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C'è in pratica un solo nome al centro dei giochi: quello del presidente Ds. Ma il Cavaliere, a Napoli, lascia poco spazio.


A tre giorni abbondanti dalla prima votazione per il Quirinale c'è in pratica un solo nome al centro dei giochi, ed è quello di Massimo D'Alema. Su di lui si è personalmente impegnato Romano Prodi, dentro l'Unione e nel suo incontro di ieri con Silvio Berlusconi. Quanto al presidente ds, lascia appunto che sia il Professore a muoversi: se avrà successo, avranno vinto entrambi; se fallirà sarà colpa di Prodi (e problemi, grossi problemi).

Ma il fatto che D'Alema sia il front runner non significa molto. A meno che non si arrivi davvero ad un accordo sul «metodo Ciampi», ciò su una candidatura condivisa votata da entrambi i poli fin dal primo o secondo scrutinio, il lìder Maximo potrebbe andare incontro a tutti i rischi del micidiale scrutinio segreto che in passato ha triturato, in un clima di minore contrapposizione, ben altri papabili. Al momento l'ipotesi di un grande accordo sinistra-destra non si vede, nonostante qualche apertura del centrodestra.
Dunque, al di là del consueto totocandidati, se D'Alema fallisse, è interessante chiedersi che cosa gioca a favore del presidente ds e che cosa contro.

PERCHÉ SÌ
A favore, nell'Unione, ci sono la sua leadership, la sua capacità di convincimento (quella dalemiana è l'unica corrente realmente trasversale e attrezzata della sinistra) e una capacità politica che ne fanno uno dei pochi esponenti della sinistra capaci di dialogare con la destra, con i poteri finanziari e anche con qualche capitale
internazionale
. Poi c'è un altro elemento, più cinico: un D'Alema insoddisfatto, anzi funente, è un pericolo costante per l'annunciato governo Prodi e per tutta la sinistra. Un D'Alema al Quirinale è una garanzia.

PERCHÉ NO
Fin qui gli elementi a favore da una parte. Dall'altra gioca innanzi tutto il vecchio rapporto stabilito con Berlusconi ai tempi della Bicamerale, il fatto che il Cavaliere stesso lo consideri una garanzia dei suoi interessi politici e personali, la capacità di fascinazione che D'Alema ha su settori di centrodestra che arrivano fino alla Lega. In questi giorni il candidato, non fidandosi del tutto di Prodi, ha infatti messo in piedi una propria trattativa parallela, mandando avanti emissari per proporre un progetto che dovrebbe rassicurare soprattutto la Cdl. Si tratta in pratica di una riedizione dalla Bicamerale, una miniassemblea costituente per riscrivere alcune leggi cardine in maniera condivisa, a cominciare dalla riforma federalista che sta a cuore alla Lega, ma che rischia di essere travolta dal referendum. Gli altri punti sono l' nnesima riforma delle legge elettorale e (anche qui) l'ennesima riforma dell'ordinamento giudiziario.È un progetto ambizioso che però rischia di fare la stessa fine del suo progenitore bicameralista.

SINTESI
In sintesi, se nel centrodestra si darà ascolto ai singoli interessi di parte, politici e non (quelli di Berlusconi, quelli di Umberto Bossi, soprattutto), D'Alema ha probabilità di raccogliere voti dall'opposizione, e dunque di passare. Se prevarrà lo spirito di coalizione, magari nella prospettiva che il governo Prodi duri poco e tra un anno o due si torni alle urne, la Cdl non voterà D'Alema.
E la dichiarazione di oggi di Berlusconi lascia pensare che il leader del centrodestra preferisca ancora combattere una battaglia politica che forse non considera chiusa. Ha detto il Cavaliere (senza nominare D'Alema): «Non può andare al Quirinale qualcuno che, quando nell'ex Pci si discusse se togliere dal vessillo la falce e martello, simbolo di terrore e morte, rifiutò dicendo che falce e martello sarebbero rimaste per sempre incise nei loro cuori». Ma siamo ancora ai preliminari.

Altrettanto numerosi e forti sono gli elementi a sfavore. D'Alema è un uomo di parte, e in tutta la sua carriera ha oscillato tra questo suo essere di parte e l'ambizione a proporsi come personaggio di garanzia. Come spesso accade, non è riuscito compiutamente né nella prima Né nella seconda impresa.

DA SINISTRA E DA DESTRA
Non solo. Anche all'interno della sinistra viene vissuto come leader di una fazione, per quanto forte e potente; quella meno disponibile ad intese di potere con il mondo ex socialista, ex radicale, con i cattolici (numerosi sono gli avvertimenti contrari di mass media e istituzioni vicine al Vaticano e alla Chiesa), ma anche poco sensibile ai girotondini e movimentisti di qualsiasi specie.Visto da destra, questa caratteristica basta a bilanciare con una robusta dose di diffidenza le aperture di credito che pure gli vengono fatte.
Senza contare un ultimo elemento. Dopo una campagna elettorale tutta giocata, da Berlusconi, sul pericolo di un ritorno dei comunisti, e dopo un seguito in cui si è gridato all'allarme per l'occupazione «militare» della sinistra di tutte le cariche politiche e istituzionali rilevanti (il famoso quattro a zero), come potrebbe soprattutto il Cavaliere giustificare di fronte alla propria opinione pubblica il sostegno a D'Alema?
Le prossime ore ed il weekend diranno se si troverà la via per uscire in modo convincente da questi dubbi.

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