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Editoriali


Le agitazioni in Brasile e Turchia
Il mondo vive un periodo di fuoco. Rivolte su rivolte, uno dopo l’altro i paesi stanno bruciando. Ma, al di là delle guerre imperialiste made in Usa in quel del medioriente e zone limitrofe, la notizia interessante è l’implosione dei paesi emergenti. Il Brasile, fino a poche settimane fa era celebre per calcio, caffè e donne – certo – ma in ambito economico per la sua appartenenza ai BRICS, ossia al gruppo di Stati caratterizzati da forte crescita economica: Brasile (appunto), Russia, India, Cina e Sudafrica. La Turchia che, pur non trovando posto in questo acronimo, si era conquistata comunque un posto di rispetto nel panorama economico internazionale, tanto che la Istanbul che oggi conosciamo è importante crocevia internazionale, nonchè meta lavorativa prediletta per moltissimi giovani europei.

Da una parte emergono strane coincidenze. Continuando ad escludere Iran, Siria & co., Brasile e Turchia sono infatti accomunati da un altro aspetto: il processo di allontanamento dagli Stati Uniti. Il primo infatti, come spiega anche De Benoist nel libro “Sull’orlo del baratro”, ha avviato un processo di conquista di indipendenza dalla moneta di scambio per eccellenza, il dollaro, dirottando verso accordi bilaterali per gli scambi commerciali internazionali, specialmente con la Cina. Il secondo, con il premier Erdogan si era fatto notare per un cambio di posizioni, passando da un atteggiamento di servitù alla Nato ad un riavvicinamento ai lidi islamici, ma anche per strizzatine d’occhio alla Cina in tema di alleanze economiche. Questione non di poco conto per gli Usa, basati su una bilancia commerciale forte del monopolio di cui gode la sua moneta, ora però progressivamente abbandonata. Insomma, ce ne sarebbe per alimentare rivolte in stile arabo…

Tuttavia, il fattore ribellione non è riducibile ad un ‘semplice’ intrigo internazionale. La questione di fondo, da tutti trascurata, è un’altra. La gente, in Brasile come in Turchia, è scesa in piazza incazzata nera. Ci siano o meno (e certamente ci sono, basti pensare agli hashtag veicolati da Bbc e Cnn) influenze straniere ex post sulle folle, resta il fatto che le rivolte sono partite dal basso e da due casus belli semplici e un pò banali: l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici da un lato, l’abbattimento di alberi dall’altro. Motivati dagli investimenti in strutture per mondiali e olimpiadi da un lato, per costruzioni di centri commerciali dall’altro. Quanto basta per ricordarci che il miracolo economico non è tutto rosa e fiori, ma mantiene criticità sociali grosse come una casa. Al di là dei centri urbani e dei video promozionali, emerge il forte contrasto tra la crescita a Pil sfrenato e la mancanza di connessione tra questa e lo sviluppo del tessuto sociale. Il boom economico improvviso ha giocato, ai brasiliani e ai turchi, lo stesso scherzetto di cui anche noi in passato siamo stati vittime: credere il Pil come una tachipirina, capace di cancellare ogni problema. Finchè ci si rende conto che gli stadi non sfamano e non istruiscono la popolazione, così come i centri commerciali al posto di alberi cancellano le culture e le tradizioni. E’ lo scontro tra turbocapitalismo ed equità sociale, tra ipermodernizzazione e cultura tradizionale.

Ma Brasile e Turchia si ribellano. Perchè il boom economico da loro è stato talmente rapido da non permettere che la popolazione venisse abituata, anestetizzata e assuefatta da consumismo e benessere; non riuscendo dunque a sedare il vitalismo (dato anche da una presenza giovanile da far invidia a noi vecchi eruopei) che li porta in questi giorni a ribaltare le strade. Le piccole cause scatenanti quei moti di rivolta, sono gli stessi che noi viviamo ogni giorno nelle nostre città: cementificazione, aumento dei prezzi, prelevamento di risorse dai ceti inferiori per alimentare la giostra di quelli superiori. Ma noi, vecchi e rimambiti, siamo troppo abituati e drogati di I-Phone, I-Pad e happy hour per ricordarci che abbiamo il potere e il diritto di ribellarci e sovvertire. Mentre in altre parti del mondo le mele morse e i suoi surrogati sono sì giunti, ma la dipendenza conseguente non si è ancora prodotta. E i potenti, chiunque essi siano, ne pagano lo scotto.

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