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Letteratura italiana dalle origini al XIX Secolo

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A cura di Bibliofilo Arcano




27 Poesie di Prudenza Gabrielli Capizucchi


Prudenza Capizucchi (1654-1709 il cui nome può trovarsi anche come Capizucchi, Prudenza Gabrielli; Elettra Citeria; Citeria, Elettra) è nata e morta a Roma

LOMBARDI 1832-1833 tomo V: Libro III, par. XL, p. 109: Protesse le buone lettere
Prudenza Capizucchi Gabrielli nobile romana, nata nel 1654 e defunta nel 1709, la quale
introdusse nel suo palazzo in Roma una scelta conversazione, che radunavasi una volta
ogni settimana, e a cui intervenivano il Leonio, il Zappi con altri poeti; e divi si
leggevano e censuravano a vicenda i componimenti poetici, fra i quali quelli ancora della
Gabrielli, che ne inserì molti, e di questi alcuni assai pregevoli, nel tomo III delle Rime
degli Arcadi al ceto dei quali era essa ascritta. (2: "Notizie degli Arcadi, t. III, pag. 14,
ediz. di Roma, 1721"). In RA3, nell'indice (p. 404 non num.) si legge: "ELETTRA
CITERIA. Questo nome il portava in Arcadia la Signora Contessa Prudenza Gabbrielli
Capizucchi Romana, defunta in Roma a' 13. di Dicembre l'anno 1710, e sepolta in S.
Maria in Campitelli" da Roma, contessa.

Tratto dal sito Donne in Arcadia.


Tutte le sue poesie, tranne una, sono su “Rime degli Arcadi”, Volume 3°, Roma, per
Antonio Rossi alla Piazza di Ceri, 1716, ove sono riportate le seguenti note:

Elettra Citeria

Questo nome il portava in Arcadia la Signora Contessa Prudenza Gabbrielli Capizucchi, Romana, defunta in Roma a' 13 di Dicembre l'anno 1710 e sepolta in S. Maria in Campitelli.


Crudo pensiero, intorno al duol mortale <pag.> 108

In morte della Sig. Maddalena Falconieri Gabbrielli, mia Madre.
Dacché mi tolse a i sette colli alteri <pag.> 117


Deh perché mie del Gange ora non sono <pag.> 109


A Papa Innocenzo XII mentre andando a Castel Gandolfo passa per Torre di Mezzavia d'Albano, mia Tenuta.

Dell'età prisca o dell'età presente <pag.> 113
Per la morte del Conte mio Marito.
Di duolo in duolo e d'una in altra pena <pag.> 121
È breve, o Figlio, il viver nostro, e l'ore <pag.> 109
Al Sig. Conte Mario Capizucchi, mio figlio, esortandolo a seguir l'esempio di Biagio e di Camillo Capizucchi, suoi Antenati.
Già torna Aprile, e i congelati umori <pag.> 120
L'almo mio Sol quando alla mia costanza <pag.> 111
Lassa, che un mar cinto di sirti io varco <pag.> 116
Per la morte del Conte Capizucchi mio Marito.
Non t'adornar di molle piuma, o Figlio <pag.> 108
Al Sig. Conte Sforza Marescotti, mio Figlio.
Note, sì vi ravviso, e un rio dolore <pag.> 114
Pien di morte il pensier sì forte ingombra <pag.> 120
Per varj Arcadi, che han fatti Componimenti in morte del Conte Alessandro Capizucchi, mio marito.
Quando più tormentoso il duol m'ingombra <pag.> 116
Quella sopita alma virtù natia <pag.> 110
Quel magnanimo spirto eccelso e forte <pag.> 113
Per la morte del Conte mio Marito.
Ragion, tu porgi alla confusa mente <pag.> 112
Se fia mai ch'io sovrasti alla mia morte <pag.> 107
Selve incognite al Sol, torbide fonti <pag.> 121
Elegia.
Se vedi il suol nella stagion novella <pag.> 118
Signor, se irata contra te risorge <pag.> 112
Al Sig. Conte Alessandro Capizucchi, mio Marito.
S'io penso al tuo leggiadro almo sembiante <pag.> 115
S'oscura il Sol, ché langue il suo Fattore <pag.> 119
Talor di mia magion la più romita <pag.> 115
In morte del Co. Alessandro Capizucchi, mio Marito.
In questo Son. per la "Donna immortale" s'intende Vittoria Colonna, che compose varie Rime in morte del Marito.
Tutto morte crudel turba e dilegua <pag.> 119
Vago Augellino, che di ramo in ramo <pag.> 111
Vergine eccelsa, che nel più fiorito <pag.> 110
Alla V. Serva di Dio Suor Giacinta Marescotti, mia Zia.
Volta a un forte pensier, fido compagno <pag.> 114
Per la morte del Conte Capizucchi mio Marito.

