Quattro
lettere di Newton
sulla dimostrazione dell'esistenza di una
Divinità
(da Episteme N.
5 - 21 marzo 2002)
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"Voi qualche volta parlate della
gravità come essenziale ed
inerente alla materia. Vi prego di non ascrivere tale nozione
a me, poiché la causa della gravità è ciò che non fingo di
sapere."
Isaac
Newton a Richad Bentley, 17/1/1693
"Che la gravità debba essere innata, inerente ed essenziale alla
materia, così che un corpo possa agire sopra un altro a distanza attraverso il
vuoto, senza la mediazione di niente
altro per, e attraverso il quale, la loro azione e forza possa
essere convogliata da uno all'altro, è per me una tale assurdità,
che io credo che nessun uomo che abbia una competente facoltà
di pensare in materie filosofiche, possa mai cadere in essa."
Isaac
Newton a Richad Bentley, 25/2/1693
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Premessa di Alessandro
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Le quattro lettere di Newton a
Bentley
Nel
corso della storia spesso è successo che nuove teorie
scientifiche, benché notevoli e degne di risalto, non ebbero
molta diffusione negli ambienti culturali, o per lo meno non con
la rapidità che il loro seguente successo farebbe presupporre.
Alcune di esse ebbero impatto solo su un ristretto numero di
specialisti, altre invece sono assurte a ruoli che esulano dalla
loro effettiva area di azione per influenzare il pensiero di
intere epoche.
Quest'ultimo è il caso della filosofia Newtoniana. Alcuni anni
dopo la sua nascita conobbe diffusione universale (che per
l'epoca significava l'Europa) negli ambienti culturali non
specialistici grazie alla paziente (e veemente) opera di
divulgazione fatta da personaggi celeberrimi come Voltaire. Tale
filosofia ebbe (come del resto altre prima e dopo) un notevole
influsso sulla concezione del mondo. L'appoggio prestato da
Voltaire fu fondamentale per la fama di Newton e del suo
pensiero negli ambienti culturali, ove il suo nome non era
ancora così famoso come in quelli specialistici. Fu così
affascinato dalla nuova filosofia che volle scrivere un libro
dove ne spiegava a grandi linee il contenuto.
Voltaire però non fu il solo letterato che si cimentò con la
filosofia naturale. Altri avevano percorso la stessa strada
molti anni prima, nel tentativo di fare un uso non prettamente
scientifico della nuova e rivoluzionaria filosofia.
Richard Bentley nacque nel 1662 da famiglia
benestante. Studiò al Trinity College di Cambridge, dove era
famoso per la sua erudizione ma anche per il suo carattere
provocatore e combattivo. Nel 1691 Robert Boyle, cristiano
convinto, lasciò una disposizione testamentaria nella quale
istituiva un premio da assegnare a chi avesse proposto una
lettura in otto parti in favore dell'evidenza della cristianità.
In quell'anno, come primo oratore, fu nominato appunto Richard
Bentley, la cui fama era grandissima almeno in Inghilterra.
Bentley volle dare un'impostazione del tutto nuova al suo
lavoro, che prese il titolo di "Una Confutazione
dell'Ateismo": aveva l'intenzione di suffragare il suo
discorso con prove oggettive.
Con questo obiettivo in mente si rivolse verso quello che
considerava inconfutabile per eccellenza: il Creato. Pensò che
i Principia, da poco
pubblicati, facessero al caso suo, ma non possedeva gli
strumenti necessari per comprenderne il contenuto. Scrisse
quindi a John Craige e gli chiese quali libri avrebbe dovuto
leggere per poterli comprendere. Questi rispose con un elenco di
testi troppo lungo anche per una persona brillante come Bentley.
Spaventato, ma deciso a portare a termine il suo disegno,
scrisse a Newton stesso chiedendo aiuto. Questi rispose con un
elenco più abbordabile. Gli consigliò poi di leggere soltanto
le prime sei pagine del trattato per passare direttamente
all'ultimo libro, dove si trovavano le prove che cercava.
Naturalmente, il testo Newtoniano non era certo di facile
lettura. Bentley, che di volta in volta aveva nuovi dubbi,
continuò a scrivere a Newton chiedendo chiarimenti in merito a
questioni più che altro filosofiche, volendo egli portare
velocemente a termine il compito affidatogli senza perdersi in
dettagli tecnici che non era in grado di padroneggiare. Queste
lettere misero Bentley nella condizione di percepire il senso
generale della teoria Newtoniana, anche se non aveva le
competenze necessarie per comprendere appieno la portata di tale
innovazione. Decise quindi, sulla base di queste sue nuove
conoscenze, di rovesciare i canoni delle dissertazioni
teologiche come si erano viste sin lì. Per la prima volta non
ci si affidava più ad argomentazioni puramente speculative o
alla presunta autorità degli antichi, come era costume nel meDioevo, ma ci si basava su argomentazioni che tutti potevano
(almeno in teoria) controllare.
