Allo scoppio della guerra, nel 1914, si distinse per la sua campagna rigorosamente antimilitarista. Nel 1915 fu chiamato alle armi e dovette sospendere l'attività aperta contro la guerra. Esonerato dal servizio attivo per grave miopia, riprese l'attività politica presentando nel partito, nel 1917, una mozione contro la formula ambigua e fuorviante di "né aderire né sabotare". Destò grande sorpresa fra i dirigenti del partito il risultato della votazione: 14.000 voti per la mozione della Sinistra e 17.000 per quella degli altri raggruppamenti. Nell'agosto del 1917 Bordiga fu l'animatore della "Frazione Intrasigente Rivoluzionaria", della quale scrisse le tesi politiche, fatte accettare quasi all'unanimità al seguente congresso della Federazione Giovanile.
Allo scoppio della Rivoluzione russa nell'ottobre del 1917, aderì al movimento comunista internazionale e formò la "Frazione Comunista Astensionista" all'interno del PSI. La frazione si diceva astensionista in quanto si opponeva alla partecipazione alle elezioni borghesi e fu questa corrente, alla quale si affiancò quella torinese dell'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, a uscire dal PSI a Livorno nel gennaio 1921 per formare il Partito Comunista d'Italia (Pcd'I). Era l'epilogo di una lunga divisione interna ai socialisti, che fin dal 1919 si erano trovati nel dilemma se accettare o meno interamente le condizioni poste da Lenin per entrare nella Terza Internazionale. Nel corso delle dispute su queste condizioni, Bordiga, partecipando al Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista nel 1920, fece aggiungere 2 condizioni alle 19 già fissate da Lenin. Nonostante l'appoggio di Lenin ai comunisti italiani contro i riformisti del PSI, le posizioni astensioniste di Bordiga furono criticate dallo stesso Lenin in "L'estremismo: una malattia infantile del comunismo" (cui Bordiga rispose negli anni '60 con un saggio contro i falsificatori di Lenin).