Indice sonetti
in Rime degli Arcadi:

Crudo pensiero, intorno al duol mortale
Dacchè mi tolse a i sette colli alteri
Deh perche mie del Gange ora non sono
Dell'età prisca, o dell'età presente
Di duolo in duolo, e d'una in altra pena
È breve, o Figlio, il viver nostro; e l'ore

Era l' anima mia d' affanni sgombra

Già torna Aprile; e i congelati umori
L'almo mio Sol quando alla mia costanza
Lassa, che un mar cinto di sirti io varco;
Non t'adornar di molle piuma, o Figlio
Note, sì vi ravviso; e un rio dolore
Pien di morte il pensier sì forte ingombra
Quando più tormentoso il duol m'ingombra
Quel magnanimo spirto eccelso, e forte
Quella sopita alma virtù natìa
Ragion, tu porgi alla confusa mente
S'io penso al tuo leggiadro almo sembiante
S'oscura il Sol, che langue il suo Fattore
Se fia mai, ch'io sovrasti alla mia morte
Se vedi il suol nella stagion novella
Selve incognite al Sol torbide fonti
Signor, se irata contra te risorge
Talor di mia magion la più romita
Tutto morte crudel turba, e dilegua
Vago Augellino, che di ramo, in ramo
Vergine eccelsa, che nel più fiorito
Volta a un forte pensier fido compagno



Indice sonetti
in Gobbi, Agostino, ed., Scelta di sonetti, e canzoni de' più eccellenti rimatori d' ogni secolo, Quarta ed., con nuova aggiunta (Venezia: Lorenzo Baseggio, 1739), pt. 3, p. 512 e seguenti:

Se fia mai, ch'io sovrasti alla mia morte
Crudo pensiero, intorno al duol mortale
Non t'adornar di molle piuma, o Figlio

L' almo mio Sol quando alla mia costanza

Signor, se irata contra te risorge

Quel magnanimo spirto eccelso, e forte

Volta a un forte pensier fido compagno

Note, sì vi ravviso; e un rio dolore

Talor di mia magion la più romita

Lassa, che un mar cinto di sirti io varco;

Già torna Aprile; e i congelati umori


Indice sonetti
in altre fonti:

Ragion, tu porgi alla confusa mente 
Signor, se irata contra te risorge 
Di duolo in duolo, e d' una in altra pena 
Zappi, Giovanni Battista, Rime dell' avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), vol. 2, p. 107. 


Selve incognite al Sol, torbide fonti 
Bergalli Gozzi, Luisa, ed., Componimenti poetici delle piu illustri rimatrici d' ogni secolo (Venezia: Antonio Mora, 1726), pt. 2, pp. 171-173; and Zappi, Giovanni Battista, Rime dell' avvocato Giovam Battista Felice Zappi, e di Faustina Maratti, sua consorte. (Venezia: F. Storti, 1752), vol. 2, pp. 109-110. 


Era l' anima mia d' affanni sgombra
Crescimbeni, Giovanni Mario, L' istoria della volgar poesia (Venezia: Lorenzo Basegio, 1731), vol. 2, p. 543. Indice canzoni Chi avesse nel capo la pazzia, (2) Giamma d' amore è Dio, fiamma d' amore (5)
Or che sereno è il Cielo oltre l' usato, (1)
Possente Amor, che ne' gatteschi petti (3)
Poichè non veggo a qual di voi mi affidi, (4) Rime in lode di Prudenza Gabrielli Capuzucchi Sonetti

175)

Se fia mai ch'io sovrasti alla mia morte

Ed il mio nome al cieco obblio si tolga,

Sicché per opra di benigna sorte

Vi sia chi alle mie rime il ciglio volga,


Strano parrà che, nel vigor men forte

Sol de' miei spirti, i primi canti io sciolga,

Se è ver che verde età per vie più corte

Sormonti in Pindo e i più bei fior' ne colga.


Ma pur de' miei sudori al debil frutto,

Ch'ora paleso e che celar dovrei,

Spenta non sia vostra pietade in tutto,


E dica almen: "De' vaghi colli Ascrei

L'erto non giunse a superar, ma tutto,

Se bastava l'ardir, l'ebbe costei."



176)

Crudo pensiero, intorno al duol mortale

Che l'alma ingombra, omai che più t'aggiri?

Togliti dalla fredda urna fatale,

Urna, che tutti chiude i miei sospiri.


Colei, donde trass'io la spoglia frale,

Mercé di lui, che regge i sommi giri,

Siede già nel suo seggio alto immortale,

Cinta il crin di piropi e di zaffiri.


Vedila pur come ne' giri eterni,

In mezzo alle virtù, che le fur scorta,

Lieta nel divin Sol tutta s'interni.


Or tu, il cener lasciando, a lei ti porta,

Che pur dal Cielo a me con moti interni

Parla, e, qual già solea, m'ama e conforta.



177)

Non t'adornar di molle piuma, o Figlio,

Il biondo crin, né d'aureo nastro il seno,

Ma impugna il brando con senil consiglio

E a Numida destrier governa il freno.


