chitarre elettriche). La scaletta prevede una parte iniziale dedicata all’ultimo disco, “Novo Mesto” e una carrellata sui quattro album precedenti. - Perché ha scelto proprio Novo Mesto, località della Slovenia, per registrare l’album? «Miravo ad avere nuovi stimoli, confrontarmi con realtà diverse: non è che all’estero ci siano studi di registrazione tecnicamente migliori che in Italia, le apparecchiature sono le stesse ovunque. Però quando si va in trasferta il gruppo si stringe, si crea alleanza. Un’aria talmente particolare ha permeato tutte le registrazioni, che mi è sembrato naturale sottolinearla anche nel titolo del disco. Ho portato con me musicisti di valore. Persone con grande esperienza hanno sicurezza e rischiano di ripetere le stesse cose perché le sanno fare; cambiando le coordinate - dai luoghi fisici alla strumentazione - ci si costringe alla creatività». - Questo lavoro trasmette un segnale di spontaneità e immediatezza, un’atmosfera informale che si respirava anche nell’ultimo tour. «Il tour precedente era diretto ad entrare in contatto con le persone che ascoltavano. Volevo riprodurre su disco quell’atmosfera delicata che si era irradiata anche fra noi sul palco. Siamo entrati in sala d’incisione senza avere provato assieme nessuno dei dieci pezzi: volevo registrare la scintilla istintiva capace di generare la meraviglia della prima volta che suoni una canzone. La convivialità di una suonata informale conferisce quella freschezza che di solito svanisce con la perdita di naturalezza del lavoro in studio». - Dopo Max Gazzè, Riccardo e Daniele Sinigallia, Fiorella Mannoia, Frankie Hi-Nrg, Stefano di Battista, questo è il primo disco senza collaborazioni o duetti eccellenti. È una scelta di «solitudine, amara beatitudine» come canta lei? «Sarebbe stata una forzatutra inserire, al rientro a casa, le voci di artisti diversi. Mi piaceva l’idea di condividere il disco con chi ha fatto la nostra esperienza; chiunque altro sarebbe apparso, come dire, un intruso». - Ha pubblicato i primi tre dischi in tre anni, gli ultimi due in sei anni. È cambiato, nel tempo, il suo modo di comporre? «Fra il primo e il secondo disco è passato poco tempo perché di solito si arriva al debutto con un sacco di materiale accumulato, e quindi disponevo di un capiente “archivio”. Più maturo nella mia esperienza, e più è difficile sentire di avere qualcosa da raccontare in una canzone. Diventi esigente, quasi più verso te stesso che nei confronti del pubblico, e aspetti che arrivi un’idea convincente. Il talento progredisce, senza dubbio, ma difficilmente evolve alla velocità del proprio gusto». - All’inizio della sua carriera ha partecipato spesso al Festival di Sanremo, ricevendo anche dei riconoscimenti. Poi basta. Ritiene che sia un’opportunità soprattutto per gli esordienti? «L’esperienza umana è stata molto forte. Andando avanti, non me la sono più sentita di rituffarmi in quel calderone. Ma non è una scelta ideologica, non escludo nulla per l’avvenire. Semplicemente, non ho sentito il bisogno di una platea popolare e televisiva, ho preferito avvicinarmi con maggiore gradualità al mio pubblico, il quale fosse attratto dalla sintonia con uno stile artistico più che dalla conoscenza di un singolo brano». - Si è parlato spesso di una “scena romana” riferendosi a un gruppo di cantautori coetanei e conterranei, che nello stesso arco di anni ha debuttato. Sente di esserne parte? «È un dato di fatto che, più o meno contemporaneamente, musicisti di un certo talento sono approdati alla pubblicazione. Oltre a me, penso a Gazzè, Britti, Silvestri, Zampaglione coi Tiromancino. Molti si conoscevano da tempo e senza dubbio si sono vicendevolmente stimolati, anche se nel prosieguo ognuno ha cercato una sua personalità specifica. Quasi nessuno di noi, in virtù delle scelte musical-culturali adottate, ha raggiunto grandissima notorietà e successo». - Lei festeggia i 10 anni di “professionismo” musicale. Può già stilare un primo bilancio? «Ci sono state cose interessanti e gratificanti, in questo periodo: il consolidarsi della fiducia, l’affinamento di uno stile credo riconoscibile e messo a fuoco, l’essere migliorato come performer. Non mi piace però parlare di bilancio consuntivo, primo perché preferisco guardare avanti, poi perché di solito i bilanci si fanno in campo finanziario e ciò non è rispettoso per la musica». - Parliamo allora dei suoi programmi futuri. «Al momento la priorità è la tournée: sono in giro a concerti e intendo gustarmi questi momenti, caratterizzati da una grande risposta del pubblico e da una buona riuscita, soprattutto negli spazi teatrali. Guardando oltre, mi attira la prospettiva di lavorare a un progetto orchestrale, più collettivo, un modo per me di sperimentare».