La Libraria di Arcano
Letteratura italiana dalle origini al XIX Secolo
Gli Opuscoli di Arcano
A cura di Bibliofilo Arcano
16 Sonetti di Veronica Franco Tratti da "Gaspara Stampa-Veronica Franco: rime", Bari, Laterza, ca. 1575, pagg. 329-361, 380-386, (Salza, Abd-el-Kader, 1875-1919) Indice dei capoversi A la tua ceda ogni regale insegna, (3) Al nostro stato misero e dolente (7) Come talor dal ciel sotto umil tetto (1) D' alzarmi al ciel da questo stato indegno, (14) Deh, la pietá soverchia non v' offenda, (6) Deh, qual d' Estor parti dal mondo tosto (12) Del gran Francesco a la vita onorata (9) Dolce del vostro amor mi è indizio stato (13) Ecco del tuo fallir degna mercede, (16) Ite, pensier fallaci e vana spene, (15) La morte, ognor ne l' opre rie piú ardita, (4) Mentre d' Estor vorrei pianger la morte, (11) Poiché dal mondo al ciel, suo proprio albergo, (8) Prendi, re per virtú sommo e perfetto, (2) Se pur devea da morte essere estinto (10) Traslata l' alma al suo natio terreno, (5) 1 Ad Enrico terzo di Francia, che, partendo da lei, volle gradire un suo ritratto, in ricordo Come talor dal ciel sotto umil tetto Giove tra noi qua giú benigno scende, e perché occhio terren dall' alt' oggetto non resti vinto, umana forma prende; cosí venne al mio povero ricetto, senza pompa real ch' abbaglia e splende, dal fato Enrico a tal dominio eletto, ch' un sol mondo nol cape e nol comprende. Benché si sconosciuto, anc' al mio core tal raggio impresse del divin suo merto, che ' n me s' estinse il natural vigore. Di ch' ei di tant' affetto non incerto, l' imagin mia di smalto e di colore prese al partir con grato animo aperto. 2 Ad Enrico terzo di Francia, che, partendo da lei, volle gradire un suo ritratto, in ricordo Prendi, re per virtú sommo e perfetto, quel che la mano a porgerti si stende: questo scolpito e colorato aspetto, in cui ' l mio vivo e natural s' intende. E, s' a essempio sí basso e sí imperfetto la tua vista beata non s' attende, risguarda a la cagion, non a l' effetto. Poca favilla ancor gran fiamma accende. E come ' l tuo immortal divin valore, in armi e in pace a mille prove esperto, m' empío l' alma di nobile stupore, cosí ' l desio, di donna in cor sofferto, d' alzarti sopra ' l ciel dal mondo fore, mira in quel mio sembiante espresso e certo. 3 Nel dottorato del signor Gioseppe Spinelli, rettore de' legisti a Padova A la tua ceda ogni regale insegna, ché de le sacre leggi in man tenesti cosí ben il governo, onde reggesti di dotta gioventú scola sí degna. Ad inchinarsi a te tutta ne vegna d' Antenor la cittá, ch' a tanto ergesti col tuo valor, ch' in terra un ciel la festi, dove il ben senza noia eterno regna. Tu di religion santa e verace sei rilucente specchio, al cui bel raggio ogni spirto gentil si strugge e sface, che, da te fatto antiveduto e saggio, dritto sen vola a la divina pace, per destro e sicurissimo viaggio. 4 Al colonnello Francesco Martinengo, conte di Malpaga, in morte di Estor, suo fratello La morte, ognor ne l' opre rie piú ardita, con sanguinosa falce, in atto vile, al fratel vostro, a voi caro e simíle, troncò l' april de la sua etá fiorita. Empia, che con sí grave aspra ferita spezzò ' l bel nodo a l' anima gentile, che da conocchia d' òr puro e sottile filava Cloto a cosí degna vita. Benché son queste alfin gravose spoglie, che chi prima le sgombra avvien che prima de l' umane miserie esca e si spoglie. Ma, s' ogni mortal ben falso si stima, vi consoli che ' l ciel lo spirto accoglie, in guisa che i suoi merti al mondo esprima. 