«Mi piacciono i piccoli film indipendenti si improvvisa, si è più liberi e motivati»
A vederla per strada Giovanna Mezzogiorno si potrebbe non riconoscerla: corpo minuto da ragazzina, un giaccone per ripararsi dal vento, un paio di stivali alla moschettiere. Solo gli occhi, anzi più che gli occhi lo sguardo, intenso, doloroso, perfino lontano, è il suo: inimitabile. Considerata la più brava tra le attrici dell’ultima generazione, appena tornata da Hollywood dove concorreva all’Oscar con «La bestia nel cuore» della Comencini, forte di film come «Del perduto amore» di Placido, «L’ultimo bacio» di Muccino, «La finestra di fronte» di Ozpetek, e titoli tv come «Più leggero non basta», «Il segreto di Thomas» o «Virginia» sulla Monaca di Monza, potrebbe passare da una produzione importante all’altra, con l’unica fatica di dover scegliere. A Giovanna Mezzogiorno, però, piace sperimentare.
Lavora spesso con registi alla loro opera prima, accetta per amicizia piccoli film destinati a un’apparizione in sala, e se un progetto la convince, si butta. Adesso, per esempio, è tra i tanti attori che collaborano a «Ad Project» di Eros Puglielli, finanziato da chi lo ha fatto, girato in elettronica, destinato solo al mercato in Dvd come prodotto di genere per cinefili appassionati a quella cosa non meglio identificata che sta tra il giallo e il nero, la fantascienza e la psicologia.
Con lei Marco Bonini, Eleonora Mazzoni, Valerio Mastandrea, Rolando Ravello e perfino Giorgio Albertazzi nel ruolo di uno stralunato psicologo. Più che il film, in questo caso, conta il modo con cui è stato realizzato tant’è che Marco Bonini, il più preciso del gruppo, spiega che se il valore dell’opera sta sui 150mila euro, il costo materiale è stato di appena 8 mila euro, essendo stato girato nei ritagli di tempo, tra Ostia e Malagrotta, spesso di notte e molto addirittura nella casa del regista adeguatamente trasformata. L’ambizione è che altri autori possano seguirne l’esempio studiando la formula sul sito www.thecoproducers.org dove vengono date le spiegazioni del caso.
Nessuna esitazione, Giovanna Mezzogiorno, prima di accettare questo esperimento?
«Nessuna. Siamo lo stesso gruppo che ha lavorato con Puglielli a “Tutta la conoscenza del mondo”, il suo primo film. Era naturale che ci fossi anch’io. Per di più, quando me l’ha chiesto, non avevo altro da fare. Ho accettato perchè ho una fiducia illimitata in lui».
Qual è il vantaggio di lavorare al di fuori di una produzione industriale?
«Ci si sente diversi. Più liberi, più padroni di se stessi, più motivati. Ognuno di noi poteva improvvisare. Il copione contava ma il personaggio era il nostro. Anche perchè, avendo girato alcune scene a distanza di mesi, non era possibile pretendere il rispetto delle battute. Per noi attori è stato come partecipare a un laboratorio creativo».
E’ una formula che potrebbe funzionare?
«In principio questo doveva essere il primo capitolo di una serie da mandare su una tv satellitare. Poi abbiamo cambiato idea e deciso di farlo uscire solo in Dvd, magari presentandolo a qualche festival. Gli attori americani spesso si coproducono le loro opere più piccole: perché non dobbiamo farlo anche noi?».
Per due mesi quest’anno è stata in India dove ha girato «Lezioni di volo» di Francesca Archibugi: c’era già stata con suo padre Vittorio?
«No, non c’ero mai stata. E ne avevo anche paura. Con l’Archibugi l’abbiamo attraversata tutta, dal Rajanistan al Kerala. Ovunque mi sono sentita a mio agio: in India c’è molta confusione ma nessuna tensione. Non è come in Nord Africa dove a volte avverti l’ostilità verso noi occidentali».
Resta a Roma adesso?
«Comincio a girare un’altra opera prima: “Notturno bus” di Davide Merengo, una sceneggiatura tratta da un libro. E’ una storia di marginali che si svolge su un autobus: Valerio Mastandrea è l’autista, io sono una sradicata in fuga, senza documenti e senza futuro, che sale su quell’autobus».
Le piacerebbe andare a lavorare negli Stati Uniti?
«Non so. Ogni tanto lavoro in Francia. Ho appena girato “Les murs porteurs” di Cyril Gelblat, un altro esordiente. Ma non lo faccio per conquistarmi uno spazio internazionale: non mi interessa».
Tra un mese andiamo a votare: segue la politica italiana?
«Seguo e sto male. Ho visto l’altra sera il “faccia a faccia” tra Prodi e Berlusconi. M’è piaciuto perché c’erano regole di ferro. Non si poteva trasformare in una rissa. E finalmente s’è visto che mentre Prodi sa dire le cose con poche parole, Berlusconi sa fare solo i suoi monologhi. Per di più, rendendosene conto, alla fine s’è perfino lamentato delle regole che il suo stesso staff aveva stabilito».