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Nel 2008, al posto del divieto assoluto previsto dalla riforma Maroni, un disincentivo ad andare in pensione di anzianità prima dei 60 anni. Questo prepara il governo di centro-sinistra, ha spiegato ieri il ministro del Lavoro Cesare Damiano, nel tentativo di riallacciare il dialogo con i sindacati: un disincentivo «lieve», ovvero una pensione un poco più bassa. Ma il dialogo non si riapre; pur se il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, smentisce di aver definito «opzione concreta» uno sciopero generale.

No ai disincentivi, dichiara il segretario generale della Uil Luigi Angeletti. E di nuovo si dissocia dal governo l’ala sinistra della maggioranza, con il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano: i disincentivi non possono essere accettati, lievi o no. Quanto lievi, tra l’altro? Il ministro Cesare Damiano non fa cifre; secondo l’economista Elsa Fornero, presidente del centro studi torinese Cerp, per ottenere risultati bisognerebbe togliere dalle pensione il 3-3,5 per cento ogni anno di anticipo, dunque circa il 10 per cento in meno se si vuole lasciare il lavoro a 57 anni invece di 60.

La pensione di anzianità prima dei 60 anni sarà vietata a partire dal 1° gennaio 2008, secondo la legge Maroni approvata dal centro-destra. Il centro-sinistra vuole invece scoraggiare l’uscita dal lavoro prima di quell’età senza proibirla, spiega Damiano in una nota firmata dal capo della sua segreteria Giovanni Battafarano. All’opposto, chi deciderà di restare anche oltre i 60 dovrebbe essere incentivato. Mentre è del tutto falso, si legge, che il governo voglia alzare ancora l’età obbligatoria a 62 anni, contro i 60 della Maroni. Assurdo dunque, «incomprensibile», afferma la nota del Lavoro, che alcuni dirigenti sindacali trovino «meglio lasciare la legge Maroni».

Tuttavia circola una ulteriore ipotesi, senza conferme ufficiali: per il 2007, anno per il quale la Maroni non prevede cambiamenti sostanziali, si andrebbe a una riduzione delle finestre di uscita per le pensioni di anzianità. In serata, Bonanni ha detto di aspettare una convocazione ufficiale dal governo, per discutere sulla base del principio della «libertà di scelta».

Confermate sono altre misure di cui i giornali avevano parlato: un «prelievo straordinario sulle pensioni più alte», l’aumento dei contributi previdenziali a carico dei precari (che nell’immediato aumenta le entrate, ma consentirà in futuro a questi lavoratori pensioni meno basse); la «eliminazione di situazioni residue di privilegio per alcune categorie» (regole pensionistiche più favorevoli rispetto al regime Inps). In modo «graduale» dovrebbe essere eliminato il divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro.

Un altro motivo di dissenso tra governo e sindacati è la «revisione dei coefficienti di trasformazione prevista dalla legge Dini» che pure il ministro Damiano non vuole prendere senza «consultazione con le forze sociali». Si tratta di una misura per l’equilibrio di lungo termine del sistema, che però «influirà solo intorno al 2016»: occorre tenere conto che la durata della vita media si è allungata (due anni e mezzo rispetto al 1995), e che quindi di fatto l’importo totale versato in media a ciascun pensionato aumenta.

Il dissenso all’interno del governo investe anche uno dei sottosegretari al ministero del Lavoro, Rosa Rinaldi di Rifondazione comunista. In appoggio alle ipotesi di riforma parlano invece il presidente della commissione Lavoro del Senato Tiziano Treu (Margherita) e il ministro dello Sviluppo Pierluigi Bersani (Ds): occorre aggiustare il sistema per continuare a poter pagare pensioni ai giovani in futuro. Per l’opposizione, l’ex ministro Gianni Alemanno sostiene che i continui annunci di interventi «impauriscono i lavoratori» ottenendo l’opposto di quanto si desidera, ossia una crescita dei pensionamenti anticipati.

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