Come neo-presidente del Consiglio si trovò a dover affrontare, prima di tutto, l'ondata di diffuso malcontento che la politica crispina aveva provocato con l' aumento dei prezzi . Ed è questo primo confronto con le parti sociali che evidenzia la ventata di novità che Giolitti porta nel panorama politico dei cosiddetti "anni roventi": non più repressione autoritaria, bensì accettazione delle proteste e, quindi, degli scioperi purché non violenti né politici (possibilità, fra l'altro, secondo lui ancora piuttosto remota in quanto le agitazioni nascevano tutte da disagi di tipo economico). Come da lui stesso sottolineato in un discorso in Parlamento in merito allo scioglimento, in seguito ad uno sciopero, della Camera del lavoro di Genova, sono da temere massimamente le proteste violente e disorganiche, effetto di naturale degenerazione di pacifiche manifestazioni represse con la forza: «Io poi non temo mai le forze organizzate, temo assai più le forze disorganiche perché se su di quelle l'azione del governo si può esercitare legittimamente e utilmente, contro i moti inorganici non vi può essere che l'uso della forza». Contro questa sua apparente coerenza si scagliarono critici come Gaetano Salvemini che sottolinearono come invece nel Mezzogiorno d'Italia gli scioperi venissero sistematicamente repressi. L'intellettuale meridionale definì Giolitti un "ministro della malavita" proprio per questa sua disattenzione riguardo ai problemi sociali del Sud, che avrebbe provocato un' estensione del fenomeno del clientelismo di tipo mafioso e camorristico.
In ogni caso resta innegabile la tendenza, sfondo di tutta la sua attività politica, di spingere il parlamento ad occuparsi dei conflitti sociali al fine di comporli tramite opportune leggi.
Per Giolitti infatti, le classi lavoratrici non vanno considerate come pura opposizione allo stato - come fino ad allora era avvenuto - ma occorre riconoscere la loro legittimazione giuridica ed economica. Compito dello stato quindi è quello di porsi come mediatore neutrale tra le parti, poiché lo stato rappresenta le minoranze ma soprattutto la moltitudine di quei lavoratori vessati fino alla miseria dalla legislazione fiscale e dello strapotere degli imprenditori nell'industria.