5 Al colonnello Francesco Martinengo, conte di Malpaga, in morte di Estor, suo fratello Traslata l' alma al suo natio terreno, che di virtú tra noi fu sí feconda, perché vena di lagrime profonda sorge in voi da l' effetto egro terreno? Or nel giardin del paradiso ameno, senza seccarsi in lei né cader fronda, d' altri piú dolci pomi in copia abbonda, pregna d' altr' aura, il sol via piú sereno. Soave di celeste ambrosia umore pasce l' avventurosa sua radice, non piú caduca in suo frutto, né in fiore; ma se in sua sorte in ciel vera beatrice l' acerbo di qua giú pervien dolore, nel vostro amaro pianto è men felice. 6 Al colonnello Francesco Martinengo, conte di Malpaga, in morte di Estor, suo fratello Deh, la pietá soverchia non v' offenda, in vece del fratel pianger estinto, dando in preda al martir voi stesso vinto, sí che dagli occhi un largo fiume scenda! Non lasciate, signor, che ' l mondo intenda che ' l vostro cor, di tal costanzia cinto, dal proprio danno suo sforzato e spinto, per alcun caso al duol giá mai si renda. Benché se qui perdeste un fratel tale, che ' n terra di virtú somma e perfetta o solo o nessun altro aveste eguale, il racquistaste in ciel: quivi egli aspetta, sazio che siate de la vita frale, di sua man colocarvi in sedia eletta. 7 Al colonnello Francesco Martinengo, conte di Malpaga, in morte di Estor, suo fratello Al nostro stato misero e dolente lagrimar ad ognor ben si conviene del mal sempre piú grave e piú presente nel mondo, ch' è un varcar di pene in pene. Ma s' allegrar giá mai si dé' la mente, cui de la vita l' aspro carcer tiene, ciò guardando si faccia solamente ch' a posar dai travagli un dí si viene. D' ogni travaglio il termine è la morte; e, se non vien da l' uom morto sofferto cosa, ch' affanno o gioia al senso apporte, giunti i suoi cari al fin del sentier erto membri spesso, vivendo, e si conforte, quando che sia di giungervi anch' ei certo. 8 Al colonnello Francesco Martinengo, conte di Malpaga, in morte di Estor, suo fratello Poiché dal mondo al ciel, suo proprio albergo, qual lampo a l' apparir tosto sparito, è il saggio e valoroso Estor salito, quasi l' ali impennando al lieve tergo, a te ' l ciglio devoto e la mente ergo, Re celeste, invisibile, infinito, e del suo gran valor, da noi partito, le guance smorte lagrimando aspergo. Deh! ripara, Signor, ai nostri danni, la vita, a lui da morte acerba tolta, del gran Francesco concedendo agli anni; che con l' altro fratel la doglia accolta mostra nel volto e nei lugubri panni, e gli occhi a sé d' ogni uom pietosi volta. 9 Al colonnello Francesco Martinengo, conte di Malpaga, in morte di Estor, suo fratello Del gran Francesco a la vita onorata gli anni del suo fratello Estor morto rendi, Signor, per grazia e per conforto de la famiglia sua mesta e turbata: anzi in questo da te pur sia servata del ciel la gloria in terra, ove mai scorto non fu gran pregio da l' occaso a l' orto, di quanto è di costui l' anima ornata. Questi, che vive e spira, e vivrá ognora per valor d' armi e somma cortesia dopo la morte eternamente ancora, lungo secol tra noi felice stia, dove la sua virtute il mondo onora, e te difende, alma Vinezia mia. 10 Al colonnello Francesco Martinengo, conte di Malpaga, in morte di Estor, suo fratello Se pur devea da morte essere estinto di sí illustre famiglia un lume chiaro, né schivato poteva esser, né vinto de l' aspro influsso il grave colpo amaro, ventura fu che ' n quel, ch' è proprio instinto di morte in tôrne il ben che n' è piú caro, d' infinita virtú Francesco cinto trovasse contra lei schermo e riparo. Morto è ' l grand' Estor, ma di lui maggiore vive Francesco, quel ch' a l' empio Scita combattendo mostrò l' invitto core. Questi con mano ti difese ardita, Vinezia bella, e con supremo onore l' opre sue degne a favorir t' invita. 