Si provi a
immaginare un Bush perplesso di fronte a un cecchino che, continuando a sfuggire
alla polizia, continua a fare strage di innocenti, colpo dopo colpo, nello Stato
di Washington. “Caro Rumsfeld, l’area di Washington, in cui il cecchino sta
colpendo, è relativamente limitata. Può una bomba da 50 megatoni coprire tutta
la zona con la sua esplosione?”
“Sì signore, soprattutto considerando le radiazioni disperse nell’atmosfera e
nell’area circostante.”
“Quindi il cecchino, se è ancora nell’area, potrebbe rimanere in vita?”
“Ne dubito, signore.”
“Bene. Mi metta a disposizione uno di quegli ordigni. Tutto sommato noi dovremmo
perdere solo 10 milioni di civili, circa il 50% dei residenti. Una perdita
accettabile, considerando che il nemico perderebbe la vita, cioé il 100% delle
sue forze.”
Nemmeno nei film di fantapolitica di serie Z si concepiscono ragionamenti di
questo tipo. Eppure, un presidente in carne ed ossa, Putin, l’ha appena fatto. E
ha ottenuto risultati peggiori nel rapporto costi-benefici. Nel teatro
sequestrato dai terroristi ceceni e liberato dalle truppe speciali dell’FSB
(KGB), sono morti 90 civili ostaggi (più quelli che moriranno i prossimi giorni
per l’intossicazione subita) su 700 e 50 terroristi su 70. Un bel salasso di
vite umane, per non annientare neppure il nemico! Cosa minacciavano i
terroristi? Di decimare gli ostaggi? Bene, Putin ne ha uccisi di più: ha
dimostrato, in uno scatto di orgoglio, la superiorità del governo di Mosca nel
sapere uccidere la sua stessa gente. I Ceceni, in caso di incursione, volevano
far saltare un teatro intero. Putin ci ha tirato dentro le armi chimiche: ha
dimostrato, sempre in uno scatto di orgoglio, la potenza delle armi di
distruzione di massa sovietiche.
Ciò che è incredibile è la solidarietà popolare russa che circonda l’azione.
Pare che solo la vedova Sacharov, Bukovskij e pochi altri dissidenti storici
storcano il naso. “Ha fatto bene!” affermano con orgoglio i Russi (e quelli che,
in Occidente, la pensano come loro) sbattendo un pugno sul tavolo. “Eh sì, non
poteva fare altro” dicono, stringendosi nelle spalle, tutti coloro che si
mostrano più “critici”. Non poteva fare altro. Non poteva usare gas soporiferi,
usati in dosi giuste, per addormentare e non fare una strage. Non poteva far
ricoverare urgentemente i feriti in ospedali militari attrezzati per curare
ferite da intossicazione chimica. Non poteva fornire ai medici civili,
improvvisamente sovraccaricati di feriti, le istruzioni su come curare gli
intossicati da gas militari su cui deve rimanere il segreto. Tutte cose che sono
impossibili da fare. In Russia. Solo in Russia non si possono fare, come non si
poteva nemmeno recuperare un intero sommergibile, il Kursk, con un intero
equipaggio a bordo. Perché non si voleva far vedere a tecnici della NATO un
sommergibile classe Oscar da vicino, non perché vi fosse l’impossibilità tecnica
di farlo.