Dedicò le prime sei letture* all'esposizione delle ragioni
della fede in una Divinità, ma lasciò per le ultime due
l'esposizione delle argomentazioni ricavate dai suoi studi
Newtoniani. Egli tentò di dimostrare, sulla base delle
deduzioni riguardanti i corpi celesti, in particolar modo i
pianeti, che il puro caso non poteva essere responsabile della
creazione del mondo, e che era evidente l'intervento di una
mente raziocinante. Nel fare questo per prima cosa criticò le
teorie cartesiane dei vortici in quanto, implicando un agente di
tipo meccanico, toglievano a Dio la necessità di intervenire
nel regolare i moto celesti. In secondo luogo, vista l'attualità
del vuoto, discusse quale potesse essere l'agente che faceva
gravitare i corpi. Seguendo la raccomandazione di Newton, affermò
che tale forza fosse la manifestazione dell'azione divina sul
creato, e non una qualità inerente i corpi stessi, che
richiamava alla mente le qualità occulte degli scolastici. In
seguito basandosi sul perfetto ordine dell'universo, dedusse che
questo doveva essere il frutto del progetto di una mente
raziocinante, dotata di raffinate conoscenze matematiche. Questa
mente non poteva che essere Dio stesso, il quale era intervenuto
nella creazione del mondo fissando le leggi che regolano il moto
dei corpi celesti, contribuendo poi fattivamente alla loro
osservanza.
Un tale approccio, oltre ad essere estremamente moderno, ebbe un
influsso enorme nello svolgersi del dibattito filosofico di
tutto il secolo seguente. Tutto quadrava, ogni cosa aveva la sua
ragion d'essere ed era stata creata a quel modo perché così il
creatore aveva ritenuto giusto. Ogni cosa nell'universo
rifletteva una profonda precisione ed un accurato calcolo che
non potevano essere frutto del caso. E questa parrebbe anche
l'opinione di Newton, il quale in altri luoghi era poco incline
a tale ipotesi.
Ora, per essere precisi, dobbiamo dire che questo scritto si
inserisce in un contesto della vita di Newton che lo vedeva
impegnato sotto il profilo politico più che dal lato
scientifico. Non ci è dato sapere perché Newton, così poco
incline alle corrispondenze, abbia dedicato tempo ad un progetto
al quale non era molto interessato. A quanto pare però
anch'egli partecipò alla nomina di Bentley per questo incarico.
Non si può escludere che tale lavoro fosse utile più dal punto
di vista dei rapporti politici che sotto il profilo scientifico;
tale valenza però è molto difficile, se non impossibile, da
provare.
Sta di fatto però che il successo delle letture fu enorme e il
loro influsso si fece sentire per molto tempo. E' curioso notare
però che, oltre tre secoli dopo, gli stessi argomenti, o meglio
la stessa filosofia, che tanto elegantemente Bentley usò per
dimostrare l'esistenza di Dio, fungono da base per il
sostanziale ateismo della scienza moderna.
Le quattro lettere proposte contengono la sostanza del discorso
di Bentley, e quindi si possono considerare, oltre ad una
piccola finestra sulla personalità di Newton, un prototipo
della divulgazione che in seguito venne fatta della sua
filosofia.
* Gli otto testi in oggetto
vennero effettivamente letti al pubblico dal pulpito di una
chiesa da parte di Bentley in persona.
Nota -
Queste lettere, a quanto mi risulta, non sono mai state tradotte
integralmente in italiano. Ne viene dato qualche brevissimo
stralcio in Newton, di
R. Westfall, Einaudi, Torino, 1989. I loro testi completi,
pubblicati per la prima volta nel 1756, possono essere reperiti
in lingua originale in: ISAAC
NEWTON'S Papers and letters On Natural Philosophy and Related
Documents, a cura di I. B. Cohen, Harvard University Press,
1978, pagg. 279-312. Il testo presenta una ristampa anastatica
di "Four letters from Sir Isaac Newton to Richard Bentley,
containing some arguments in proof of a Deity", stampate da
R. e J. Dodsley, Pall-Mall, Londra, 1761. Nello stesso libro si
possono trovare anche le ultime tre letture di Bentley contro
l'ateismo, quelle direttamente influenzate dalla corrispondenza
con Newton.
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Lettera
I
Al reverendo Dr. Richard Bentley, al vescovado
di Worchester in Parkstreet, Westminster.
Signore,
quando scrissi il mio trattato sul nostro
sistema, tenevo in considerazione tali principi per come
potessero essere applicati considerando gli uomini in qualità
di fedeli in una divinità, e nulla può rallegrarmi più che il
trovarli utili per tale proposito. Ma se in questo modo ho fatto
qualche servizio al pubblico, non è dovuto ad altro che
all'industriosità e alla paziente riflessione.