Per mercar gloria non temer periglio,

E i pensieri a grand'opre intenti sieno:

Sull'Atlantiche carte avido il ciglio

Volgi al Baltico mar, volgi al Tirreno.


Sia modesto lo sguardo, il parlar saggio;

D'alma fronda Febea cingi la chioma;

Rendi al Principe e a Dio l'intero omaggio.


Vinci te stesso: i vani affetti doma,

Sicché nell'opre tue, nel tuo coraggio

Gli Orazj e i Marj suoi rivegga Roma.



178)

È breve, o Figlio, il viver nostro, e l'ore

Non v'è chi arresti degl'incerti giorni,

Né avvien che intero in noi piacer soggiorni,

Ché ratto fugge, e sparso è di dolore.


Se vuoi vita immortal, segui d'onore

L'alto sentier, ch'indi il tuo nome adorni;

Io spero già che nel tuo cor ritorni

L'eccelso a folgorar prisco valore.


Stuol, che sparge alla Fede empio veleno,

Estinto dal tuo ferro omai sen cada,

E gli Aviti Trofei rivegga il Reno.


Già par ch'il piede alla battaglia or vada:

Già vinci, e posi a bella gloria in seno,

Se gl'illustri Avi tuoi t'aprir' la strada.



179)

Deh perché mie del Gange ora non sono

Le ricche sponde folgoranti d'oro,

Ché eguale alla mia voglia offrir tesoro

Vorrei, divota all'immortal tuo trono!


Ma folle or io che bramo, e che ragiono,

Se 'l mar, la Terra, e quanto è chiuso in loro,

Padre, già tutto è tuo? qual fia decoro

Le ricchezze, che abborri, offrirti in dono?


Or se donarti ogn'altra cosa è vano,

Il desire, che è mio, t'offro, ed umile

Rivolta al Ciel m'ascolti il Vaticano.


Per te lo stame d'or la Parca file

Tanto che con tua santa invitta mano

Tutte guidi le Gregge a un solo Ovile.



180)

Quella sopita alma virtù natia,

Che dal Ciel venne ed è nell'alma impressa,

Tempo è che omai si desti, e che me stessa

Io tragga e 'l piè dalla non dritta via.


Troppo mi tenne Amore in sua balìa;

Scuoto ora il giogo, onde già vissi oppressa,

Benché il crudo Signor vie più s'appressa

Per ricondurmi alla prigion di pria.


Se scampa incauto Augel da rete od armi,

Ratto da valli perigliose ed ime

Sen vola in alto, e lieto scioglie i carmi.


Tal io, fuggendo Amor, n'andrò sublime

Sovra i vanni di gloria a ricovrarmi

Dell'eccelso Parnaso in sulle cime.



181)

Vergine eccelsa, che nel più fiorito

April degli anni tuoi spregiar sapesti

Lo splendor di tua cuna, ed apprendesti

Che nuoce più ciò che n'è più gradito;


Vergine saggia, ch'al divino invito

Pronta per aspro calle il piè movesti,

Onde fra chiare or godi alme celesti

Un bene incomprensibile infinito;


Mentre il beato folgorante ciglio

Fermi nel Sole eterno, e tutto intendi

In quell'uno, ch'è Spirto e Padre e Figlio,


Deh se te stessa di pietade accendi

In mirar chi t'invoca in gran periglio,

Noi, germi del tuo Tronco, omai difendi.



182)

Vago Augellino, che di ramo in ramo

Dolce cantando vai sul mirto e l'orno,

E godi, o nasca o pur tramonti il giorno,

La cara libertà, che tanto io bramo,


Tu quando Amor ti punge, e dici: "Io amo",

Di lai spargendo il tuo verde soggiorno,

Ascolti pur la tua fedel ch'intorno,

Non men calda d'amor, dice: "Riamo."


Io lasso, amo beltà, che 'l cor mi strugge

Col più barbaro orgoglio, e cruda e altera,

Quanto la seguo più, tanto più fugge.


Deh se ti serbi il Ciel la gioia intera,

Or tu costei, che 'l cor mi rode e sugge,

Almen col canto tuo rendi men fiera.



183)

L'almo mio Sol quando alla mia costanza

Oppon l'orgoglio, e d'ira il volto accende,

Con sovrumana luce allor più splende

Degli occhi il lampo e la real sembianza.


Così in me fede, in lei beltà s'avanza;

E quanto il suo rigore a me contende

Giusta pietà, tanto più chiaro ei rende

Il grave incendio mio fuor di speranza.


Or se più non impetra amando il core,

Vagheggerò lo sdegno in quei bei rai:

Sdegno, pompa fatal del mio dolore.


E spero ch'altri di noi dica omai:

"Ha Clori infra le belle il primo onore,

Ma la fe' di costui più bella è assai."



184)

Ragion, tu porgi alla confusa mente

Della tua luce un raggio almo e sereno,

E mostri a quanti error' discioglia il freno

Un cor, che a vil, caduco Amor consente.


