Il sorriso bianchissimo e contagioso, non lo ha mai perso. Nemmeno nei momenti più difficili. Nemmeno due anni fa quando le venne bocciata a Sanremo «Bruci la città», gioiello scritto da Francesco Bianconi dei Baustelle. Era un passaggio ciuciale della caiiiera di Irene Grandi che usciva da un'infilata negativa: una partecipazione incolore come conduttrice al Festivalbar, una raccolta, un disco sbagliato come «Indelebile». «Ero in viaggio per dei progetti con Unicoop in Burkina Faso. Vedere attorno a me problemi ben più grandi mi ha fatto ridimensionare la delusione. Sapevo che quella canzone era forte» racconta. E in effetti è stata uno dei tormentoni dell'estate 2007. Dopo quel successo e un disco natalizio di successo Irene toma a Sanremo con «La cometa di Halley», scritta anche questa da Bianconi. «Nessuna vendetta. Però mi fa piacere che questa volta sia capita» dice senza rancore verso il direttore artistico Gianmarco Mazzi che la bocciò. Al Festival ci arriva in un momento particolare. Ha appena compiuto 40 anni e la gente si aspetta un ritomo alla grande. «L'album che uscirà a Sanremo apre una fase nuova della mia camera. La riscoperta di Irene Grandi dopo un periodo in cui non ho avuto un'onda superpositiva. Sarà un disco che toccherà temi grandi, non solo la quotidianità. In questo mi sento cresciuta, sento l'esigenza di raccontare cose nuove» anticipa. Ma come ha vissuto il momentaccio? «Ho sempre lavorato molto anche in quel periodo e quindi non me ne sono resa conto. Con "Bruci la città" però ho sentito tornare l'affetto delle persone e ho capito che qualcosa era successo. Insomma, ho sentito più i benefici del dopo che i problemi del prima» ammette. Sanremo è un palcoscenico cui Irene è molto legata. Ci è andata due volte. Nel 1994 fra i giovani con «Fuori». «Non avevo nulla da perdere. Ero entusiasta e piena di grinta. Ricordo la stanza dell'albergo piena di fiori che arrivavano da ogni parte d'Italia: dai miei compagni delle elementari a Jovanotti che poi avrebbe scritto un pezzo per me». Passano gli anni, in mezzo ci sono colpi come «Bum bum», «In vacanza da una vita» e collaborazioni con Eros Ramazzotti e Pino Daniele, quindi la svolta rock di «Verde rosso blu» e nel 2000 Irene torna a Sanremo con «La tua ragazza sempre» scritta da Vasco Rossi e Gaetano Curreri. «Il passaporto per il rock me lo ha dato il re Vasco. Mi ricordo le sue telefonate per gli in bocca al lupo. Andavo in scena con un guanto solo ma per la finale mi diedero il sinistro invece del destro. Cantai tenendo il microfono con la mano con cui non sono abituata... Fu la mia miglior interpretazione di sempre». Non c'è due senza tre. «Sono contenta. In camera sono stata favorita da grandi artisti, questa volta sono io che offro la mia esperienza a un emergente come Francesco che ha una poetica contemporanea e moderna». E di che parla il brano? «Attraverso immagini cosmiche si ragiona di amore. Cioè quando l'amore diventa grande lo si percepisce anche nel cielo». Sdolcinata? «No, anzi. Ci sono scene scure, crepuscolari, immagini che danno il senso di smarrimento di questi tempi». Sanremo è anche polemica. Ce ne sono già due. Emanuele Filiberto e il testo di Povia su Eluana. «Il principe lasciamolo perdere, no comment. Povia ama provocare. Non lo amo come cantante ma è un bravo cantastorie». Chi vincerà? «Morgan, Malika Ayane, Noemi, Marco Mengoni sono quelli che mi piacciono. Ma credo che la mia canzone sia la più bella». Sorriso.