Mi colpisce spesso la scarsa stima per i carabinieri. “Assassini”, si vede scritto sui muri, soprattutto dopo i fatti di Genova 2001.
Forse, in particolare dopo Nassiriya, è ora di pensarci bene. La settimana scorsa ero in Calabria e ho conosciuto “Massimo”, un carabiniere con quindici anni di servizio. Un simpaticone, molto divertente e molto premuroso.
“Il problema”, dice, “è che le persone si accorgono di noi solo quando ci vedono con il manganello, quando ci si scontra faccia a faccia. Purtroppo, la nostra visibilità è alta solo quando le piazze sono affollate.
Spesso diventa una sorta di sfida e crea l’immagine di una contrapposizione tra i carabinieri e la volontà dei cittadini”. La vera prima linea, spiega, è un’altra.
“Fare il carabiniere qui, in Calabria, non è per niente facile. Devi abituarti a vivere con la paura, con gli occhi sempre addosso. Lavoro con dei colleghi molto bravi che ogni settimana rischiano la vita. Lottiamo per contrastare una criminalità molto potente e per creare un ambiente in cui la legalità diventi la norma. Forse per questo, nonostante la tragedia di Nassiriya, siamo utili agli alleati in Iraq. Abbiamo anni di esperienza in zone pericolose, in cui la gente ti spara addosso".
"Non dico che la Calabria è uguale all’Iraq, ovvio. Però se i britannici hanno imparato cose importanti dalle loro esperienze in Irlanda del Nord, anche noi sappiamo come comportarci dopo decenni di lotta alle mafie. Il nostro dovere, sia in Iraq che in Italia, è quello di creare un paese migliore, un paese che rispetti pienamente la legge”.