Onde del bel, che a lagrimar sovente

N'astringe, io fuggo il rapido baleno;

Che non sì tosto il vedi, egli vien meno,

E breve età tutte sue forze ha spente.


Faccia pur altri a sé meta fatale

Lo splendor d'un bel volto, ed in poch'ore

Abbia il bello e l'amor la sorte eguale.


Io, che nobil racchiudo in petto ardore,

Non fo pago il pensier d'oggetto frale,

Perché eternar bramo nell'alma Amore.



185)

Signor, se irata contra te risorge

Con nuovi assalti suoi l'istabil sorte,

Non già t'opprime, anzi teatro or porge

A tua invitta costanza, al petto forte.


Un nobil core infra i martir' si scorge,

E i perigli alla gloria apron le porte.

Io già ti veggio appo l'età che sorge

Signor degli anni e vincitor di morte.


So ben ch'invidia rea solo a' tuoi danni

Tutti muove gli abissi a mortal guerra,

Ma non val contra te forza d'inganni.


Così quand'Eolo il freddo antro disserra,

Di sue frondi non men carca che d'anni,

Scuote quercia talor, ma non l'atterra.



186)

Quel magnanimo spirto eccelso e forte,

Ch'entro il bel vel del mio Signor s'avvolse,

Innanzi sera al suo mortal già tolse

Ahi troppo cruda inesorabil morte.


Spenti ha quei lumi, che fedeli scorte

Furo alle genti, ove valor s'accolse;

Chiusa ha la man, che a' bei favor' si sciolse,

E a pietà più non vista aprio le porte.


Tolto ha il sincero core altrui sì grato

E co' saggi pensier' l'alte parole:

Tolto ha in un colpo il mio tranquillo stato.


Morte, tu almen, pria che più giri il Sole,

Mi ricongiungi al dolce Sposo amato:

Ché la perdita sua troppo mi duole.



187)

Dell'età prisca o dell'età presente

Quanto pregio e valor la Fama spande,

Quanto chiuder si puote in saggia mente

D'eccelso, di magnanimo, e di grande,


Tutto nel mio Signore alteramente

Splendea fra mille di virtù ghirlande,

Sicch'era al fior della Romulea gente

Specchio, e stupore appo l'estranie bande.


Quindi morte, lo sguardo in lui rivolto,

Arse d'invidia, e col fatal suo gelo

Corse veloce a scolorirgli il volto.


Ma fuor dell'ombra del mortal suo velo

Tal fiammeggiò lo spirto in sé raccolto,

Che tutto empié di meraviglia il Cielo.



188)

Volta a un forte pensier, fido compagno

Di quell'aspro dolor, che chiudo in seno,

Sempre d'amaro pianto il volto bagno,

Chi fea membrando il viver mio sereno.


E se per gli occhi fuor talor non piagno,

È per sciorre a i sospir' più largo il freno.

O sorga o cada il dì, col dì mi lagno,

Ch'ultimo a' miei martir' non riede almeno.


Così men vivo, e al variar degli anni

Giammai non cangio l'ostinata doglia:


Ché non può speme ristorar miei danni.

Deh vieni, o morte, e del mio fral mi spoglia:

Tronchi un tuo colpo in me cotanti affanni,

E due salme divise un marmo accoglia.



189)

Note, sì vi ravviso, e un rio dolore

Mi ritorna al pensier l'andate cose.

Come finor foste a' miei lumi ascose,

Né pur mel disse in sua favella il core.


O del mio caro e sventurato Amore

Soavi rimembranze e tormentose,

Perché in voi rimirar chi vi compose

Non posso, e rattemprar l'intenso ardore?


Ma invece d'addolcir l'antico affanno,

M'inasprite la piaga, e il duol s'avanza

Con far più vivo alla memoria il danno.


Fuorché il morir, qual ho da voi speranza?

Pur con crudele inusitato inganno

In vita mi sostien la mia costanza.



190)

Talor di mia magion la più romita

Parte mi scelgo; ivi pensosa e sola,

Misuro il mio dolor, che a me m'invola,

Coll'altrui duolo, e la già stanca vita.


L'alto sentier, che col suo stil m'addita

Donna immortale, in parte il cor consola,

Ma invan per le chiar' orme indi sen vola

Il mio pensier, ch'a seguir lei m'invita.


Ella l'estinto suo bel Sole a morte

Tolse col canto, e alle future genti

Il dipinse qual visse, eccelso e forte;


Ma non fia già che in rime aspre e dolenti

Io nuova vita al mio Signore apporte,

E mostri i pregi suoi, che morte ha spenti.



191)

S'io penso al tuo leggiadro almo sembiante,

Al vivo spirto, al vago sen di neve,

Qualche conforto il cor mesto riceve,

Perché sì rare amo bellezze e tante.


Ma, se nimico Amor mi reca avante

L'orgoglio e l'onte, e il tuo cor vario e lieve,

Tal poi velen l'alma per gli occhi beve,

Che quasi esce dal sen lo spirto amante.