11 Al colonnello Francesco Martinengo, conte di Malpaga, in morte di Estor, suo fratello Mentre d' Estor vorrei pianger la morte, ed al commun gran duol le note piglio piú rispondenti e piú pietose e scorte, nel suo da noi perpetuo acerbo essiglio, vivo miro Francesco invitto e forte, che con la spada pronto e col consiglio, guerreggiando, sostenne da le porte di Vinezia lontan l' alto periglio. Questi, ch' è ancor colonna ben fondata contra l' otoman impeto sí crudo, di Marte con le man proprie innalzata, nel dolor del fratel morto m' è scudo con lieta gloria illustre, onde abbagliata la vista d' ogni affetto abbasso e chiudo. 12 Al colonnello Francesco Martinengo, conte di Malpaga, in morte di Estor, suo fratello Deh, qual d' Estor parti dal mondo tosto lo spirto in suo valor pronto e gagliardo, tanto piú da la morte stia discosto il giovinetto e nobile Gherardo. Questi trar di Francesco entro ' l cor posto de l' altro fratel morto il crudel dardo può col valor, che ' n suo fermo proposto segue con piede giovenil non tardo. La sua propria virtú specchia ed ammira, che col suo essempio in costui si rinova, Francesco, mentre il morto Estor sospira; e 'n ciò conforto a la sua doglia trova, e con la speme di veder respira del costui seme alta progenie nova. 13 A Bartolomeo Zacco In memoria di Daria, figlia di lui. Dolce del vostro amor mi è indizio stato che vertú sí perfetta e risplendente di raccender in ciel le qua giú spente luci di Daria abbiate in me stimato. Ma poi ch' irrevocabil siede il fato, né, per quanto altri pianga o si lamente, del futuro si cangia unqua niente, non ch' indietro tornar possa il passato; forse util fia che rasciugate il rio dagli occhi manda il cor che s' addolora, o vi acquetate a quel che piace a Dio. Certo che, se celeste alma sí onora l' uman lodar, tutto ' l mondo, non ch' io, celebreria la sua memoria ognora. 14 A Bartolomeo Zacco Convertita, lo ringrazia d' averla lodata. D' alzarmi al ciel da questo stato indegno, in ch' io mi trovo, e far formar parole a un chiaro spirto ch' in su par che vole, per farsi nido d' alta gloria pregno, in me merto non è; ma se pur vegno e vivo in qualche stima, che console la patria mia, questo è quel che far sòle l' altrui bontá degna d' imperio e regno: l' altrui bontá, che di queste ombre fore cerca tirar me ancora in quel bel chiostro. Dunque a voi debbo che, da voi diviso, sendo gentil, mi fate sí d' onore e m' illustrate col ben spesso inchiostro, che giá sa tutto e proprio è un paradiso. 15 Elevazione e conversione Ite, pensier fallaci e vana spene, ciechi ingordi desir, acerbe voglie; ite, sospir ardenti, amare doglie, compagni sempre alle mie eterne pene. Ite, memorie dolci, aspre catene al cor, che alfin da voi pur si discioglie, e ' l fren de la ragion tutto raccoglie, smarrito un tempo, e in libertá pur viene. E tu, pura alma, in tanti affanni involta, slégati omai, e al tuo Signor divino leggiadramente i tuoi pensier rivolta: sforza animosamente il tuo destino, e i lacci rompi, e poi leggiadra e sciolta drizza i tuoi passi a piú sicur cammino. 16 In lode della Semiramis di Muzio Manfredi Ecco del tuo fallir degna mercede, magnanima e vilissima reina: come Fortuna ogni tua altezza inchina, per le tue gravi colpe, or pur si vede. Ecco d' Assiria l' onorata sede di tanti regi a l' ultima ruina: che ' l tempo faccia alfin crudel rapina de le maggior grandezze, or pur si crede. Tu l' onor, tu l' impero, e tu la vita, misera, perdi in un sol giorno, e colpa sol di te stessa, e l' altrui gloria essalti. Muzio n' ha gloria, e pregi eterni ed alti; e, mentre ei te d' ogni bruttezza incolpa, acquista al nome suo loda infinita.