Arrestato il 9 agosto 1898 con l'accusa di peculato, concussione e falsità in atti, Francesco Gramsci viene condannato il 27 ottobre 1900 al minimo della pena con l'attenuante del «lieve valore»: 5 anni, 8 mesi e 22 giorni di carcere, da scontare a Gaeta; priva del sostegno dello stipendio del padre, per la famiglia Gramsci furono anni di estrema miseria che la madre affrontò vendendo la sua parte di eredità,
tenendo a pensione il veterinario del paese e guadagnando qualche soldo cucendo camicie.
Proprio per le sue delicate condizioni di salute Antonio cominciò a frequentare la scuola elementare soltanto a sette anni: la concluse nel 1903 col massimo dei voti ma la situazione familiare non gli permise di iscriversi al ginnasio. Già dall’estate precedente aveva iniziato a dare il suo contributo all'economia domestica lavorando all'Ufficio del catasto di Ghilarza per 9 lire al mese - l'equivalente di un chilo di pane al giorno – per 10 ore al giorno, smuovendo «registri che pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo».
Il 31 gennaio 1904 Francesco Gramsci, grazie a un’amnistia, anticipa di tre mesi la fine della sua pena: inizialmente guadagnò qualcosa come segretario in una Assicurazione agricola, poi, riabilitato, fece il patrocinante in conciliatura e infine fu riassunto come scrivano nel vecchio 'Ufficio del catasto, dove lavorò per il resto della sua vita. Affrontando gli abituali sacrifici, i genitori poterono iscrivere il quindicenne Antonio nel Ginnasio comunale di Santu Lussurgiu, a 18 chilometri da Ghilarza, «un piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori sbrigavano, con molta faccia tosta, tutto l'insegnamento delle cinque classi».