Matteo Renzi è ormai presidente del Consiglio da alcune settimane ed è ormai finito anche per lui il tempo degli annunci. Le prime due cose di cui si sta occupando sono la nuova legge elettorale e la presentazione del provvedimento sulla riforma del lavoro ovvero il job act.
La nuova legge elettorale è distante dal sindaco d'Italia che aveva annunciato in campagna elettorale per le primarie Pd; ma si sa questa legge è frutto di un accordo con tutti gli altri partiti (in primis Forza Italia) e quindi non se ne può fare una colpa. Quello che comunque più resta impresso è la resistenza delle liste bloccate (anche se limitate a sei candidati per lista) invece delle preferenze del Mattarellum. Ma proprio le liste bloccate hanno creato un ulteriore problema: la parità di genere e cioè l'assicurazione che gli eletti non siano totalmente uomini. Succede che per ogni lista al massimo venga eletto il primo (per i partiti maggiori forse il secondo); ma se come capolista viene messo sempre un uomo si avrà l'automatica certezza che nemmeno una donna sia eletta.
Si è formato uno schieramento di donne di tutti i partiti (ma anche qualche uomo) che è pronto a far saltare tutta la riforma elettorale se non verrà inserita anche questa norma. Tra le tante ci sono Rosy Bindi, Anna Finocchiaro, Mara Carfagna, Alessandra Mussolini, Stefania Prestigiacomo e Irene Tinagli. Contro questa tesi c'è chi crede che comunque le elezioni avengono per nomina e quindi non serve a mulla. Sono i maschi che temono di perdere dei posti dico io; e invece accanto a nomi come Maurizio Gasparri e Renato Brunetta, c'è anche Daniela Santanchè. Come si è capito il partito in cui c'è più guerriglia su questo provvedimento è Forza Italia e Silvio Berlusconi ha promesso che arriverà a un punto di sintesi. Il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi ha dichiarato che ogni modifica è gradita se incontra il favore di tutti e se non cambia la struttura generale della riforma. E un'intesa sulla parità di genere fare proprio a questo caso.
Infine, c'è da considerare che la legge elettorale è solo metà della riforma elettorale complessiva; poichè c'è da cambiare in Costituzione le funzioni del Senato in modo da togliergli ogni funzione elettiva, diminuire di un mld all'anno le spese dell'ente e farlo occupare da rappresentanti già eletti in altri enti pubblici (governatori di Regioni, sindaci ecc) e quindi senza doppio stipendio. Il punto è che dei partiti come il Nuovo Centrodestra che temono la fine di questa legislatura hanno legato i due pezzi di riforma tra loro e quindi sesi andasse alle elezioni senza aver cambiato la Costituzione si voterebbe alla Camera con l'Italicum e al Senato con quello che viene chiamato Consultellum e cioè con i brandelli del Porcellum usciti indenni dalla sentenza della Consulta (un proporzionale puro). Risultato: due maggioranze diverse.
Mercoledì prossimo invece Matteo Renzi dovrà presentare, insieme ad altri provvedimenti, il Job act, cioè la riforma del lavoro. Ci si aspetta che azzeri tutti i tipi di contratti per lasciarne uno solo grantendo anche la copertura delle cassa integrazione aq chi ota non ne ha diritto. Dovrebbe esserci anche la riduzione del cuneo fiscale, ma non è chiaro in che verso: si parla sia della riduzione dell'Irap, che della riduzione dell'Irpef; a seconda che si vogliano favorire i consumi dei lavoratori o gli investimenti delle imprese. Più realisticamente il provvedimento comprenderà entrambe le cose ma per un importo massimo di non più di dieci mld. Vedremo cosa succederà: Renzi si gioca molto della sua credibilità da questi provvedimenti.