Dappoi che il male è in me sempre maggiore,

E dell'inganno suo l'alma s'avvede,

Fuggirò del tuo bello il reo splendore.


E se mai l'alma in libertà sen riede,

Io griderò: sol tormentoso è Amore,

Ché unite non van mai bellezza e fede.



192)

Quando più tormentoso il duol m'ingombra,

E fredda cura mi s'aggira in seno,

Sicché il riposo a gli occhi ed il sereno

Manca al volto, e di morte orror m'adombra,


M'appare allor di lieta speme un'ombra,

Che additando a sinistra aureo baleno,

M'affida, e dice: "Amor cortese appieno

Dal tuo core i nimici ecco disgombra."


Così cara al mio sen la gioia torna,

Cede e s'arretra ogni più rio martire,

E 'l dolce sonno a gli occhi miei ritorna.


Prenda pur norma dal mio bel soffrire,

Né si sgomenti or chi nel duol soggiorna:

Ch'indiviso ha il confin pena e gioire.



193)

Lassa, che un mar cinto di sirti io varco,

E l'aer grave e 'l vento intorno freme:

Veggio di mostri un fiero stuolo e insieme

Irato il Cielo e di tempeste carco.


In sì strano periglio ov'è chi il varco

M'additi, e sgombri il duol, che l'alma preme,

Se l'usata mia scorta e fida speme

Ha già deposto il suo mortale incarco?


D'or in or cresce il mio gravoso affanno:

La morte mi s'appressa, e mi fa guerra

Vie più la tema dell'eterno danno.


Ma tu, Signor, qual già solevi in terra

Scorger miei passi, or traggi fuor d'inganno

La nave mia, che dubbia scorre ed erra.



194)

Dacché mi tolse a i sette colli alteri

Solo a' miei danni l'empia sorte intenta,

Tanti all'afflitto sen dardi m'avventa,

Quanti ad ogn'ora in me nascon pensieri.


E perché d'ogni speme ancor disperi,

E a false larve il mesto cor consenta,

Mi dipinge la fede in voi già spenta,

Onde traggo i miei dì torbidi e neri.


Dal vostro aspetto sol lo spirto oppresso

Chiede ristoro: indi capir potrete

Ciò che non sa ridirvi il labbro istesso.


Da gli occhi miei, che lagrimar vedrete,

Dal volto, ov'è l'orror di morte impresso,

Qual pena è lontananza allor saprete.



195)

Se vedi il suol nella stagion novella

Senza la verde sua fiorita spoglia,

O se vedi del Sol l'alma sorella,

Che sul carro del giorno il corso scioglia,


Puoi dirmi allora, o crudel Donna e bella,

Ch'altro desio quest'alma amante invoglia.

T'amo pur or, qual sulla patria stella:

Ché per loco cangiar non cangiai voglia.


Dunque serena il torbido pensiero;

E se nol credi alla mia fede, il credi

Alla virtù del tuo bel ciglio arciero.


E se l'ardor, che vincendevol chiedi,

Conoscer vuoi, fissa lo sguardo altero

Negli occhi miei, specchi del core, e 'l vedi.



196)

S'oscura il Sol, ché langue il suo Fattore,

E vacillando il suol s'apre ogni pietra:

Ma stilla di pietade ancor non spetra

Il rubello dell'Uomo alpestre core.


Carco di nostre colpe ei langue e muore,

Né già dall'Uom pure un sospiro impetra;

Anzi da sue bell'orme il passo arretra,

E corre ove il trasporta il proprio errore;


Ch'or desio di tesor la mente ingombra,

Or per odio od Amor tanto delira,

Ch'il senso alla ragione i lumi adombra.


Traviata così l'alma s'aggira

Lungi dal centro suo seguendo un'ombra,

E sta in mezzo al periglio, e pur nol mira.



197)

Tutto morte crudel turba e dilegua

Rapidamente al trapassar degli anni;

Pur benché stanca ad invocarla io segua,

Già non mi toglie a' miei crudeli affanni.


Par che m'odj la sorte e mi persegua,

E terra e abisso in un goda a' miei danni;

Se lenta è sì morte, che il tutto adegua,

Chi mi toglie del Mondo agli empj inganni?


Ché troppo, ahi troppo in paragon dispiace

A malvagio pensiero, a indegna froda

Retto sincero cor, labbro verace.


Vergin, deh fa' che il tuo gran Figlio or m'oda,

E mostri l'altrui dir falso e mendace,

Tal che del giusto il mentitor non goda.



198)

Già torna Aprile, e i congelati umori

Mormorando infra l'erbe il rio discioglie;

Cantan gli Augei delle lor calde voglie,

E scherzan lieti i pargoletti Amori.


Insuperbisce il suol tra molli odori

Ricco di nuovi fiori e nuove foglie,

E la vaghezza, che nel seno accoglie,

Par che prenda dal Ciel forme e colori.


Ove un limpido fonte il terren bagna,

Siedon Ninfe e Pastori, e 'l suo desio

Ciascun palesa alla fedel compagna.