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Come nella vostra prima questione, mi sembra che, se tutta la
materia del nostro Sole e dei pianeti, e tutta la materia
dell'universo, fosse uniformemente sparsa attraverso tutto il
firmamento, e ogni particella avesse una innata gravità verso
tutto il resto, e l'intero spazio attraverso il quale questa
materia fu diffusa era finito, la materia al di fuori di questo
spazio dovrebbe, per la sua gravità, tendere verso tutta la
materia all'interno, e per conseguenza cadere giù nel mezzo
dell'intero spazio, e là comporre una grande massa sferica.
Ma se la materia fu
uniformemente disposta attraverso uno spazio infinito, potrebbe
non convenire mai in una massa, ma un po' potrebbe convenire in
una massa e un po' in un'altra, in modo da formare un numero
infinito di grandi masse, diffuse a grandi distanze una
dall'altra in tutto questo spazio infinito. E così potrebbero
essersi formati il Sole e le stelle fisse, supponendo che la
materia fosse di natura lucida. Ma come la materia si divida in
due specie, e che parte di essa, che è adatta a comporre un
corpo splendente, precipiti in una massa, e formi il Sole, ed il resto, che
è adatta a comporre un corpo opaco, si concentri non in un
grande corpo come la materia splendente, ma in molti piccoli
corpi, o se il Sole all'inizio fosse stato un corpo opaco come i
pianeti, o i pianeti corpi lucidi come il Sole, come egli solo
possa essersi cambiato in un corpo splendente mentre tutti loro
continuano ad essere opachi, o tutti loro siano cambiati in
opachi, mentre egli rimase immutato, io non lo credo esplicabile
per mere cause naturali, ma sono costretto ad ascriverlo
all'arbitrio ed al progetto di un agente volontario.
La stessa potenza, naturale o soprannaturale, che pose il Sole
al centro dei sei pianeti primari, pose Saturno nel centro degli
orbi dei suoi cinque pianeti secondari, e Giove nel centro dei
suoi quattro pianeti secondari, e la Terra nel centro dell'orbe
della luna; e perciò se questa causa fosse stata cieca, senza
un progetto o un disegno, il Sole dovrebbe essere stato un corpo
dello stesso tipo di Saturno, Giove e la Terra, cioè senza luce
e calore. Perché [per qual ragione] vi sia un corpo nel nostro
sistema qualificato a dare luce e calore a tutto il resto non
conosco ragione, se non che l'autore del sistema lo ha pensato
conveniente; e perché non ci sia che un corpo di questo genere
non conosco ragione, se non che uno era sufficiente a riscaldare
ed illuminare tutto il resto. Per quanto riguarda l'ipotesi
cartesiana dei soli che perdono la loro luce e poi diventano
comete, e da comete pianeti, non può trovare posto nel mio
sistema, ed è palesemente erronea, poiché è certo che, tutte
le volte che ci appaiono, esse discendono nel sistema dei nostri
pianeti più in basso dell'orbita di Giove, e qualche volta più
in basso dell'orbita di Venere e Mercurio, ed inoltre non
rimangono mai qui ma se ne vanno sempre lontano dal Sole con lo
stesso grado di moto con il quale si sono avvicinate.
Alla vostra seconda questione io rispondo, che il moto che
attualmente hanno i pianeti non potrebbe essere scaturito solo
da una qualche causa naturale, ma fu impresso da un agente
intelligente. Poiché, dal fatto che le comete discendono nella
regione dei nostri pianeti, e qui si muovono in tutte le
maniere, andando talvolta dalla stessa parte coi pianeti,
talvolta in modo contrario, e talvolta incrociandoli in piani
inclinati rispetto al piano dell'eclittica con tutti gli angoli,
è chiaro che non c'è causa naturale che possa fare in modo che
tutti i pianeti, sia primari che secondari, si muovano allo
stesso modo e nello stesso piano, senza alcuna variazione
considerabile: questo deve essere stato l'effetto dell'arbitrio.
Né c'è alcuna causa naturale che possa dare ai pianeti quegli
esatti gradi di velocità in proporzione alle loro distanze dal Sole
ed altri corpi centrali, che fu indispensabile per fare in modo
che essi si muovano in orbite concentriche attorno a tali corpi.
