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Daria Bignardi

Sarà per quelle décolletè esibite con nonchalance venerdì o, molto più probabilmente, per essere tornata in televisione con le sue interviste, ma Daria Bignardi, all’esordio di “L’era glaciale” su Raidue, ha sfondato la soglia del 20% di share con un picco di 2.153.000 spettatori alle undici e tre quarti. Come dire: la notte porta consiglio al pubblico. I numeri saranno pure aridi, ma passare da La7 alla Rai, lasciare un cult come “Le invasioni barbariche” e bussare a un nuovo tipo di audience non è poi così facile.

Il personaggio, d’altra parte, è complesso. Piace molto agli uomini, che la trovano un mix insolito di seduzione e intelligenza, visione un po’ razzista tipicamente maschile, ma ha pure la complicità del mondo femminile che le riconosce un buon grado di caparbietà: «Dicono che ho grinta? Io la chiamerei piuttosto flessibilità» spiega «le donne sono pronte, storicamente, a essere precarie. Ci si chiede di fare mille lavori, di non avere mai certezze. Una condizione di competitività e difficoltà che solo oggi ci accomuna un po’ tutti».

Ferrarese, 47 anni, sposata con il giornalista Luca Sofri, due figli, Emilia e Ludovico, la Bignardi è considerata ormai la “lady” della tv italiana: «Questa non l’avevo mai sentita, sarà una questione d’età. Più si invecchia, più ti danno della signora». L’ironia non le manca: si è visto dall’intervista a Roberto Mancini, ex stella sampdoriana ed ex allenatore dell’Inter, che seguiva, quasi a ruota, quella a Giovanni Galli, ex portierone promosso candidato sindaco di Firenze sotto le insegne del Pdl: «Due calciatori? Del tutto casuale e poi avevamo chiuso le “Invasioni barbariche” su La7 con Matteo Renzi e ci sembrava giusto ripartire da lì. In fondo lo scontro elettorale di Firenze ha delle caratteristiche che raccontano il Paese».

Parla con toni misurati, leggeri, ma si capisce che corregge impercettibilmente la rotta del discorso, come fa nei suoi talk show: «Mi piace molto ascoltare, intervisto tutti , anche l’edicolante. Le storie delle persone sono belle». E le idee? «Quelle a volte un po’ meno, in alcuni sono sorprendenti, in altri banali. Invece la storia non tradisce mai». Le sue trasmissioni, da “Tempi moderni” che coltivò su Italia 1 alle “Invasioni” sino a questa “L’era glaciale” hanno tutte un senso di immanenza, a cominciare dal titolo: «E pensare che uno dei libri che amo di più è “Il cigno nero” di Nassim Nicholas Taleb sull’imprevedibilità. C’è sicuramente il caso, nelle nostre esistenze, ma anche il destino che identifico con la nostra memoria, con tutto quello che ci portiamo dietro. Siamo come antenne che intercettano la contemporaneità».

In studio, nella scenografia volutamente glaciale e stordente, si muove sicura con le maniere di un salotto bon ton: «Non sono cinica, anche se noi televisivi tendiamo a farlo quando compiliamo le liste degli ospiti: quello no perché è bollito, quell’altro neppure perché non ha nulla da dire. Ma quando troviamo quelli giusti, il discorso cambia». Pare che le vada bene perché Sky ha cercato di ingaggiarla, «ma avevo già un impegno con la Rai che me l’ha offerto prima». Così, ora, potrà dedicarsi a un lavoro «che io intendo ancora da free lance o meglio da imprenditrice. Non ho mai vissuto situazioni protette, ho sempre firmato contratti per due, tre anni. Ho la mentalità di chi si gioca tutto, giorno per giorno». E la tendenza a preferire l’osservazione allo standard, al punto da amare o meno la politica: «Non dico che mi annoi, anzi, ma qualche volta mi annichilisce. Per anni le mie interviste hanno coinciso con tante campagne elettorali, poi ci sono periodi di stagnazione e me ne allontano. Ora però sarà diverso: ci sono le elezioni europee e amministrative, e qualcosa da sentire in girò ci sarà pure, no? C’è il nuovo Pd e questo Franceschini che sembrava messo lì per sbaglio, invece sta dimostrando di avere una certa grinta. Mi sembra un personaggio da approfondire e verrà alla terza puntata. C’è D’Alema, il padre della patria di sinistra sempre un po’ Sfinge, difficile da capire, e ci sono molti esponenti del centro destra che mi piacerebbe conoscere meglio come Alfano e Tremonti che inseguo da tempo. E infine c’è la sinistra scomparsa dal Parlamento: voglio andare a cercarla».

 

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