Il ministro degli Esteri Massimo D’Alema boccia, sulla scia del collega della Difesa Arturo Parisi, la lettera con cui gli ambasciatori di Regno Unito, Romania, Canada, Paesi Bassi, Stati Uniti e Australia hanno sollecitato la permanenza in Afghanistan delle truppe italiane. È un’iniziativa «irrituale», per discutere tra alleati Nato ci sono «sedi proprie», dice il vicepremier conversando con i giornalisti a Seoul, al termine della sua tournee in Giappone e Corea e alla vigilia del vertice di maggioranza sulla politica estera che il presidente del Consiglio Romano Prodi ha convocato per domani sera.
«Noi abbiamo discusso che cosa fare in Afghanistan nella riunione dei ministri degli esteri della Nato - ricorda D’Alema - poi nella riunione allargata con i ministri degli Esteri degli altri Paesi non-Nato che hanno soldati in Afghanistan». Secondo il capo della diplomazia, insomma, ci si deve «attenere alle forme normali in cui si discutono questi problemi tra alleati, altre iniziative appaiono francamente abbastanza irrituali».
Un giorno dopo, a un giornalista che gli chiede se la recente missiva dei diplomatici stranieri fosse mirata a chiedere un impegno dell’Italia anche nelle turbolente regioni meridionali afgane, D’Alema risponde: «La lettera non contiene queste affermazioni e deve essere stata giudicata irrituale anche dagli altri ambasciatori di Paesi che hanno soldati in Afghanistan, che sono 36 e non sei». Secondo il ministro, infatti, «se fosse stato un atto rituale, avrebbero firmato».
In ambito Nato, come il capo della diplomazia ha già avuto occasione di dire in passato in risposta alle critiche della sinistra radicale, i patti sono chiari: serve una politica di cooperazione, e l’Italia, a questo scopo, ha chiesto un cambio di strategia agli alleati. In Afghanistan serve più politica, ed è anche per questo che il governo sta organizzando con gli afgani e le Nazioni Unite una conferenza internazionale su diritto, rule of law e narcotraffico che si terrà a Roma in aprile.
L’Italia però non può venire meno alle sue responsabilità militari, è opinione del vicepremier che a più riprese, parlando di Afghanistan, ha lanciato un appello alla «coerenza» in politica estera. Come quando, alla fine di gennaio, all’assemblea dei segretari di sezione Ds ha ricordato che l’Afghanistan non è l’Iraq. «Venire via dall’Iraq - ha detto in quell’occasione - è stato un atto politico, andare via dall’Afghanistan dove ci sono l’Onu e l’Unione Europea, mentre non c’è nessun paese al mondo che lo chiede, sarebbe una rinuncia a esercitare il nostro ruolo; una scelta che ci isolerebbe».