Se i pianeti fossero veloci come le comete, in proporzione alle
loro distanze dal Sole (se lo fossero stati, il loro moto
sarebbe causato dalla gravità, mentre la materia, alla prima
formazione dei pianeti, poté cadere dalle più remote regioni
verso il Sole) non si muoverebbero in orbite concentriche, ma in
orbite eccentriche come quelle delle comete. Se tutti i pianeti
fossero veloci come Mercurio, o lenti come Saturno o come i suoi
satelliti, o diversamente se fossero le loro varie velocità più
o meno grandi di quello che sono se avessero avuto origine da
una causa diversa che la loro gravità, o fossero state le loro
distanze dal centro attorno al quale si muovono più o meno
grandi di quello che sono con le stesse velocità, o fossero
state più o meno grandi di quello che sono le quantità di
materia nel Sole, o in Saturno, Giove e la Terra, e per
conseguenza [anche] le loro potenze gravitazionali, i pianeti
primari non potrebbero orbitare attorno al Sole, né i secondari
attorno a Saturno, Giove e la Terra, in orbite concentriche come
fanno, ma si sarebbero mossi in iperbole, o parabole, o in
ellissi molto eccentriche. Perciò fare questo sistema, con
tutti i suoi moti, richiese una causa che comprese e comparò
assieme le quantità di materia nei diversi corpi del Sole e dei
pianeti e le potenze gravitazionali che da queste risultano, le
diverse distanze dei pianeti primari dal Sole e dei secondari da
Saturno, Giove e dalla Terra, e le velocità con le quali questi
pianeti avrebbero orbitato attorno a queste quantità di materia
nei corpi centrali; e comparare ed aggiustare tutte queste cose
assieme in una tale varietà di corpi, ne fa arguire non essere
tale causa cieca e accidentale, ma molto ben edotta in meccanica
e geometria.
Alla vostra terza questione rispondo, che può essere
rappresentato che il Sole possa, riscaldando i pianeti in
maniera maggiore più gli sono vicini, causare il loro essere
meglio miscelati e più condensati da tale miscela. Ma quando io
considero che la nostra Terra è molto più riscaldata nelle sue
viscere sotto la crosta esterna da fermentazioni sotterranee che
dal Sole, non vedo perché le parti interiori di Giove e Saturno
non possano essere riscaldate, miscelate e coagulate da queste
fermentazioni come lo è la nostra Terra; e perciò questa varia
densità può avere altre cause che le varie distanze dei
pianeti dal Sole. E sono confermato in questa opinione dal
considerare che i pianeti di Giove e Saturno, così come essi
sono più rari del resto, così sono vastamente più grandi, e
contengono una molto maggiore quantità di materia, ed hanno
molti satelliti
intorno a loro; le quali qualificazioni sicuramente non sono
sorte dal loro essere posti a così grande distanza dal Sole, ma
piuttosto fu la causa del perché il creatore le ha poste a così
grande distanza. Poiché per le loro potenze gravitazionali essi
disturbano sensibilmente uno i moti dell'altro, come ho trovato
grazie a qualcuna delle ultime osservazioni di Mr. Flamsteed, e
se fossero stati posti molto più vicino al Sole ed uno
all'altro, essi avrebbero causato, per la stessa potenza, un
considerevole disturbo in tutto il sistema.
Alla vostra quarta questione rispondo che, nella ipotesi dei
vortici, l'inclinazione dell'asse della Terra potrebbe, nella
mia opinione, essere ascritto alla situazione del vortice della Terra
prima che fosse assorbito dai vortici circostanti, e la Terra
cambiata da un Sole ad una cometa, ma questa inclinazione
dovrebbe decrescere costantemente in conformità col moto del
vortice della Terra, il cui asse è molto meno inclinato
sull'eclittica, come appare dal moto della Luna che vi è
portata dentro. [Anche] se il Sole coi suoi raggi possa
trasportare in giro i pianeti, ancora non vedo come possa in tal
modo effettuare i loro moti diurni.
Infine, non vedo nulla di straordinario nell'inclinazione del
asse terrestre per provare [l'esistenza] di una divinità, senza
che voi l'accampiate come espediente per l'inverno e l'estate, e
per rendere la Terra abitabile tra i poli; e che le rotazioni
diurne del Sole e dei pianeti, [così] come difficilmente
possono sorgere da una qualche causa puramente meccanica, in
modo da essere tutti determinati allo stesso modo con i moti
annuali e mensili, sembrano allestire tale armonia nel sistema
che, come ho spiegato sopra, fu l'effetto della scelta piuttosto
che del caso.
C'è ancora un argomento a favore di una divinità, il quale io
considero sia di quelli forti, ma i principi sui quali è
fondato sono male accetti, [e] penso sia consigliabile lasciarlo
quieto.
Io sono
il suo più umile Servitore, per obbedire
Is. Newton
Cambridge 10 Dicembre 1692.
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Lettera II
Per Mr. BENTLEY, al Palazzo a WORCHESTER.
|
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Signore,
sono d'accordo con voi che se la materia
uniformemente diffusa attraverso uno spazio finito, non sferico,
cadesse in una massa solida, questa massa dovrebbe simulare la figura dell'intero
spazio, purché [la materia] non sia stata
soffice, come il vecchio Caos, ma così solida e dura fin
dall'Inizio, che il peso delle sue parti protuberanti non
potesse farla cedere alla loro pressione. |
Inoltre, per i terremoti, perdendo le
parti di questo solido, le protuberanze
possono a volte penetrare un poco per il loro peso, e perciò la
massa può, per gradi, avvicinarsi ad una figura sferica.
