QUELLO CHE SUCCESSE. Tra le 6 e le 13 di martedì 11 settembre (ora locale) le forze armate cilene abbattono il governo liberamente eletto del Cile. L’azione parte dalla Marina a Valparaiso e si sviluppa nella capitale Santiago con il bombardamento aereo del palazzo presidenziale, la Moneda. Assediato, il presidente socialista Salvador Allende si suicida. Il generale Augusto Pinochet assume il potere. Migliaia di prigionieri vengono concentrati nello Stadio Nazionale. Più di 1.800 oppositori vengono uccisi nei primi giorni, con esecuzioni di massa o dopo torture.
CHE COSA C'ERA PRIMA. Unidad popular, coalizione di sinistra, aveva vinto le elezioni con il 36,6 per cento dei voti nel 1970. Allende, che governava con l’appoggio della Democrazia cristiana, aveva nazionalizzato banche, miniere di rame, espropriato 5 mila latifondi e istituito l’istruzione obbligatoria e gratuita. Una crescente opposizione alla sua politica si era prodotta in manifestazioni di piazza e serrate. Con l’appoggio della Casa Bianca (presidente Nixon, segretario di Stato Kissinger) i militari erano stati invitati a risolvere una situazione che andava contro gli interessi Usa. La maggioranza della Dc cilena appoggiò l’operazione, nel timore di una evoluzione «castrista» della situazione.
UN GOLPE MODERNO. Il colpo di Stato cileno stupisce per la violenza, la spettacolarità e l’alto livello di organizzazione. Nasce una potentissima polizia segreta (la Dina, diretta dal generale Manuel Contreras) che agisce in tutta l’America Latina (l’Operazione Condor), oppositori vengono inseguiti e uccisi in mezzo mondo. Pinochet sarà studiato dai militari argentini che tre anni dopo prenderanno il potere a Buenos Aires, con ancora maggiore violenza, ma con meno esibizione.
GLI EFFETTI IN ITALIA. Furono importantissimi. Molto lodevole fu il comportamento della nostra diplomazia che, in particolare per l’iniziativa dell’ambasciatore Tomaso de Vergottini, salvò migliaia di oppositori che erano riusciti a rifugiarsi nell’ambasciata. Nella sinistra italiana, che considerava Unidad popular un interessante esperimento, le reazioni furono diverse. Il Pci con Enrico Berlinguer sviluppò la teoria del «compromesso storico», ovvero di una stabile unione con la Democrazia cristiana per sottrarla a tentazioni golpiste. L’estrema sinistra vide in quella tragedia la necessità di «armare il proletariato» e di porre solide basi nelle Forze armate. In questo ambiente diventarono eroi popolari due membri del Mir, il giovane medico Bautista Van Schouven e il segretario di quel piccolo partito, Miguel Enriquez, ambedue uccisi. Il giovane Bettino Craxi si recò avventurosamente sulla tomba di Allende a Valparaiso, e riuscì a leggere un suo elogio funebre prima di essere fermato dai carabineros e poi espulso dal Paese. Ma, in generale, il Cile rimase tra noi con centinaia di esuli accolti nelle metropoli, ma anche in piccoli paesi, la fascinazione per Pablo Neruda, l’appoggio militante al Mir (il movimento di estrema sinistra che più pagò nella repressione), l’assistenza da parte della Dc italiana al dirigente della Dc cilena Bernardo Leighton gravemente ferito con la moglie in un attentato a Roma.