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Ecco che ritorna il "caso Pannella" e quando si parla di caso Pannella si tratta sempre del fatto che preferisce non mangiare più per poter farsi ospitare in tv e per far avere al suo partito più voti. Se fossi un politico io non vorrei voti per pietismo, ma per quello che ho fatto; lui invece da dilapidato tutto il patrimonio radicale con la sua presunzione ...
Avendo già detto in altre occasioni come la penso, preferisco lasciarvi leggere un articolo di Massimo Teodori apparso su "Il Foglio" in cui Adriano Sofri dice quello che pensa a riguardo.

 

“La cosa grossa di cui si tratta … la morte di Marco Pannella”. Adriano Sofri ha messo i piedi sul piatto del leader radicale. Ed io non posso che piangerne la parabola discendente ancor più di quanto abbia già fatto. Perché con il tramonto di Pannella muore la speranza della mia generazione per una forza di sinistra antitotalitaria, laica e liberale di cui il Paese ha sempre avuto bisogno. E’ questo il buco nero non della sinistra o della destra, non della politica entro o fuori dal Palazzo, ma della Repubblica. Il tramonto è cominciato una ventina d’anni fa quando Marco nella sua totalizzante passione politica ha deciso che la forza e la politica radicale, e perfino la parola, non potessero che identificarsi ossessivamente con la sua persona. Sofri parla di “megalomania prossima al delirio”: io ho scritto della sua fissazione ecclesistica: “Nulla salus extra Pannellam”. Due le distruttive vocazioni pannelliane: la presunzione che si potessero meglio perseguire i valori e gli obiettivi radicali attraverso la sua persona piuttosto che con una forza politica organizzata; e la convinzione di sapere esercitare un’azione salvifica su tutto e tutti. L’agonia politica di Marco si è alimentata con la distruzione del PR, la desertificazione della classe dirigente, la strumentalizzazione dei compagni di strada, il disinteresse per reali dialoghi politici nell’ostinata illusione di potere pilotare la politica italiana esclusivamente con l’influenza personale: Craxi: Martinazzoli, Scalfaro, Berlusconi… 
Io piango più di Sofri sul tramonto di Marco, perché ho vissuto la passione e la tragedia radicale sulla mia pelle. L’Italia repubblicana ha sempre avuto bisogno di una forza liberale e innovatrice, e Pannella possedeva tutte le carte in regola per fare ciò che né gli azionisti, né Pannunzio ed Ernesto Rossi, né Saragat e La Malfa, e neppure Craxi hanno saputo e voluto fare. Marco aveva un surplus non politicista che lo avrebbe reso un padre della patria, davvero speciale. Poteva essere tra i grandi antitotalitari del ‘900 alla stregua di Orwell, Koestler e Camus, o tra i leader del calibro di Palme, Mitterrand e Blair, e invece siamo qui a ricordarlo per i suoi bizzarri rapporti a Strasburgo con Otto d’Asburgo e Jean-Marie Le Pen, per le sue campagne sugli Uiguri, per la sua tattica ad elastico possessivo con Emma Bonino o per le sue idiosincrasie per Daniele Capezzone. Con il suo egotismo è riuscito a distruggere anche ciò che di grande aveva creato, ed ha presidiato il suo territorio politico ed ideale affinché null’altro vi potesse nascere. Sofri si domanda come andrà a finire. E’ facile profetizzare che Marco farà terra bruciata senza che alcuna persona o alcuna istituzione possano sopravvivere alla sua fine (che tutti auguriamo il più lontana possibile). Del resto ha già provveduto a farsi attento proprietario unico dei beni materiali e dei sigilli rappresentativi della famiglia radicale, e ad esercitare il suo indubbio fascino per  possedere i destini materiali e spirituali dei suoi fedelissimi. La lunga agonia e la morte di Marco che Sofri ha sparato senza grossolanità è una tragedia di immense dimensioni politiche.  
il Foglio, 2 mar 2007

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