La ragione del perché la materia uniformemente diffusa in uno spazio
finito dovrebbe convenire nel centro la concepite alla
stessa mia maniera, ma che ci possa essere una particella
centrale, così accuratamente posta nel mezzo in modo da essere
sempre egualmente attratta da tutti i lati, e perciò
perseverare senza moto, mi sembra una supposizione altrettanto
ardita che fare in modo che il più appuntito ago stia in piedi
sulla sua punta sopra uno specchio.
Poiché se l'autentico centro matematico della particella centrale non è accuratamente nell'autentico
centro
matematico della potenza attrattiva dell'intera massa, la particella non sarà egualmente attratta da tutte le
parti. E
molto più arduo è supporre che tutte le particelle in uno spazio
infinito possano essere così accuratamente poste l'una
rispetto all'altra da stare ancora in perfetto equilibrio. Poiché
io reputo questo altrettanto arduo che fare in modo che non solo
un ago, ma un numero infinito di loro (tanti quante sono le particelle in uno
spazio infinito) stiano accuratamente posti
sopra le loro punte. Comunque lo riconosco possibile, almeno da
una Potenza divina; e se fossero posizionate una volta per
tutte, sono d'accordo con voi che esse continuerebbero in tale postura senza
moto per sempre, se non sono messe in moto dalla
stessa Potenza. Perciò, quando dissi che la materia uniformemente sparsa per tutto lo
spazio dovrebbe convenire per
la sua gravità in una o più grandi masse, io intendevo di materia
che non riposa in una posizione accurata.
Ma voi arguite nel paragrafo seguente della vostra lettera, che
ogni particella di materia in uno spazio infinito ha una
infinita quantità di materia da ogni lato, e per conseguenza
una attrazione infinita da ogni parte, e perciò deve restare in
equilibrio, poiché tutti gli infiniti sono eguali. Ancora voi
sospettate un paralogismo in questo argomento, ed io concepisco
il paralogismo giacere nella posizione che tutti gli infiniti
sono eguali.
La generalità del genere umano considera gli infiniti non diversamente dagli indefiniti, ed in questo
senso
dicono che tutti gli infiniti sono eguali, anche se parlerebbero
più propriamente se dicessero che essi non sono né eguali né
ineguali, né hanno una certa differenza o proporzione uno
all'altro. In questo senso perciò nessuna conclusione può da
loro essere tratta sulle eguaglianze, proporzioni o differenze
delle cose, e coloro che tentano di farlo, usualmente cadono in
paralogismo. Così [accade] quando gli uomini argomentano contro
l'infinita divisibilità della grandezza, dicendo che se un pollice può essere diviso in un infinito
numero di parti la somma di queste parti sarà un pollice, e se un
piede può
essere diviso in un numero infinito di parti la somma di queste parti deve essere un
piede, e perciò, dal fatto che tutti gli infiniti sono eguali, queste
somme devono essere eguali, cioè,
un pollice è eguale ad un piede.
La falsità della conclusione mostra un errore nelle premesse, e
l'errore giace nella posizione che tutti gli infiniti sono
eguali.
C'è perciò un altro modo di considerare gli infiniti
usati dai matematici, e cioè, sotto certe definite restrizioni
e limitazioni per mezzo delle quali gli infiniti sono
determinati avere certe differenze o proporzioni uno all'altro. così il
Dott. Wallis li considera nella sua Arithmetica infinitorum, dove attraverso le varie
proporzioni di somme
infinite egli ha colto le varie proporzioni tra grandezze
infinite: il qual modo di argomentare è generalmente
autorizzato dai matematici, ed ancora non sarebbe buono nel caso
tutti gli infiniti fossero eguali. In accordo con la stessa
maniera di considerare gli infiniti un matematico vi direbbe
che, nonostante che ci sia un infinito numero di piccole parti
in un pollice, comunque c'è dodici volte il numero di tali parti in un
piede, cioè, l'infinito numero di queste parti in
un piede non è eguale, ma dodici volte più grande l'infinito numero di essi in un
pollice. E così un matematico vi dirà,
che se un corpo stesse in equilibrio tra due forze attrattive
infinite qualsiasi eguali e contrarie, e se ad entrambe queste
due forze si aggiunge una qualche forza attrattiva, questa nuova
forza, per quanto piccola sia, distruggerà il loro equilibrio,
e porrà il corpo nello stesso moto in cui lo metterebbe se
queste due forze contrarie fossero finite, o se non ci fossero;
così che in questo caso i due infiniti, per addizione di un finito
ad entrambi,
diventano ineguali nel nostro modo di ragionare; e dopo queste
cose dobbiamo meditare, se dalla considerazione degli infiniti
noi potessimo sempre tracciare conclusioni vere.
