Cronaca politica - il sito di zon@ venerd́Democratici di Sinistra - il sito di zon@ venerd́



Ma che D’Alema fosse lì, a discutere del modo migliore per farsi eleggere Capo dello Stato, era il segno della sua granitica determinazione. Un D’Alema poco incline - almeno in questa fase - a misurarsi con questioni di etichetta e poco attento a ricordarsi quel che lui stesso aveva detto quattro giorni fa: «Io partecipare ad un vertice? Ovviamente no».

Eppure, sul fare della sera quando ha capito che questa grinta e questa studiata invadenza, per il momento, non producevano né lo sfondamento e neppure un utile muro di gomma da parte della destra, è stato proprio D’Alema a recuperare il suo stile e a dire a Piero Fassino: «Bene Piero, a questo punto io faccio un passo indietro. Vediamo se a Napolitano diranno di no...». Un beau geste che resta e che però contiene due legittime aspettative. La prima, D’Alema l’ha fatta capire ai suoi: «Se la Cdl dice no a Giorgio, la palla ritorna ai Ds e all’Unione». Che a quel punto esprimerà «il candidato capace di ottenere il massimo dei consensi». Quel “mister x” sarà lui? D’Alema sa che è difficile, ma può ancora sperarlo. Ma col beau geste di ieri sera il presidente della Quercia sa che, dopo la doppia rinuncia (prima Montecitorio, poi il Quirinale), il credito da lui acquisito è davvero corposo e in ogni caso sarà risarcito solo parzialmente col “premio” di cui ieri notte si è tornato a parlare: vicepresidenza del Consiglio e ministero degli Esteri. Ma D’Alema sa pure che, a questo punto, va finalmente in dissolvenza l’ombra che più pesava su di lui, quella conquista di palazzo Chigi senza mandato popolare.

E il Professore? In questi giorni Prodi non ha fatto molto per ostacolare D’Alema. E anche se fosse apocrifa la battuta a lui attribuita («Massimo? Meglio sopra che contro!»), i suoi ammettono che è molto vicina al suo pensiero. Certo, il Professore non lo ammetterà mai, ma l’idea di vedere “Baffino” sopra la sua testa non lo aveva messo del migliore umore. Prodi ha condiviso con Rutelli - e anche con altri che sono restati più “coperti” - un’ inquietudine inconfessabile: nel “Regno dell’Unione”, governato dall’equilibrio di tanti piccoli “principi”, uno di loro può svettare così platealmente e diventare re?

Ma chi più degli altri ha lavorato per trovare una candidatura che raccogliesse anche il consenso della Cdl è stato Francesco Rutelli. Ne è convinto Francesco Cossiga che, ieri sera parlando da un cellulare mentre cenava al “Bolognese” col suo amico Mino Martinazzoli, chiosava così: «Ma certo: si è consumato il grande inciucio tra Rutelli e Casini!». E un’indiretta conferma della lettura cossighiana la restituisce la sequenza della giornata: a fine pomeriggio si è plasticamente delineato un doppio fronte. Alle 18,50 Piero Fassino e Massimo D’Alema hanno lasciato l’ufficio di Prodi, curiosamente indirizzandosi verso il “Botteghino” su due autoblu diverse, anche se la vera notizia era un’altra: al secondo piano dei Santi Apostoli, assieme a Prodi restavano Francesco Rutelli, Arturo Parisi, Ricky Levi. E ci restavano per tre ore, durante la quali veniva condotta la trattativa che, attorno alle 22, ha portato all’annuncio: l’Unione candida Giorgio Napolitano. Un lancio confortato da un comunicato molto calibrato, che era stato concordato - parola per parola - con gli sherpa della Cdl.

E quanto a Napolitano, col riflesso di chi fa politica da sessant’anni, il senatore a vita ha fatto subito sapere di essere disponibile. Un gesto che, anche in caso di rifiuto da parte di un’ala della Cdl, consentirà a Napolitano di restare in campo o comunque renderà molto spiacevole un suo accantonamento. E quanto a D’Alema - che pure ha reagito con speciale compostezza - faceva notare ai suoi che lui, a differenza di Napolitano, non era riuscito ad essere candidato ufficialmente dall’Unione. Certo, per D’Alema la partita non è ancora chiusa e lui stesso è convinto di averla giocata nel modo migliore. E’ stato lui ad aver deliberatamente deciso di sfidare la legge per cui, chi in Conclave entra Papa, ne esce cardinale. Una sorta di “metodo Ratzinger”, per cui nella società mediatica i papabili, piuttosto che indebolirsi, sempre più spesso finiscono per incutere rispetto e timore. Massimo D’Alema non ha ancora perso la speranza di aver scelto la strategia giusta.

Per commentare scrivere qui