Fin da quando si trovava in carcere a Milano, Gramsci era intenzionato a occuparsi «intensamente e sistematicamente di qualche soggetto» che lo «assorbisse e centralizzasse la sua vita interiore». L'8 febbraio 1929, nel carcere di Turi, il detenuto 7.047 ottenne finalmente l'occorrente per scrivere e iniziò la stesura dei suoi «Quaderni del carcere». Il primo quaderno si apre proprio con una bozza di 16 argomenti, alcuni dei quali saranno abbandonai, altri inseriti e altri ancora svolti solo in parte. Caratteristico era il suo modo di lavorare: quasi tutti i giorni, per alcune ore, camminando all'interno della cella, rifletteva sulle frasi da scrivere e poi si chinava sul tavolino, scrivendo senza sedersi, un ginocchio appoggiato sullo sgabello, per riprendere a camminare e a pensare.
Intanto, il VI Congresso dell'Internazionale comunista, tenutosi a Mosca dal luglio al settembre 1928, aveva stabilito l'impossibilità di accordi con la socialdemocrazia, che veniva anzi assimilita allo stesso fascismo. Era la tesi di Stalin il quale, liquidata l'opposizione di Trotskij, eliminava anche l'influenza di Bucharin che, già suo alleato contro la sinistra di Trotskij, era rimasto il suo principale oppositore da destra. Al nuovo orientamento dell'Internazionale, riaffermato nel X Plenum del Comitato esecutivo nel luglio 1929, dovevano adeguarsi i Partiti nazionali, espellendo, se necessario, i dissidenti. Il Partito comunista d'Italia si adeguò alle scelte dell'Internazionale, espellendo Angelo Tasca in settembre e in successione, ma con l'accusa di trotskismo, prima Bordiga, poi, nell'aprile del 1930, Alfonso Leonetti, Pietro Tresso e Paolo Ravazzoli.