All'ultima parte della vostra lettera io rispondo, prima, che se
la Terra (senza la Luna) fosse posta da qualunque parte col suo
centro nell'Orbis Magnus, e stesse ancora là senza alcuna gravitazione o
proiezione, e là le fosse infusa, tutto in una
volta, sia energia gravitazionale verso il Sole sia un impulso
trasversale della giusta quantità per muoverla direttamente per
una tangente all'Orbis Magnus, la composizione di questa attrazione e di questa
proiezione potrebbe, in accordo alla mia
Nozione, causare una Rivoluzione circolare della Terra attorno
al Sole. Ma l'impulso trasversale deve essere della giusta quantità, poiché, se fosse troppo piccolo o troppo grande,
farebbe in modo che la Terra muova in qualche altra linea. In
secodo luogo non conosco alcuna Potenza in Natura che possa
causare questo moto trasversale senza il Braccio divino.
Blondell ci dice in qualche parte del suo Libro sulle Bombe, che
Platone afferma che il moto dei pianeti è tale come se tutti
loro fossero stati creati da Dio in qualche regione molto remota
dal nostro sistema, e che quindi siano stati fatti cadere da lì
verso il Sole, e nel momento in cui arrivarono alle loro diverse
orbite, il loro moto di caduta venne cambiato in un moto
trasversale. E questo è vero supponendo che la Potenza
gravitazionale del Sole fosse doppia a quel momento di tempo nel
quale tutti loro arrivarono nelle loro diverse orbite; ma allora
la Potenza divina è qui richiesta in modo duplice, ovvero,
cambiare il moto di discesa dei pianeti in caduta in un moto laterale, ed allo stesso tempo duplicare la potenza attrattiva
del Sole. Così allora la gravità può porre i pianeti in moto,
ma senza la Potenza divina non potrebbe mai metterli in un tale moto
di circolazione come essi hanno intorno al Sole; e perciò,
per questo, così come per altre ragioni, sono costretto ad
ascrivere la struttura di questo sistema ad un Agente
intelligente.
Voi qualche volta parlate della gravità come essenziale ed
inerente alla materia. [Vi] prego di non ascrivere tale nozione
a me, poiché la causa della gravità è ciò che non fingo di
sapere, e perciò dovrei impiegare più tempo per meditarvi su.
Temo che quello che ho detto degli infiniti vi sembrerà oscuro,
ma è abbastanza se comprendete che gli infiniti, quando
considerati assolutamente senza alcuna restrizione o limitazione, non sono né eguali né diseguali, né hanno una
certa proporzione uno all'altro, e perciò il principio che
tutti gli infiniti sono eguali, è precario.
Sir, Io sono
il vostro più umile Servitore.
Trinity College Jan. 17, 1692-93
Is. Newton
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Lettera III
Per Mr. Bentley, al Palazzo di Worcester.
Signore,
poiché voi desiderate la velocità risponderò
alla vostra lettera il più celermente possibile. Nelle sei posizioni che voi fate all'inizio della vostra
lettera, sono
d'accordo con voi. La vostra assunzione che l'Orbis Magnus sia
ampio 7000 diametri della Terra implica la parallasse
orizzontale del Sole essere mezzo minuto [di grado]. Flamsteed e
Cassini l'hanno ultimamente osservata essere attorno a 10'', e
così l'Orbis Magnus deve essere ampio 21000, o un numero
attorno a 20000, diametri della Terra.
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|
Entrambi i calcoli io
penso risulteranno buoni, ed io penso non sia necessario
alterare i vostri numeri.
Nella parte seguente della vostra lettera voi ponete quattro altre
posizioni, fondate sulle prime sei. La prima di queste quattro
appare alquanto evidente, supponendo voi prendiate l'attrazione
in modo così generale da comprendere ogni forza per mezzo della
quale corpi distanti si sforzano di divenire assieme senza impulso meccanico.
La seconda non appare così chiara, poiché
potrebbe essere detto, che potrebbero esserci stati altri sistemi di
mondi prima dei presenti, ed altri prima di questi, e
così via per tutta la passata eternità, e per conseguenza, che
la gravità può essere co-eterna alla materia, ed avere lo
stesso effetto da tutta l'eternità come al presente, senza che
voi abbiate provato che i vecchi sistemi non possono
gradualmente passare a nuovi; o che questo sistema non ha la sua
origine dalla materia esalata dai decadimenti dei precedenti sistemi, ma dal Caos di
materia uniformemente dispersa
attraverso tutto lo spazio, poiché qualcosa di questo tipo, io
penso, voi dite sia il soggetto del vostro sesto Sermone; e la crescita di nuovi
sistemi dai vecchi senza la mediazione di una
Potenza divina, mi sembra apparentemente assurda.