In sì lieta stagion dico al cor mio:

"Perché il duolo or da te non si scompagna?"

Ed egli: "Ahi nol consente il destin rio."



199)

Pien di morte il pensier sì forte ingombra

Di rei fantasmi il core oppresso e l'alma,

Che dalla mia gravosa afflitta salma

Bramo anzi tempo omai vedermi sgombra.


Ma pur de' lauri vostri alla chiar'ombra,

Cigni immortali, inaspettata calma

In me risorge, e luce altera ed alma

Gli atri nembi del duol fuga e disgombra,


Ché il mio Signor dell'empia morte a scorno

Sol per virtù de' vostri carmi industri

Vivo riveggio e di bei fregi adorno;


Né più tem'io che al variar de' lustri

Ombra Letea giri a' miei versi intorno,

Perché il vostro alto stil gli ha resi illustri.



200)

Di duolo in duolo e d'una in altra pena

Vago del mio martir mi tragge Amore,

E il grave incarco, ond'è sì oppresso il core,

È tal che tempo né distanza affrena.


E di tai tempre ei mi formò catena,

Che disper'io di trarre il piè mai fuore:

Tanto può in me l'inusitato ardore,

Ch'omai me stesso io più ravviso appena.


Il rio timor, la gelosia m'attrista,

La falsa speme, il dispietato sdegno,

La brevissima gioia al dolor mista.


Sol tra gli affanni arsi d'amor nel regno.

Che fia non so, s'ei maggior forza acquista:

So che ad ogni suo stral son fatto segno.



201)

Selve incognite al Sol, torbide fonti,

Limosi stagni, antri profondi, oscuri,

Fiere balze, erme rupi, alpestri monti,

Fidi ricetti sol d'angui, e sicuri

Nidi di belve, in voi mi poso, e spero

Che in breve il giorno agli occhi miei s'oscuri.

Più non alberghi in me lieto pensiero

Di lusinghiera, ingannatrice spene,

Ma larve, che il mio duol faccian più fiero,

Ché d'Ision, di Tantalo le pene

Son ombra in paragon di fe' tradita

E d'un alma che perda il caro bene.

Miglior sorte mi fora uscir di vita,

Che vivendo ad ogn'or sentirmi al core

D'Amor, di Gelosia doppia ferita.

Ma né pur morte può tormi al dolore:

Ché nel doppio sentier l'alma confusa

Non sa donde dal seno uscirsen fuore.

Lasso! al dolce parlar mia fe' delusa

Rimase ed al celeste almo sembiante:

Ché una Dea non credeva a tradir usa.

Ben fu pietà d'Amor farla incostante:

Ché se tanto n'avvampo, e m'è rubella,

Qual saria l'ardor mio, se fosse amante!

Pur t'incolpo, o tenor d'iniqua stella:

Perché farla gentil, quand'è sì ingrata?

Perché farla infedel, quand'è sì bella?

Ma pari al suo fallir la dispietata

Pruova martir: ché se nega il gioire

A me, che l'amo, altrui ama ingannata.

E mentre empia ella gode al mio martire,

Schernita si riman la sua incostanza:

Ché pena è il fallo stesso al suo fallire.

Amor, se sei tu giusto, a mia costanza

Or devi il premio; e se non puoi far Clori

Fida, togli al mio cor la sua sembianza.

Ah no: solo al mio duol pene maggiori

Aggiugni, e fiamme all'avvampato petto.

Ella lieta sen viva a i nuovi amori,

Poiché dal mio penar gradito effetto

Almen trarrò, s'alla tiranna mia

È ministro il mio duol del suo diletto.

Forse avverrà che un dì, resa più pia,

Fedel ritorni, e sgombri dal mio seno

Col Sol degli occhi il gel di Gelosia,

Onde sanato dal mortal veleno

Famelico e digiun lo sguardo torni

Il cibo a tòr del volto suo sereno.

Allor... Ma, speme vana, ancor soggiorni

Nel petto e lusingar tenti il cor mio,

Perché bersaglio all'onte sue ritorni?

Andranno i monti, e starà il fiume e 'l rio,

Pria ch'io miri quel volto. Ah troppo omai,

Troppo intesi e soffrii, troppo vid'io.

Anzi, occhi miei, se v'incontraste mai

In quella menzognera, e al rio splendore

Pur vi fisaste de' suoi crudi rai,

Vi ricuopra in quel punto eterno orrore.


Era l' anima mia d' affanni sgombra,
Quando una Furia, ed un Fanciullo armato,
Mentre di verde Allor posavo all' ombra,
Mi feriro a vicenda il manco lato.
Quindi strano timor, lasso, m' ingombra,
Ch' or diletta, or tormenta il cor piagato;
E sì speme or di se m' empie, or mi sgombra,
Ch' ardo nel giel, son nell' ardor gelato.
In sì dubbio tenore or dolce, or rio
Servaggio io soffro: ma sovente eccede
La lieve gioia il fier tormento mio.
Poichè al mio fido amore ella non crede,
Che, chiudendo nel cor vario desio,
Come non ha, sì non conosce fede.


