L'apertura nei confronti dei socialisti, insomma, fu una vera e propria costante di questa fase di governo: Giolitti programmava, infatti, di estendere il consenso nei riguardi del governo presso queste aree popolari, e in particolare presso quelle aristocrazie operaie che, grazie ad una migliore retribuzione salariale e, quindi, a un migliore tenore di vita, avevano il diritto di voto. Giolitti era infatti convinto che non fosse utile a nessuno tenere bassi i salari perché da un lato non avrebbe consentito ai lavoratori di condurre una vita dignitosa, dall'altro avrebbe strozzato il mercato provocando una sovrapproduzione.
A questo proposito la critica storiografica nota come, da queste migliori condizioni sociali, rimanessero esclusi i lavoratori meno qualificati (in particolare quelli meridionali), di fatto spesso e volentieri emarginati dai progetti politici di Giolitti (e che andarono a confluire nei partiti massimalisti).
Altri importanti provvedimenti furono attuati dal monregalese in campo economico: su tutti, la nazionalizzazione delle ferrovie e la promozione dello sviluppo economico attraverso la stabilità monetaria ed i lavori pubblici (ad esempio il traforo del Sempione). Poi invitò l'amico Alessandro Fortis a creare un governo (come di fatto avvenne).