L'ultima proposizione della seconda posizione mi piace molto. E'
inconcepibile che la bruta materia inanimata possa, senza la mediazione di qualcos'altro che non è materiale, operare su, ed
influenzare, altra materia senza mutuo contatto, come deve
essere se la gravitazione nel senso di Epicuro, fosse essenziale
ed inerente in lei. E questa è una ragione del perché io
desidero che voi non ascriviate la gravità innata a me. Che la gravità debba essere innata, inerente ed essenziale alla
materia, così che un corpo possa agire sopra un altro a distanza attraverso il
vuoto, senza la mediazione di niente
altro per, e attraverso il quale, la loro azione e forza possa
essere convogliata da uno all'altro, è per me una tale assurdità,
che io credo che nessun uomo che abbia una competente facoltà
di pensare in materie filosofiche, possa mai cadere in essa. La gravità deve essere causata da una Agente che agisce
costantemente in accordo a certe Leggi, ma che questo Agente sia
materiale o immateriale, l'ho lasciato alla considerazione del
mio lettore.
La
vostra quarta asserzione, che il mondo non possa essere formato
da gravità innata solamente, voi lo confermate con tre argomenti. Ma nel vostro primo
argomento voi sembrate fare una petitio principii, poiché, mentre molti
filosofi antichi, ed
altri, come i Teisti e gli Atei, hanno tutti ritenuto
ammissibile che ci potessero essere mondi ed agglomerati di materia innumerabile o infinita, voi negate questo,
rappresentandolo tanto assurdo quanto il fatto che possa
positivamente esistere una somma aritmetica o numero infiniti,
che è una contraddizione in terminis, ma voi non lo provate
assurdo. Né voi provate, che quello che gli uomini intendono
con somma o numero infinito è una contraddizione in natura,
poiché una contraddizione in terminis implica niente più che
improprietà di discorso. Queste cose che gli uomini intendono
per espressioni improprie e contraddittorie, possono talvolta
esistere realmente in natura senza alcuna contraddizione: un calamaio
d'argento, una pietra smerigliatrice di ferro, sono frasi assurde benché le
cose significate con ciò sono reali in natura. Se ogni uomo può dire che un
numero ed una somma, per
parlare propriamente, sono ciò che può essere numerato e
sommato, ma le cose infinite sono senza numero, o, come diciamo
usualmente, innumerabili e senza somma, o insommabili, e perciò
non dovrebbero essere chiamate numeri o somme, egli parlerà
sufficientemente propriamente, ed il vostro argomento contro di
esso avrà, io temo, perso la sua forza. Ed ancora, se qualche uomo prendesse le
parole numero e somma in un senso più largo,
così da capire con
quelle le cose che nel modo proprio di parlare sono senza numero
e senza somma (come voi sembrate fare quando ammettete un numero
infinito di punti in una linea) io potrei prontamente
autorizzarlo all'uso delle frasi contraddittorie di numero
innumerabile, o somma senza somma, senza inferire da questo
alcuna assurdità nella
cosa che intende con queste frasi.
Comunque, se per questo, o
qualsiasi altro argomento, voi avete provato la finitezza
dell'Universo, ne segue che tutta la materia dovrebbe cadere
dall'esterno, e convenire nel mezzo. Ancora, la materia in
caduta potrebbe solidificarsi in molte masse rotonde, come i corpi dei
pianeti, e questi, attraendosi l'un l'altro,
potrebbero acquisire una obliquità di discesa, per mezzo della
quale essi potrebbero cadere non sopra il grande corpo centrale,
ma sul suo fianco, e descrivere un arco attorno [ad esso], e
quindi ascendere di nuovo per gli stessi passi e gradi di moto e
velocità con i quali essi sono discesi prima, in modo molto
simile alle comete che revolvono attorno a Sole; ma essi non
potrebbero mai acquisire un moto circolare attorno al Sole in orbite concentriche solo per mezzo della
gravità.
E
benché tutta la materia fosse divisa all'inizio in diversi sistemi, ed ogni
sistema, per una Potenza divina, costituito
come il nostro, ancora dovrebbero i sistemi esterni discendere
verso il più centrale, così che questo sistema di cose non
possa sempre sussistere senza una Potenza Divina per
conservarlo, che è il secondo argomento, e alla vostra terza io
assento pienamente.
Come
per il Passaggio di Platone, non c'è posto comune dal quale
tutti i pianeti essendo lasciati cadere, e discendendo con gravità uniforme ed eguale (come Galileo suppone) dovrebbero,
al loro arrivo nelle loro diverse orbite, acquisire le loro
diverse velocità con le quali essi ora revolvono in esse. Se
supponiamo la gravità di tutti i pianeti verso il Sole essere
della quantità che realmente è, e che i moti dei pianeti siano
cambiati verso l'alto, ogni pianeta ascenderà a due volte la
sua altezza dal Sole. Saturno ascenderà finché sarà due volte
così alto dal Sole di quello che è al presente e non più
alto, Giove ascenderà di nuovo così alto come al presente, cioè,
un poco sopra l'orbe di Saturno, Mercurio ascenderà a due volte
la sua Altezza presente, cioè, fino all'orbe di Venere, e così
via del resto; e poi, cadendo giù di nuovo dai luoghi ai quali
erano ascesi, arriveranno di nuovo alle loro diverse orbite con
le stesse velocità che avevano in principio, e con le quali ora
revolvono.
