"Gli stessi, interminabili processi”, ha scritto Ignazio Silone, “si tramandano all’infinito da una generazione all’altra”. L’Italia dev’essere il paese più litigioso del mondo, anche più dell’America.
Il che naturalmente significa che gli avvocati lavorano come matti e guadagnano un sacco di soldi. Da questa settimana, con il bizzarro caso di Telekom Serbia, guadagneranno ancora di più. L’accusa rivolta ad alcuni esponenti del governo del centrosinistra, in carica dal 1996 al 2001, è di aver intascato tangenti in affari loschi con il regime di Milosevic.
Gli accusati ribattono: si tratta di una montatura, opera del burattinaio in capo, il premier. A questo punto Berlusconi querela Fassino per diffamazione, dicendo di essere stato danneggiato. Il caso è interessante perché fa luce sul motivo per cui in Italia è tanto difficile fare il giornalista: a volte il potere giudiziario si presenta davvero come un prolungamento del potere politico. Nessuno è mai innocente: semplicemente, variano i gradi di colpevolezza.
Ma adesso – come ha scritto Pierluigi Battista in un ottimo editoriale sulla Stampa – si sono invertite le parti: i garantisti sono diventati giustizialisti e viceversa. Il che ovviamente ha l’effetto di rendere una delle parti indistinguibile dall’altra, e introduce un relativismo morale in cui diventa facile mettere sullo stesso piano Fassino e Berlusconi (un cinico direbbe: cui prodest?).
L’uno dichiara di essere vittima di una caccia alle streghe motivata da ragioni politiche, e così anche l’altro. Va a finire che gli organi d’informazione non possono più valutare la differenza morale fra i politici in base alla loro onestà (come dovrebbe essere), ma solo in base alle loro posizioni politiche a priori.