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Pena di morte


La mancanza di statistiche ufficiali caratterizza soprattutto gli Stati autoritari o illiberali. E' il caso della Cina, dove la Fondazione Dui Hua, diretta da John Kamm, un ex dirigente d'affari che si e' votato alla difesa dei diritti umani e che continua a mantenere buoni rapporti con funzionari governativi cinesi, ha stimato che "il numero delle esecuzioni nel 2008 ha superato le 5.000 e puo' essersi avvicinato alle 7.000". Anche se la pena di morte continua a essere considerata in Cina un segreto di Stato, negli ultimi anni si sono succedute notizie in base alle quali le condanne a morte emesse dai tribunali cinesi sarebbero via via diminuite fino ad arrivare al 30 per cento in meno rispetto all'anno precedente. Tale diminuzione e' stata piu' significativa a partire dal primo gennaio 2007, quando e' entrata in vigore la riforma in base alla quale ogni condanna emessa da tribunali di grado inferiore deve essere rivista dalla Corte Suprema, che da parte sua ha reso noto di aver annullato il 15 per cento delle condanne esaminate nel 2007 e nei primi sei mesi del 2008. Nonostante questi primi segnali di un apparente approccio garantista, si legge nel rapporto di 'Nessuno tocchi Caino', nel tritacarne giudiziario cinese sono continuati a finire imputati di reati violenti e non violenti, mentre gli avvocati denunciano il fatto di non aver accesso ai loro clienti e che molte confessioni sono ancora estorte. Esiste inoltre un doppio standard: funzionari pubblici che si appropriano indebitamente di milioni sono condannati a morte con la sospensione della pena che gli risparmia la vita, mentre comuni cittadini condannati per aver rubato molto meno muoiono con l'iniezione letale o con un colpo alla nuca. 

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