Crescimbeni, Giovanni Mario, L' istoria della volgar poesia (Venezia: Lorenzo Basegio, 1731), vol. 2, p. 543.




Poesie in lode di Prudenza Gabrielli Capizucchi


D'un gran nome alto immortale

RA1, pp. 334-39

Canzonetta in lode della Signora Contessa Prudenza Cabrielli Capizucchi, Dama già nota per le sue rime impresse in varie raccolte; e spezialmente in quelle di Lucca, e di Bologna; e per l'Opere del Sig. Crescimbeni.

Destinataria di una Canzonetta di Uranio Tegeo [=Abate Vincenzo Leonio da Spoleti Accademico Umorista, fondatore Arc., procustode e più volte nel Collegio]

Inclita, saggia, valorosa, e forte

RA4, pp. 139

Destinataria di un sonetto di Griseldo Toledermio [=Conte Ercole Aldovrandi bolognese] "Alla Sig.a Contessa Prudenza Gabrielli Capizucchi".


Passò al Cielo Alessandro il saggio, il prode

RA1, p. 201

Alla Sig. Contessa Prudenza Capizucchi Dama virtuosissima, per la morte del Sign. Conte Alessandro Capizucchi suo Consorte

Destinataria di un sonetto di Ila Orestasio [=Abate Angelo Antonio Somai da Rocca Antica in Sabina, dimorante in Roma]. Sonetto per la morte del marito


Qual fiumicel, che se tra verdi sponde

RA1, p. 312

Decisione d'un problema disputato nel Bosco Parrasio l'anno 1708. tra la Sig. Contessa Prudenza Gabrielli Capizucchi, e la Signora Marchesa Petronilla Paolini de' Massimi, se l'amore sia cosa degna di lode o di biasimo.

Destinataria di un sonetto di Uranio Tegeo [=Abate Vincenzo Leonio da Spoleti Accademico Umorista, fondatore Arc., procustode e più volte nel Collegio]


Sovente in ascoltar quel, che spargea

RA2, p. 279

Destinataria di un sonetto a lei dedicato da Montano Falanzio [= Abate Pompeo Figari, genovese, fondatore d'Arcadia].



42 (372)


D'un gran nome alto immortale

Sovra l'ale

Vago un dì d'alzar miei versi,

Volsi a voi, Donna sublime,

Le mie rime,

Ed al canto i labbri apersi.

Ma in mirar poi tanti e tanti

Chiari vanti,

Ch'in voi largo il Cielo unio,

Già confuso al primo aspetto

L'intelletto

Contendea col bel desio.

Visto alfin tropp'alto segno

Al mio ingegno

Esser tutti i vostri rai,

Tra l'ardente immenso stuolo

In un solo

Di fissar l'occhio pensai.

Mentre intanto il guardo giro,

Ed ammiro

Tutti i pregi in voi diffusi,

E qual sia di maggior merto

Pendo incerto,

Stanco il ciglio al sonno io chiusi.

Sogno amico allor mi tragge

Sulle spiagge

Dond'Alfeo l'Arcadia inonda:

M'offre qui verga gentile,

E d'umile

Molle lana il sen circonda.

Porge al crin serto d'alloro,

Sparsa d'oro

Alla mano eburnea canna;

E una greggia dammi in cura,

Bianca e pura,

Che uscia fuor d'una capanna.

Lentamente al vicin prato,

Ch'era ornato

D'erbe e fior', pronto la guido;

E a temprar del Sole il raggio

D'alto faggio

Alla dolce ombra m'affido.

Quando scorgo di repente

Più lucente

Lampeggiare il cielo e il giorno,

E più lieti i pingui agnelli

D'aurei velli

Fiammeggiar tutti d'intorno.

Volte allor per meraviglia

Su le ciglia,

Ove più la fiamma ardea,

Tra le nubi in varie guise

Veggo assise

Giuno, Palla, e Citerea.

Col bel piè l'erbosa arena

Tocca appena,

Che ciascuna a me si volse,

E con voce irata altera

La primiera

In tai detti il labbro sciolse:

Nobil sangue, ampj tesori,

Sommi onori

D'armi e d'ostri io diedi a lei.

Tu mal cauto in lance or poni

Gli altrui doni,

Gli altrui doni, e i doni miei?

Anzi stando ancor sospeso

Di lor peso,

Fia che me sprezzar ti vante?

Me del Ciel Diva sovrana,

Me germana,

Me consorte del Tonante?

Infelice, e se tua guida

Farai d'Ida

Il Pastor vano e leggero?

Non sai forse quai ruine

N'ebbe alfine

D'Asia tutto il vasto Impero?”

Sì d'orror tutto ripieno

Il mio seno,

La superba in aria alzossi,

E in sembianza disdegnosa,

Minacciosa

Tra le nubi dileguossi.

