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La Margherita archivia l'Ulivo. Prodi a Rutelli: «Suicidio politico»

«Un suicidio». Dalla Cina Romano Prodi boccia la decisione della Margherita di presentarsi con una propria lista e il proprio simbolo nella quota proporzionale alle elezioni politiche del 2006. «C'è questa strana attribuzione di aver parlato di partito unico. Si attribuiscono intenzioni inesistenti per poi colpire. Non lo so dove si va a finire».

 

Addio Uniti nell’Ulivo. La coppia Rutelli – Marini , oltre a spaccare il partito, ha scelto di mettere sotto accusa il progetto del leader dell’Unione. Dall’unità dei riformisti alla competizione con i Ds: l’assetto che ha portato alle vittorie elettorali degli ultimi anni ne esce stravolto. «È una situazione difficile – commenta Prodi - L'Unione ha riscosso l'apprezzamento di tutti gli osservatori mondiali, hanno sostenuto che finalmente si è trovata una ricetta, finalmente si è trovata una quadratura...» E invece? Invece, niente: «Gli elettori cercano un punto di riferimento e io credo che abbiano il diritto di averlo. La lista unica è la carta vincente, è quello che vogliono gli elettori, io credo che si debba andare avanti su questa strada». Anche perché, spiega Prodi, «il paese ha bisogno di una svolta, ha bisogno di una grande frustata di energia, dovranno esser prese decisioni che saranno sgradevoli ma che devono essere condivise».

Ma quanti nella Margherita sono pronti a seguirlo? I sì alla proposta do Rutelli sono stati 224, i no solo 58, gli astenuti 16. Contrari i prodiani, da Parisi a Bordon. Hanno scelto di non votare sia Enrico Letta che Rosy Bindi, che avevano presentato un documento (bocciato dall’assemblea) per chiedere di rinviare il voto di un mese per tentare di ricucire lo strappo.
Francesco Rutelli non ha voluto sentire ragioni. E alla fine cerca di raccogliere i cocci che lui stesso ha frantumato: «Sulla mia relazione c'è stato un dibattito molto bello, ricco e importante – dice - Alla fine si è votato, come si fa nei partiti democratici. È stata un'espressione molto netta e forte, ma questo non significa che gli argomenti di chi ha votato no o di chi si è astenuto non faranno parte del nostro patrimonio comune. Continueremo a lavorare insieme».

Lo strappo
Sorrisi postumi che non cancellano la smorfia delle ferite. Bruciano ancora le parole dello stesso Rutelli, il suo j’accuse travestito da autodifesa: «Per tre anni ho tirato la carretta, ho mangiato pane e cicoria per consegnare a Romano Prodi un centrosinistra capace di vincere. Questa è la nostra realtà unitaria. Questa è stata la battaglia di anni. La Margherita è una forza al servizio di una forza più grande e se quel progetto unitario più grande esisterà, sarà soltanto se la Margherita sarà una forza vera». Brucia la provocazione di Franco Marini: «Col vostro permesso - ha detto rivolto all’assemblea - una critica a Prodi la voglio fare, capisco possa essere presa per lesa maestà e che un tempo si andava al rogo per questo». La colpa di Prodi sarebbe di volere troppo bene ai Ds: «Possibile che non si veda che da quando Prodi è tornato ci sia uno squilibrio nei rapporti con i partiti. Si legge che ha visto per un'ora Fassino, magari per prendere un caffè, ma mai si è visto un'ora con Rutelli».

Anche Dario Franceschini sferza la Quercia. Se il problema, argomenta, è «quello che qualcuno di noi teme e qualcuno di noi desidera, e cioè un Partito Democratico», allora «bisogna fare dei sacrifici: comincino ad uscire dal Pse».

Lo spettro della scissione
Ma a pesare ancor di più sono le divisioni interne. I prodiani sono in guerra, qualcuno minaccia scissioni. Pier Luigi Mantini è apocalittico: «Chi dice no alla proposta di Prodi, dice no a Prodi. Aspettiamo che propongano un altro leader. Cosa fare? Vediamo come si sviluppano le cose, a partire dal 17 giugno». Il 17 giugno, infatti, è stata fissata un’assemblea dei "prodiani" per discutere del futuro dell’Ulivo. Una scadenza che molti giudicano decisiva. «Ora sappiamo quanti sono
nella Margherita, o almeno nella sua Assemblea federale, gli ulivisti al passato e quanti quelli al futuro – commenta amaro Arturo Parisi - non sarà questo voto a farci desistere e men che mai arrendere. Appuntamento a tutti gli ulivisti il 17 giugno a Roma per ragionare assieme su come andare avanti nel Partito e tra la gente».

I no a Rutelli non sono molti, ma nel partito pesano. «La difficile scelta di votare no alla mozione di Rutelli, Marini e Franceschini – spiega il presidente della provincia di Roma Enrico Gasbarra - nasce dalla convinzione che la loro posizione, pure forte numericamente, è debole politicamente, nostalgica e rallenta il percorso della Fed, facendo compiere un passo indietro pericoloso al cammino ulivista». Per il capogruppo al Senato Willer Bordon «è positivo che si faccia chiarezza anche se ritengo la scelta di Rutelli una cosa gravissima, un danno enorme all'intero centrosinistra. Un danno, spero, recuperabile e non definitivo perché per fortuna torna presto Prodi».

Proprio su un recupero in extremis puntano ancora i pontieri, quei pochi che al momento della decisione hanno scelto di astenersi. Non votare sì o no al documento di Rutelli, spiega Enrico Letta, è «un gesto d' amore per l' unità dei Dl. Non vivrò mai scissioni né da protagonista né da comprimario». E Rosy Bindi fotografa così la situazione: «Per Rutelli, Marini e Franceschini da oggi mantenere l'unità nella Margherita sarà un po’ più difficile. Ma spero che non si vada ad una scissione»

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