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La riforma delle pensioni? “Giusta”. La reazione sindacale? “Scontata”, dice Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Ubs Corporate Finance Italy, ed ex direttore generale di Confindustria.

“Bisogna spiegare che ci sono soltanto due opzioni: aumentare la pressione fiscale o riformare le pensioni. Il sistema pensionistico è nato in un periodo in cui la speranza di vita era molto più bassa e in cui c’era una forte crescita della popolazione. Adesso non è più così. I vecchi calcoli non funzionano più. Esiste un carico di spesa eccessiva”.

Cipolletta è nato 62 anni fa, il giorno dell’Immacolata concezione. Ha un leggero accento romano. Il suo curriculum è lungo come un campo da calcio: oggi è vicepresidente dell’editrice Il Sole 24 Ore e presidente dell’università di Trento. Di economia, ovvio, se ne intende.

“Le pensioni fanno parte di un sistema matematico. Se cambiano le condizioni, cambiano le pensioni”. Peraltro, dice, gli italiani non sono messi male: l’80 per cento è proprietario della casa in cui vive, il tasso di risparmio sulle entrate è altissimo, circa il 15 per cento. Tantissimi hanno una seconda casa.

“C’è un patrimonio accumulato notevole”. Perché, allora, la reazione dei sindacati? “La reazione è scontata più che esagerata. È il frutto amaro della battaglia per l’articolo 18, in cui la contropartita per l’assenso della Cisl e della Uil era un patto implicito, credo, che le pensioni non sarebbero state toccate”.

E se il governo non fa la riforma? “Rischierebbe di dover aumentare le tasse”. Mi vengono in mente due slogan delle elezioni del 2001: “meno tasse” e “pensioni più dignitose”. Forse “pensioni dignitose” – non ce l’hanno spiegato allora – voleva dire “meno pensioni”.

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