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Usa ancora un po' di cautela. Ma solo perché lo scienziato-senatore Ignazio Marino è persona rigorosa. Sa che una volta accettato di sparigliare lo scontro a due tra Dario Franceschini e Pierluigi Bersani per la leadership del Pd, l'impegno sarà totalizzante. Niente più interventi chirurgici (oggi è in sala operatoria a Verona), stop alle lunghe presenze in aula, ai dibattiti, agli hobby. Il dado tuttavia è tratto: Marino scende in campo, sarà lui il "terzo candidato" su cui potranno convergere gli scontenti democratici, i delusi dallo scontro a due, i "lingottini", ovvero quei trenta-quarantenni che si sono riuniti sabato scorso a Torino, al Lingotto, e là lo hanno acclamato.

Davanti alle remore del professore, i "lingottini" avevano anche pensato di candidare alla segreteria Giuseppe Civati. Candidatura che sarà ritirata. Non hanno ancora deciso però, come spiega Paola Concia, "bisogna raccogliere le forze". Le fanno eco gli altri: non siamo velleitari. Scontato l'appoggio a Marino. "Deciderò entro la fine della settimana", fa sapere intanto lo scienziato in un comunicato, dopo essere stato tempestato di telefonate, sms, mail. Lo scienziato in questi anni - da quando al ritorno dagli Usa i Ds lo candidarono a Palazzo Madama - ha condotto tutte le battaglie bioetiche. Sul testamento biologico invitò il partito a esprimersi in modo chiaro, "evangelico, perché ci sono momenti in cui bisogna saper dire "sì sì, no no"". Invece il Pd scelse la strada della "posizione prevalente", scontentando ugualmente molti, sia credenti che non credenti e, soprattutto, "non facendosi capire dalla gente", sottolineò Marino. Nell'appello della discesa in campo, parlerà dei diritti civili e sociali, della ricerca scientifica, dell'università, del mondo del lavoro, della corruzione, della "furfanteria scambiata per competitività". E del problema centrale del lavoro: "Possibile - ripete spesso - che ci siano 208 mila precari della scuola, soprattutto donne e di età media di 40 anni e nessuno ne parli?".

Massimo D'Alema ha provato a dissuaderlo, e a convincerlo ad appoggiare Bersani. Si sono incontrati mercoledì. Tra i due c'è stima e un certo feeling, tanto che il professore è stato talvolta etichettato come dalemiano. Niente da fare. Non si è fatto convincere a lasciar perdere. Gli arrivano da settimane decine e decine di incoraggiamenti a non tirarsi indietro e - cosa che lo sorprende molto - "sono i miei amici a sconsigliarmi mentre tanti altri insistono perché non si riconoscono in questa sfida a due". Definisce la sua "una candidatura anti apparato, le persone che incontro vogliono essere rappresentate da qualcuno fuori dalla oligarchie".

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