Antonio Di Pietro si pente e pronuncia pubblico mea culpa: «La commissione d'inchiesta sul G8? Ho sbagliato». In un Paese dove l'assunzione di responsabilità non è di moda, il più popolare dei ministri scrive su'Unità e ringrazia il giornalista Marco Travaglio di avergli «aperto gli occhi» dedicandogli gli strali di Uliwood Party. «Caro Travaglio, la sua rubrica mi ha fatto riflettere...». Folgorato dal titolo «Quo vadis, Tonino?», che evoca l'apostolo Pietro in fuga dal martirio, il responsabile delle Infrastrutture ha rivisto il film delle risse col Guardasigilli e quello delle strizzate d'occhio alla Cdl in Parlamento. E interrogandosi sulla «verità relativa e quella assoluta», si è accorto che la parte del «pierino» recitata in duo con Mastella non gli piace più: «Ho deciso di dare una lezione a me stesso». Quasi una conversione, tra filosofia, politica e religione. «Benedetto il Signore, a forza di rilanciare le mie buone ragioni mi sono trovato accomodato in una barca non mia (quella di Berlusconi; nar) e questo mi ha fatto scattare la molla...». Ieri lo ha chiamato Prodi, preoccupato per la Finanziaria: «Ascolta Tonino, che intendi fare in Aula con quegli emendamenti che ti hanno bocciato in commissione al Senato?». Qualche ora dopo il ministro ha richiamato il premier: «Tranquillo, Romano. Gli emendamenti li ritiro tutti». Silenzio felicemente sbigottito di Prodi e conclusione di San (Di) Pietro: «La gara delle rivendicazioni ci ha portato sull'orlo del precipizio, ci deve pur essere qualcuno che dice "fermatevi"!». La svolta buonista, forse suggerita dai sondaggi, riguarda il metodo ma non i contenuti. Di Pietro resta convinto di aver ragione sulla commissione d'inchiesta per il G8 quanto sul Ponte di Messina. «Ma in una coalizione bisogna tenere conto delle ragioni degli altri...»