Tutto ciò non è grossolana imprudenza. Non è, come sostiene il giornalista Livio
Caputo, il risultato della decadenza delle forze armate russe. E’ la mancanza di
correlazione fra mezzi e fini che manca ai Russi. Una cultura che non crede in
una morale applicata agli individui, che non riconosce l’esistenza di diritti
individuali, che ragiona solo per collettivi simbolici (popolo, nazione, terra),
non ha nemmeno l’idea di quali mezzi impiegare per raggiungere i suoi fini. Per
i Russi, l’accettazione di perdite enormi, pur di raggiungere il loro scopo, è
una vera e propria tradizione grondante di sangue. Federico di Prussia, durante
la Guerra dei Sette Anni (1756-1763) era rimasto inorridito da quanto i Russi
mandassero al massacro, ondata dopo ondata, i propri uomini. Nella I Guerra
Mondiale si commentava che “i Russi usano i cadaveri della prima ondata come
ponte per la seconda.” Con il comunismo questa logica è diventata ufficiale,
accettata da tutti. La realizzazione dell’utopia è ostacolata da
controrivoluzionari? Si determina una quota della popolazione regionale da
sterminare: con il 15 o il 20% della popolazione nelle fosse comuni, sicuramente
ci saranno dei controrivoluzionari. E così sono nati gli stermini “per quota”,
pianificati come tutto il resto dell’economia sovietica. Una popolazione è
considerata contraria ai fini del regime? La si sposta in blocco o la si lascia
morire di fame. E così i Sovietici hanno combattuto le loro guerre, ragionando
per quote, per grandi numeri, per sé stessi e per i nemici. Nella II Guerra
Mondiale, Stalin ha accettato di perdere intere armate pur di salvare aree
ritenute importanti. Ha perso un gruppo di armate per tenere Kiev. Si sparava
addosso, anche con l’artiglieria, a chi cercava di arretrare. E coloro che sono
stati catturati dai Tedeschi, una volta tornati in patria sono stati ammazzati
tutti nei Gulag, per non far loro dire quello che avevano visto in terra nemica
e per dare l’esempio a chi si vuole arrendere. Il fine giustifica i mezzi. La
vittoria, la realizzazione dell’utopia, la gloria della patria, giustificano
qualsiasi perdita. L’importante è raggiungere lo scopo. E così i vertici
militari del Cremlino avevano pianificato, in caso di Terza Guerra Mondiale, il
lancio massiccio di testate nucleari sull’Europa e l’attraversamento delle zone
contaminate da parte delle divisioni corazzate. Avevano previsto di subire, per
la rappresaglia della NATO e per l’effetto stesso delle atomiche sovietiche, il
48% delle perdite: il 52% delle forze sovietiche sarebbe bastato a occupare
l’Europa occidentale. Per non parlare dei danni che si prevedeva di infliggere
al nemico (civili compresi): “E’ auspicabile considerare attacchi nucleari su
centri come Hannover, Brunswick, Kiel e Brema. La distruzione di queste città
può facilmente causare una completa disgregazione della vita politica e
dell’economia del nemico. Può causare certamente la diffusione del panico nelle
aree colpite dagli ordigni nucleari. Lo sfruttamento degli effetti di questo
primo colpo nucleare da parte della nostra propaganda, può contribuire a
seminare il panico fra gli eserciti e le popolazioni nemiche.” Così ragionavano
gli alti comandi del Patto di Varsavia vent’anni fa. E’ così anche adesso. La
Cecenia non vuole far parte della Russia? La si invade, bombardando a tappeto le
sue città. Colpendo indiscriminatamente russi e ceceni. L’importante è
riconquistare quella regione! Ci sono dei terroristi ceceni che mettono bombe
negli edifici civili russi e che creano scompiglio nei territori confinanti? Si
deporta l’intero popolo ceceno. Fra i 200.000 civili chiusi nei campi (di
concentramento) o sparsi nelle steppe, ci saranno sicuramente anche i
terroristi. L’importante è vincere! Altri terroristi ceceni occupano un teatro,
prendendo in ostaggio 700 civili? Ammazziamo tutti! L’importante è che non li
ammazzino loro e che non l’abbiano vinta.
Così hanno sempre ragionato e sempre ragionano i Russi. Sempre meglio degli
integralisti islamici, ai quali importa solo sacrificare sé stessi e portarsi
dietro più nemici possibili. “Perché la vittoria o la sconfitta dipendono dalla
volontà di Allah, ma il martirio dipende dalla volontà dell’uomo.” E così
predicando, gli Iraniani lanciavano orde di ragazzini invasati sui campi minati
per aprire la strada alla fanteria. Per poi perdere regolarmente. Al peggio non
c’è limite.