Ma di Pafo la felice

Regnatrice,

Tutta vezzi e tutta riso,

Di mia tema allora accorta

Mi conforta

Con gli accenti, e più col viso:

S'aurea cuna ed auree fasce

Ha chi nasce,

Dono è sol degli Avi sui.

Quella, ch'ora a te fai scopo,

Non ha d'uopo

Mendicare i fregi altrui.

Tu ben sai che nel suo volto

Era accolto

Ogni fior di mia bellezza.

Qual avrai più vago oggetto,

Se 'l suo aspetto

Da tue rime or si disprezza?”

Ben l'avrai, mie voci ascolta”,

In me volta

Palla allor pronta riprende,

Ben l'avrai nel puro interno

Bello eterno,

Onde ancor l'Alma risplende.

Chiara mente, alti concetti,

Saggi detti,

Gentil tratto, aureo costume,

E virtù mill'altre, e mille,

Quai faville,

Tralucean di sì gran lume.

Egli fu ch'al nobil piede

L'ali diede,

Quando lieve in Pindo ascese.

Sua mercede dall'Argive

Dotte Dive

Così dolce il canto apprese.

Questo è il bel, di cui fornita

Avrà vita

Immortale in ogni etade.

Loda or tu quello del viso,

Ch'improvviso

In un giorno e langue e cade.”

Disse, e sparve. Allor mi desto

Tutto mesto,

E del vano ardir mi pento,

Ché i tuoi pregi a narrar mosso

Or non posso

Lodar tutti, e un sol pavento.

Veggo ancor Giunone altera

Tal qual era,

Quando irata in aria alzossi,

E in sembianza disdegnosa,

Minacciosa

Tra le nubi dileguossi.


Abate Vincenzo Leonio da Spoleto (Uranio Tegeo, Accademico Umorista)




12 (229)


Inclita, saggia, valorosa, e forte

Donna, che basse cure avete a sdegno,

Ed aprendo a' dolor giusto le porte,

Salite ove più raro è d'orma segno;


E a lei, cui fece il grave danno morte

Sul bel Sebeto, e il pianse, onde a voi degno

La feste esempio, come a par di sorte,

Così le gite di valor, d'ingegno;


L'alte virtù, che fur sì chiare in ella,

E il sono ancora, io vedo e altrui le mostro

Sorte in voi, qual da seme erba novella.


Quella diè vita al morto sposo, e il vostro

Per voi respira aura di gloria: quella

Del suo secolo onore, e voi del nostro.


Ercole Aldovrandi (Griseldo Toledermio, Conte bolognese)



14 (171)


Passò al Cielo Alessandro il saggio, il prode;

Ed or ravvisa nel divino oggetto

I tuoi pensier' sublimi, e 'l casto affetto;

E vede il tuo bel pianto, e pur ne gode.


Vedeti ascesa a maggior grido, ed ode

L'armonia del tuo stil candido e schietto;

Indi allo stuol de' suoi grand'Avi eletto

Te mostra, e l'opre tue, che son sua lode.


Vede ancor tardo di tua vita il fine,

E la dimora a lui sembra molesta

D'aspettarti fra tante altre Eroine;


Ma al tuo valore il bel desio s'arresta:

Ché per norma alle chiare Alme Latine,

Se tu affretti il partir, quaggiù chi resta?


Angelo Antonio Somai (Ila Orestasio, Abate da Rocca Antica in Sabina)



1 (331)


Qual Fiumicel, che se tra verdi sponde

Nudre erbe e fior', di vago prato in seno,

Limpido è sì che specchio al Ciel sereno,

Alle Ninfe e a i Pastor' forma coll'onde;


Ma se per valli paludose immonde

Rivolge il corso, o in arido terreno,

Coll'atro limo, onde il lor fondo è pieno,

La chiarezza natia mesce e confonde;


Tal il fuoco d'Amor chiaro risplende,

Ardendo in cuor gentil, ma in rozzi petti

Perde il suo lume, e oscuro e vil si rende.


Amor dunque non è che i nostri affetti

Al bene o al mal diversamente accende,

Ma o buoni o rei prende da noi gli effetti.


Abate Vincenzo Leonio da Spoleto (Uranio Tegeo, Accademico Umorista)



289


Sovente in ascoltar quel, che spargea

Fama di tue virtù, grido sì altero,

Perdona, o saggia Elettra, io mel fingea

Non falso già, ma assai maggior del vero.


Ma non sì tosto udii quante chiudea

Grazie il tuo canto, ch'io cangiai pensiero,

E dissi: "O Fama, in questo sol sei rea,

Che di lei non narrasti il merto intero."


"No", rispos'ella, "no, ch'io rea non sono,

Ché di lei sola all'ammirabil vanto

Tutto sacrai delle mie trombe il suono.


Ma, se col fiato mio non giungo a tanto

Che agguagli i pregj suoi, merto perdono,

Ch'ella sol di sé stessa ha degno il canto."


Pompeo Figari (Montano Falanzio, Abate genovese, fondatore d'Arcadia)