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Quando mai è “necessario” nazionalizzare?
“Privatizzare quando è
opportuno, nazionalizzare quando è necessario”. Questa è la frase da manuale
(anzi: da libretto rosso) pronunciata dal nostro ministro dell’economia Tremonti.
Le parole hanno un senso? Evidentemente no, per il nostro ministro.
Prima di tutto, non ha senso pronunciare una frase del genere in questo
contesto: Tremonti ha elaborato il suo motto in occasione dell’affaire FIAT. Che
succede alla FIAT? Se si guarda la cosa in modo realistico e disilluso, questi
sono i fatti: una società che non regge alla competizione internazionale sta
entrando in crisi, perché le auto che produce sono peggiori e più costose
rispetto a quelle tedesche, ceche, giapponesi e francesi. Per lo meno: anche se
fossero migliori, il pubblico non le preferisce alle concorrenti straniere. Il
risultato non cambia. E uno direbbe: l’impresa non vende, ha perdite e fallisce.
E’ un affare privato di chi ha deciso di aprirla e di chi ha deciso di lavorarci
dentro come dipendente. Non ci sono schiavi forzati a lavorare nella FIAT.
Nessuno è stato neppure costretto a fondarla e a dirigerla. Chi ha voluto
rischiare di giocarsi nel ruolo di manager o di azionista di maggioranza, sappia
che ha sbagliato qualche calcolo di troppo. Chi ha deciso di firmare un
contratto di dipendente, sappia che ha scelto l’azienda sbagliata in cui
lavorare. Si cerchino altre occupazioni, come tutti i comuni mortali che
falliscono nel realizzare un loro progetto.
Però siamo in Italia e certe cose non possono fallire. La famiglia
Agnelli, proprietaria secolare della FIAT, “minaccia” di licenziare migliaia di
dipendenti e operai, quasi come fossero schiavi presi in ostaggio e minacciati
di sterminio da un padrone cattivo e non lavoratori adulti consenzienti. E il
governo, per far sì che non ci sia un “disastro sociale”, corre ai ripari,
offrendo una pioggia di miliardi (presi con le tasse a tutti noi contribuenti)
agli imprenditori falliti. Risultato pratico: pochi grandi investitori e un
ristretto gruppo dirigenziale hanno guadagnato miliardi fino a pochi giorni fa e
ora, il loro fallimento, costa decine di miliardi a tutti i contribuenti. Un bel
modo di realizzare utili individuali rischiando perdite sociali! Un magnifico
esempio di come, in Italia, venga intesa la responsabilità personale.
In questo scenario di squallore, ecco la perla cinese di Tremonti: “privatizzare
quando è opportuno, nazionalizzare quando è necessario.” Quando si può definire
“opportuna” una privatizzazione? Privatizzare vuol dire trasformare aziende di
Stato in aziende private. Un’azienda di Stato è gestita da manager nominati da
politici, che rispondono a interessi elettorali, con soldi presi forzatamente
dai contribuenti (indipendentemente dalla loro consapevolezza o volontà di
partecipare all’impresa), in modo del tutto irresponsabile. Sì, irresponsabile:
perché anche se i prodotti dell’azienda statale non piacciono ai consumatori, i
consumatori li devono pagare lo stesso sotto forma di tasse. E più non li
comprano, più li devono pagare cari per tenere in piedi un carrozzone in
fallimento cronico. Del resto si può ben immaginare con quale zelo queste
aziende possano essere amministrate da manager che sanno di agire con soldi non
loro, che potranno spendere e sperperare a loro piacimento e che non potranno
fallire, perché tanto i soldi arriveranno sempre a getto continuo. In un’azienda
privata, almeno, un imprenditore è responsabile. Se i prodotti della sua azienda
non piacciono ai consumatori, l’imprenditore non può costringerli ad acquistare
da lui. Se l’azienda fallisce, paga l’imprenditore e chi ha scelto di lavorare
con lui. Nessun altro. Da qui la maggior volontà, da parte di tutti, di far
funzionare al meglio la “baracca”, di venire incontro, il più possibile, ai
gusti dei consumatori. Comunque vada, la libertà di scelta e la volontà di ogni
soggetto economico (imprenditore, dipendenti e consumatori) viene rispettata
dall’azienda privata. Quando, dunque, sarebbe opportuno privatizzare? Sempre. Il
governo che vende un’azienda a un privato vi ricava pure un utile. Più o meno
consistente, ma sempre un utile resta: soldi che entrano nelle casse di Stato.
Quando è necessario nazionalizzare? Mai. Perché strappare dalle braccia di
individui responsabili un’impresa, per affidarla a gente irresponsabile pagata
forzatamente da tutti i contribuenti? Chi ci guadagna? Noi contribuenti no. Noi
consumatori nemmeno. Noi giovani in cerca di lavoro abbiamo tutto da perdere.
Noi dipendenti non cambiamo la nostra condizione. Solo i manager di Stato ci
guadagnano e pure tanto: possono anche oziare, che tanto i soldi gli arrivano a
vagoni.
Questo è il significato letterale della perla di saggezza di Tremonti: “Noi
luminosi dirigenti statali non vogliamo cedere il tesoro che ci è stato lasciato
in eredità dai nostri predecessori, se non quando proprio ci conviene venderne
una piccola parte al miglior offerente; quando capita l’occasione, ci
accaparriamo anche altri beni altrui per ingrandire il nostro tesoro.”
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