Il ministro della Salute, Livia Turco, sulla Finanziaria. Ci siano sei miliardi in più rispetto allo scorso anno - ha detto -, ci sono maggiori aiuti alle regioni per risparmiare i debiti accumulati a causa della sottostima del governo precedente
"Con la finanza pubblica che ci ha lasciato il centrodestra la sanità stava andando allo sfascio. Per ripartire su basi solide abbiamo quindi investito in sanità, ma abbiamo anche chiesto sacrifici". E' quanto ha affermato il ministro della Salute, Livia Turco, illustrando la manovra finanziaria, in una intervista a La Stampa.
Della finanziaria il ministro parla anche in un intervento sul quotidiano L'Unità, definendola "una finanziaria 'che da' e non toglie'. E non solo per la massa ingente di risorse (300 miliardi di euro in tre anni), ma soprattutto per la decisione di riaprire il 'grande cantiere' della sanità pubblica". Nello stesso intervento Livia Turco rileva che il problema non è il ticket, ma è negli "attuali criteri di esenzione, che purtroppo sono troppo sbilanciati su parametri che spesso distorcono la realtà dei bisogni".
Quanto al significato dei ticket al pronto soccorso, il ministro spiega che si tratta di un provvedimento per "un uso appropriato del servizio di emergenza. Se c'è una vera urgenza non si paga. Ma per tutti quegli interventi che è possibile risolvere in ambulatorio, anche per evitare intasamenti in luoghi dove si trattano codici rossi, si paga il ticket: 23 euro per la visita medica più 18 se sono necessari esami diagnostici". Infine, Turco annuncia che sarà potenziata l'assistenza sul territorio 24 ore su 24: "A questo scopo ho introdotto in finanziaria la correzione del piano sanitario e al primo punto c'è ora l'incremento della sanità sul territorio. Abbiamo anche avviato un fondo di 100 milioni di euro per l'assistenza domiciliare ai non autosufficienti".
Il ministro della Sanità ha anche a cuore il tema dell'immigrazione. Quello che propone la Turco nel suo libro "I Nuovi Italiani" è di praticare politiche di riconoscimento: gli immigrati, cioè, pur rimanendo legati alle loro tradizioni, dovrebbero sottoscrivere un patto con lo stato italiano, condividerne valori e regole, e gli dovrebbe essere concesso il diritto di voto alle elezioni amministrative ed a quelle europee.