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Intervista a Francesco Falasconi, un tifoso romanista

"Il calcio non è una questione di vita o di morte", ha detto una volta Bill Shankly, mitico allenatore del Liverpool. "È più importante". Questa settimana la battuta è stata quasi capovolta: una morte è stata più importante del calcio. Cosa anche giusta, se solo fosse stata vera.

L'ironia è che una delle cose più ammirevoli del calcio italiano è il rispetto per i morti: striscioni commemorativi, fiori lasciati sotto le curve dai giocatori per un tifoso scomparso, minuti di silenzio rispettati da migliaia di fan. Quel che è successo all'Olimpico domenica sera è stato ben diverso, però.

Sentiamo Francesco Falasconi, un simpatico tifoso romanista: "Secondo me i giocatori della Roma erano già angosciati da altre esperienze dolorose. Ricordati che hanno dovuto giocare l'11 settembre 2001, poi hanno giocato due settimane fa, dopo le bombe a Madrid". Giusto sospendere la partita? "Mah, sospendere una partita non è la cosa peggiore del mondo. Il guaio è che hanno aspettato troppo. Poi il fatto che l'abbia deciso Galliani mi lascia un po' da pensare".

Qual è l'aria che si respira a Roma in questi giorni? "Il pubblico è frastornato. Ci sono tante voci discordanti su ciò che è successo. Si dice che gli ultrà abbiano voluto conquistarsi un ruolo. È chiaro che ci sono tensioni tra tifosi e società, tra ultrà e forze dell'ordine. Secondo me la responsabilità va divisa. Il sistema calcistico va a monte anche per il business che c'è intorno. Gran parte dei mezzi d'informazione descrive i tifosi solo come teppisti, mentre tanti hanno davvero paura della polizia".

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