E da noi, nelle democrazie liberali, che cosa si fa? Noi siamo arrivati alla
dottrina della “perdita 0”. Nelle democrazie occidentali, non solo affrontiamo
la guerra con la convinzione che sia solo una tragica necessità, ma chiediamo (e
otteniamo) ai nostri governi di combattere un conflitto solo se i comandi
assicurano di subire perdite vicine allo 0. Se anche solo si perdono 19 soldati
nell’intera battaglia di Mogadiscio, la guerra è considerata troppo costosa
perché valga la pena di continuare a combatterla. Le recenti vittorie della NATO
e degli Stati Uniti in Kossovo e in Afghanistan sono state vittorie indolori: 0
perdite. Non solo: chiediamo ai nostri governi (e otteniamo sempre maggiormente)
che non si facciano vittime fra i civili del nemico. I 5000 morti fra i civili
irakeni, in una guerra di grandi dimensioni (dove sono morti più di 100.000
soldati), sono considerati un bagno di sangue; i circa 300 civili serbi morti
durante l’intervento nel Kossovo sono considerati troppi. Si è protestato a
lungo per quel treno colpito per errore mentre attraversava, in modo imprevisto,
un ponte strategico, a missile già lanciato. Da noi si guardano, si riguardano,
si discutono e dibattono i particolari, i filmati, le telecamere montate sui
missili, singola azione per singola azione. In Israele si sta attenti a colpire
solo le singole case dei terroristi, i singoli appartamenti dentro le case, le
singole stanze dentro gli appartamenti. Ogni morto civile, ogni passante
investito dalle schegge, viene fatto pesare da tutta l’opinione pubblica interna
e internazionale, causa il processo degli ufficiali responsabili e l’inchiesta
su quell’azione. La guerra fatta dalle democrazie occidentali si avvicina sempre
più a un’operazione di polizia. Continuando di questo passo, arriverà anche il
giorno in cui verranno arrestati e non più uccisi i leader nemici e i loro
stretti collaboratori, per essere portati di fronte a un processo regolare. E i
colpi di arma da fuoco saranno sparati solo previo avvertimento. Già ci siamo
quasi.
Solo la superiorità tecnologica occidentale permette di condurre guerre pulite?
No: è la convinzione diffusa in occidente che esistano guerre “pulite” che
permette di combatterle. La tecnologia si sviluppa di conseguenza. Da noi, il
liberalismo ha lasciato in eredità l’idea che è colpevole personalmente chi da
inizio a un’aggressione. Se un Paese ne invade o ne minaccia un altro, non è il
Paese che agisce, ma la persona in carne ed ossa che governa quel Paese. E’ lui
che deve essere eliminato. Lui e i suoi stretti collaboratori. Gli altri (il
“popolo”) non c’entrano, sono considerati come gente che passa di lì per caso, o
dei veri e propri ostaggi. Noi, nelle democrazie liberali, ragioniamo in questi
termini e stiamo facendo di tutto perché queste non siano solo parole. Perché
allora, per molta gente, il peggio sono gli Stati Uniti e l’Occidente? Perché il
medico pacifista Gino Strada invita gli Arabi a opporsi con le armi, con tutti i
mezzi, alla “brutale aggressione” degli Americani in una conferenza stampa
tenuta a Baghdad? Perché va di moda definire gli Stati Uniti come “l’impero più
pericoloso del mondo”?
Semplice: solo perché molti, troppi, nelle democrazie occidentali, ritengono che
il nostro sistema sia sbagliato e sia da condannare alla radice, non in base ai
fatti, ma in base ai loro pregiudizi ideologici. Non siamo peggiori degli altri:
abbiamo solo degli intellettuali che odiano il sistema stesso in cui vivono e
possono vivere. In realtà, a ben vedere in modo del tutto spassionato, non
pregiudiziale, la democrazia liberale, anche in guerra, dimostra di essere il
miglior sistema con cui l’uomo abbia finora convissuto.