Ma
se nello stesso momento nel quale i moti con i quali essi
revolvono sono cambiati verso l'alto, la Potenza gravitazionale
del Sole per la quale essi ascendono è perpetuamente ritardata,
essendo diminuita di una metà, essi ora ascenderanno
perpetuamente, e tutti loro, a tutte le eguali distanze dal
Sole, saranno egualmente veloci. Mercurio, quando arriva all'orbita di Venere, sarà veloce come Venere; e lui e Venere,
quando arrivano all'orbita della Terra, saranno veloci come la
Terra, e così via per il resto. Se essi cominciano ad ascendere
tutti in una volta, ed ascendere nella stessa linea, essi
diventeranno costantemente, nell'ascendere, sempre più vicini
tra loro, ed i loro moti s'approcceranno costantemente all'eguaglianza, e diventeranno alla lunga più lenti di ogni
assegnabile moto. Supponiamo perciò che essi ascesero finché
furono abbastanza contigui, ed i loro moti inconsiderabilmente
piccoli, e tutti i loro moti fossero allo stesso momento di tempo cambiati indietro di nuovo, o, il che diventa quasi la
stessa cosa, che essi fossero solo deprivati dei loro moti, e a
quel tempo lasciati cadere: essi dovettero tutto in uno arrivare
alle loro diverse orbite, ciascuno con la velocità che avevano
all'inizio; e se i loro moti fossero allora cambiati lateralmente, ed allo stesso
tempo la potenza di gravitare del
Sole raddoppiata, in modo da essere forte abbastanza a
trattenerli nelle loro orbite, essi dovrebbero revolvere in esse
prima della loro ascesa. Ma se la potenza di gravitare del Sole
non fosse raddoppiata, essi andrebbero via dalle loro orbite nei
Cieli più alti in linee paraboliche. Queste cose seguono dai
miei Principia math. Lib. I Prop. 33, 34, 36, 37.
Vi ringrazio molto calorosamente per il vostro
Regalo presente, e per il resto
Il vostro più umile servitore, per servirla
Is. Newton
Cambridge Feb. 25 1692-93.
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Lettera IV
A Mr. Bentley , al Palazzo a Worchester.
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Signore,
l'ipotesi di derivare la struttura del mondo
dalla materia uniformemente sparsa attraverso i cieli con principi meccanici, essendo inconsistente col mio
sistema, l'ho
considerato molto poco prima che la vostra lettera mi ci
mettesse sopra, e perciò vi tormento con una linea o due in più
attorno a ciò, se questo non viene troppo tardi per il vostro uso.
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Nella
mia precedente [lettera] ho rappresentato che le rotazioni
diurne dei pianeti potrebbero non essere derivate dalla gravità,
ma avere richiesto il Braccio divino ad imprimerle. E benché la
gravità potrebbe dare ai pianeti un movimento di discesa verso
il Sole, sia direttamente sia con qualche piccola obliquità,
ancora il moto trasverso attraverso il quale essi revolvono
nelle loro diverse orbite, richiede il Braccio divino ad
imprimerlo loro in
accordo alla tangente alle loro orbite. Io vorrei ora
aggiungere, che la ipotesi che la materia fosse all'inizio
uniformemente sparsa attraverso i cieli è, nella mia opinione,
inconsistente con la ipotesi della gravità innata, senza una
Potenza soprannaturale a riconciliarle, e perciò inferisce una
Divinità. Poiché, se ci fosse una gravità innata, sarebbe
impossibile ora per la materia della Terra e di tutti i pianeti
e le stelle volare via da essi, e [ri]diventare uniformemente
sparsa attraverso tutti i cieli senza una Potenza
soprannaturale; e certamente ciò che non è successo prima
senza una Potenza supernaturale non potrà mai avvenire in
futuro senza la stessa Potenza.
Voi
avete richiesto se la materia uniformemente sparsa attraverso
uno spazio finito, di qualche altra figura che quella sferica,
non dovrebbe, nel cadere verso un corpo centrale, fare in modo
che tale corpo centrale sia della stessa figura dell'intero spazio, e io ho risposto 'Sì'. Ma nella mia
risposta è da
supporre che la materia discenda direttamente in basso verso
tale corpo, e che tale corpo non abbia rotazione diurna.
Questo
Signore, è tutto quello che avevo da aggiungere alle mie lettere precedenti.
Il vostro più umile Servitore
Is. Newton
Cambridge Feb. 11 1693.
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