LETTERATURA ITALIANA: LE ORIGINI

 

Luigi De Bellis

 


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Le origini della lingua italiana

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Origini: questioni della lingua


Questioni della lingua

Durante i secoli della dominazione romana il latino si era imposto sulle lingue indigene in Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Romania, mentre nella parte orientale dell'impero si era conservata la lingua greca. Quando l'impero crollò, le lingue occidentali parlate prima d'essere influenzate dall'egemonia latina, presero il sopravvento e mescolandosi col latino parlato (assai diverso da quello scritto di Virgilio, Orazio o Cicerone) determinarono le nuove lingue romanze o neolatine. Le invasioni germaniche dispersero la debole influenza romana nell'Europa centrale, settentrionale e orientale.

E così si formarono: in Francia, a nord, il gallo-romanzo, antenato del francese, a sud il provenzale; in Spagna, al centro, lo spagnolo o castigliano, sulle coste atlantiche il gallego, antenato del portoghese, a est il catalano (simile al provenzale); in Romania i contadini conservano la loro lingua di origine latina, che diventa ufficiale nel XVI sec..

In Italia riemergono i vari substrati pre-latini, che però restano per molto tempo senza scrittura, in quanto alle necessità dello scrivere - testi scientifici, filosofici, teologici, giuridici- continuano a provvedere col latino gli ecclesiastici. Tali substrati si mescolano con popolazioni straniere che, stanziatesi in territori diversi della penisola, parlano linguaggi completamente diversi: Longobardi, Greco-Bizantini, Franchi, Arabi, per citare solo i più importanti.

In una situazione del genere, il latino parlato evolve inevitabilmente per suo conto, mentre per la conservazione di quello scritto si preoccupa la chiesa. E così il bilinguismo tra parlato e scritto riproduce, in un certo senso, il distacco fra le élites dotte e le masse degli analfabeti: non a caso nella funzione della messa l'aspetto liturgico vero e proprio viene recitato in latino, mentre l'omelia è sempre pronunciata in volgare (o comunque esiste l'obbligo, a partire dagli inizi del IX sec., di tradurla in volgare).

Ciò significa che è impossibile ricostruire la nascita dei vari dialetti italiani. Delle trasformazioni del latino parlato si hanno pochissimi documenti ed essi non riproducono la lingua parlata del popolo nella sua genuina spontaneità, ma una lingua che il popolo potesse capire, elaborata quindi da intellettuali.

A tutt'oggi, le lingue diverse dall'italiano (parlate alloglotte di circa 600.000 persone) presenti nella nostra penisola sono le seguenti: franco-provenzale nelle Alpi piemontesi, in Val d'Aosta e in due Comuni della Puglia; provenzale nelle Alpi piemontesi e in un Comune della Calabria; tedesco nell'Alto Adige e in altre zone alpine e prealpine; sloveno in alcune zone del Friuli e nelle Alpi Giulie; serbo-croato in alcuni Comuni del Molise; greco in alcune zone del Salento e della Calabria; albanese in alcuni Comuni del Molise, della Campania, del Gargano, della Lucania, della Calabria e della Sicilia; catalano nel Comune di Alghero e in Saredegna. Quelle riconosciute come lingue ufficiali sono il francese in Val d'Aosta, il tedesco in Alto Adige e lo sloveno in alcune zone del Friuli.

Se poi prendiamo la situazione dei dialetti italiani la situazione si complica incredibilmente. Infatti all'interno di tre grandi gruppi di dialetti: settentrionali, toscani e centro-meridionali (cui bisogna aggiungere i dialetti sardi e ladini), vi sono un'infinità di sottogruppi. Per quanto oggi relegati a un uso quasi esclusivamente locale e familiare, continuano a sussistere, costituendo un bacino di risorse espressive per la stessa lingua italiana. Non a caso è notevolmente aumentato il loro studio da parte degli specialisti.

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In Italia le prime parole in volgare si trovano in una serie di iscrizioni latine (392, 404…). Di regola i documenti che ci sono pervenuti sono stati compilati da persone che conoscevano perfettamente il latino e si sforzavano di comunicare in volgare, per fissare regole comuni, rapporti giuridici, contratti ecc.

