LETTERATURA ITALIANA: IL SETTECENTO

 

Luigi De Bellis

 


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Il Settecento


Giuseppe Parini: Le odi - Il giorno
Le odi


Sono 19, scritte tra il 1757 ed il 1795. Trattano argomenti sociali e morali, ma principalmente tendono a realizzare nello stile il mito della bellezza classica: sono quindi una pregevole sintesi dell'interesse civile e dell'aspirazione estetica del Poeta.

Se infatti le odi degli ultimi anni furono componimenti d’occasione, dettati da circostanze esterne, in esse, almeno nelle più significative, il poeta seppe parlare di sé e dei suoi ideali con schiettezza e, a tratti, con viva commozione, come ancora non gli era avvenuto di fare. Così nella Caduta si legge la più icastica dichiarazione dell’ideale del "buon cittadino"; nelle tre odi galanti, e, più che nel Pericolo, nel Dono e nel Messaggio (che il Foscolo definì la "bellissima" fra tutte le liriche pariniane) si trova espresso quell’appassionato vagheggiamento della bellezza femminile che accompagnò tutta la vita del poeta; nell’ode Alla Musa si esprime il suo stesso credo di poeta. Meno convincenti, anche se non prive di alcuni tratti vigorosi, sono le altre: La tempesta, In morte del maestro Sacchini, La magistratura, La gratitudine, A Silvia. La dignità e la forza morale del Parini ebbero modo di manifestarsi anche nella condotta tenuta negli ultimi suoi anni.

Tra le più importanti ricordiamo "La vita rustica" (in cui il Parini esalta la "libertade agreste" e disprezza la ricchezza), "La salubrità dell'aria (in cui fa l'elogio dell'aria salubre che si respira in campagna contro quella già allora inquinata di Milano), "L'educazione" (in cui rivolge precetti morali al suo discepolo prediletto, il Conte Carlo Imbonati), "L'innesto del vaiuolo" (in cui esalta il progresso della scienza e biasima la diffidenza del volgo), "La caduta" (in cui inveisce contro un soccorritore che gli consiglia di vendere ai potenti la propria arte in cambio di un cocchio che possa preservarlo da ulteriori cadute), "Alla Musa" (in cui esprime il suo culto per la bellezza e per gli affetti più intimi, quali l'amicizia e l'amore coniugale).

Il giorno


Poema didascalico satirico in endecasillabi sciolti di Giuseppe Parini, diviso in quattro parti, il Mattino, il Mezzogiorno, il Vespro, la Notte, edite le prime due rispettivamente nel 1763 e 1765, rimaste incompiute le altre e pubblicate postume nel 1801. Il poeta, fingendosi "precettore d’amabil rito", descrive con tono di volta in volta ironico, malizioso, sarcastico, sdegnato le ore vacue di un giovin signore, cui la pratica mondana impone il culto di un cerimoniale artificioso e assurdo. Il suo risveglio è tardo, ignaro di fatiche plebee; scelta tra esotiche bevande la colazione, condita dalle ciarle maligne dei maestri alla moda (di canto, ballo, musica e francese); complessa infine e lenta la toeletta, cui segue, precipitosa e funesta al volgo, la corsa in carrozza per le vie della città. Al pranzo, in casa della dama di cui il giovane è galante cavaliere (antica, risibile usanza la fedeltà coniugale) a lui si uniscono altri campioni di nobile umanità, segnato alcuno, come il carnivoro e il vegetariano, da eccentriche manie; e nel fatuo tessuto dei discorsi alla moda anche la dama può inserire un bel tratto di sensibilità femminile col compianto della sua "vergine cuccia" colpita dal piede villano del servo, cui furon giusta condanna la disoccupazione e la miseria. Poi il pranzo volge alla fine; e mentre a coglierne gli ultimi effluvi una turba cenciosa e miseranda si affolla alle porte del palazzo, i convitati passano a godere l’aroma del caffè e il gioco malizioso del tric-trac. Al vespro lo scenario è più arioso e più mosso, più amabile e morbido il tono; la passeggiata al corso riporta, in gara d’eleganza, maldicenze, gelosie e ripicchi, il sapore di un mondo settecentesco frivolo e galante, ritratto con sottile e compiaciuta precisione. A notte infine c’è il ricevimento mondano, col suo concilio di figure irrigidite in caricature disumane (lo schioccatore di frusta, il suonatore di corno, il costruttore di cocchi, lo sfilacciatore di tappeti), finché si chiude, con il gioco e i rinfreschi, la disutile vicenda di una giornata patrizia sotto la cui estenuata eleganza si celano vuoto di pensiero e aridità di sentimento. Opera di stampo umanistico, tramata di richiami mitologici e di inserti preziosamente elaborati (le favole di Amore e Imene, del Piacere, del Canapè), essa registra, in un linguaggio denso e allusivo, le reazioni di una coscienza risentita di fronte alle storture della società; e dal confronto tra l’ozioso costume aristocratico e la dolente condizione del popolo trae le ragioni di una denuncia tanto più acuta e penetrante quanto più coperta e raffinata nelle forme; palesando al tempo stesso, nella attenta ricerca di perfezione stilistica, un ideale d’arte laborioso e severo, in cui è l’approdo estremo e più maturo del classicismo settecentesco.



2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it