Il famoso indovinello veronese, vergato da un amanuense che descrive con ironia la propria arte, risalente all'inizio del IX sec.: Se pareba boves…, manifesta una lingua certamente non più latina. Il Glossario di Monza del X sec. ha 63 parole dell'Italia padana tradotte in greco. Con la Carta capuana del 960 siamo addirittura in presenza, per la prima volta, di una frase in volgare indicante un giuramento formulato da un giudice ai testimoni. Nel 1084 vengono trovate nella basilica di S. Clemente di Roma delle frasi ingiuriose in un affresco di pittore ignoto.

Il modello umbro, già presente nell'XI sec., raggiunge le sue più alte espressioni nelle Laude di Jacopone da Todi e nella poesia religiosa.

Particolare importanza hanno taluni documenti scritti in dialetto piemontese, come i 22 Sermoni subalpini del sec. XII, che presentano caratteristiche tipiche di tutta la famiglia dei dialetti settentrionali.

Il primo tentativo sistematico di elaborare una vera e propria lingua letteraria volgare, nella quale possano essere espressi contenuti di carattere profano e amoroso, è rappresentato dal cosiddetto linguaggio franco-veneto, che si afferma nella Padania, regione aperta agli influssi francesi e provenzali. Esempi tipici di questa lingua sono le opere di Bonvesin da La Riva (1240-1313) e di Giacomino da Verona (seconda metà del XIII sec.).

C'è poi il modello bolognese, di cui sono esempi le glosse di Irnerio (1055-1125) al Corpus Juris Civilis di Giustiniano; la cosiddetta "Glossa ordinaria" di Francesco d'Accursio (1182-1258); le opere del maestro di retorica Guido Fava (c.1190-c.1243).

E così fino a quando la prevalenza del volgare assumerà un suo punto di forza nel toscano e, particolarmente, nel fiorentino che, per la sua omogeneità espressiva e affinità strutturale è il volgare più vicino al latino: cosa resa possibile dal fatto che la Toscana fu relativamente la regione meno influenzata dalle invasioni barbariche.

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La letteratura italiana nasce e si sviluppa nel corso del XIII sec. Essa nasce dotta e in un periodo in cui nuovi strati di intellettuali emergono dalla rivoluzione socioeconomica legata all'affermarsi dei Comuni (specie nell'Italia centrosettentrionale), che si verifica nel corso dell'XI sec. e soprattutto del XII sec. I Comuni cioè tendono a trasformarsi in città-stato, in grado d'imporsi ai feudatari della campagna circostante e capaci di difendere la loro autonomia dalle interferenze dell'imperatore (il quale infatti con la pace di Costanza del 1183 sarà costretto a riconoscerla). I Comuni possono eleggere i propri dirigenti politici, amministrare la giustizia, battere la moneta, armarsi. Gli strati sociali più importanti sono quelli mercantili (commercianti, artigiani...), oltre a quelli professionali (giuristi, medici, maestri...), tutti legati a Corporazioni o Arti per tutelare i loro interessi.

Questi nuovi strati cittadini ebbero subito bisogno di intellettuali non più collegati alla Chiesa né di provenienza nobiliare. Gli intellettuali però si muovono ancora in un clima culturale dominato dalla teologia medievale, anche se alcune correnti teologiche si vanno progressivamente laicizzando (ad es. lo Stato non è più visto come "braccio secolare" della Chiesa ma come una naturale forma associativa degli uomini). Ciò significa che i primi intellettuali dei ceti mercantili e borghesi non potevano essere originali sul piano dei contenuti, però lo erano sicuramente sul piano della forma espressiva. Infatti, la più importante caratteristica del nuovo ceto intellettuale è l'uso del volgare (cioè della lingua del popolo, in contrapposizione alla lingua dei dotti, della cultura: il latino).

Naturalmente l'affermazione iniziale del volgare avviene con molte difficoltà. I problemi maggiori però non erano tanto quelli posti dai cultori laici ed ecclesiastici del latino, quanto quelli posti dall'esigenza di farsi capire sia dalle persone colte che dal popolo. Da un lato infatti s'imponeva l'uso della lingua di tutti i giorni, dall'altro - essendo questa lingua divisa in tanti dialetti e scarsamente definita - c'era il rischio di creare una letteratura sempre subalterna al latino, il quale, nonostante non fosse più parlato dalle masse, restava la lingua scritta universale. Di qui l'esigenza di trovare un compromesso. E fu così che nacque una sorta di volgare "nobilitato" e illustre, adatto sia ai colti che al popolo, un volgare elevato alla dignità espressiva del latino.



2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it