LETTERATURA ITALIANA: DANTE ALIGHIERI

 

Luigi De Bellis

 


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Dante: la Divina Commedia in prosa

Paradiso: canto XIII

Il lettore che desidera capire bene quello che a questo punto vidi, immagini (e, mentre io parlo, conservi l’immagine salda come una roccia)

le quindici stelle che nelle diverse regioni del cielo lo illuminano di tanto splendore, da vincere ogni nebulosità dell’atmosfera;

Secondo il sistema astronomico tolemaico quindici sono le stelle di prima grandezza, appartenenti alle diverse costellazioni e perciò sparse in diverse plage del cielo.

immagini quel carro ( l’Orsa Maggiore) al quale è sufficiente lo spazio del nostro emisfero celeste per il suo moto diurno e notturno, cosicché nella sua rotazione non scompare mai (alla nostra vista);

Le sette stelle del carro di Boote o Orsa Maggiore, muovendosi molto vicine al polo celeste, non scompaiono mai, né di giorno né di notte, dal cielo dell'emisfero settentrionale.

immagini le due stelle poste alla estremità di quel corno (l’Orsa Minore) che comincia nel punto più alto dell’asse celeste, intorno al quale gira ( va dintorno ) il primo cielo mobile,

La costellazione dell'Orsa Minore viene paragonata a un corno: l'estremità più larga è costituita dalle due stelle più luminose e l'estremità più stretta coincide con la stella polare. Questa occupa la sommità dell'asse celeste intorno al quale compie il suo giro il Primo Mobile.

(immagini dunque) che queste ventiquattro stelle abbiano formato in cielo due costellazioni, simili a quella in cui fu mutata la figlia di Minosse, quando mori;

Il Poeta invita il lettore ad immaginare che le ventiquattro stelle che ha appena enumerato formino due grandiose costellazioni, di dodici stelle ciascuna, concentriche e ruotanti in senso opposto, che assomigliano, per la loro forma, alla costellazione circolare della Corona. Quest'ultima, secondo il racconto 176-182), ebbe un'origine del tutto particolare: allorché la figlia di Minosse, Arianna (che aveva aiutato Teseo nell'uccisione del Minotauro ) fu abbandonata dall'eroe ateniese, il dio Bacco trasforma in costellazione la ghirlanda di fiori che la fanciulla portava in capo. Tuttavia qui Dante sembra alludere alla metamorfosi della stessa Arianna, la quale sarebbe stata mutata in costellazione al momento della morte.

e (immagini) che le due costellazioni siano concentriche, e che entrambe ruotino in modo che l’una si muova in un senso e l’altra nel senso opposto;

e (il lettore) avrà un’immagine imperfetta della costellazione (di spiriti) che io vidi veramente e della doppia danza che girava intorno al punto in cui mi trovavo, poiché ( lo spettacolo )

era tanto al di sopra della nostra comune esperienza, di quanto il Primo Mobile, che è il cielo più veloce di tutti gli altri, supera in velocità il lento corso del nume Chiana.

Il fiume Chiana attraversava il territorio di Arezzo con un corso lentisssimo, creando una zona paludosa oggi bonificata.

Li non si celebrarono le lodi di Bacco, né di Apollo, ma si cantarono le lodi delle tre persone in una sola natura divina, e di questa e di quella umana nell’unica persona di Cristo.

Peana era uno degli appellativi del dio Apollo e serviva anche per indicare un inno cantato in onore del dio. Il proemio del canto è concepito come una variazione sinfonica sul tema della visione dei beati. Può essere definito, per meglio cogliere quel che c'è di voluto nella nuova cosmografia chiamata a ripetere la danza dei ventiquattro sapienti, come una " regia stellare ", la quale, per indicare la doppia danza, non esita a ricorrere ad una diversa disposizione degli astri nel cielo. La variazione ha necessità di un punto di riferimento, e a questo allude l'accenno alla memoria, tenace come ferma rupe, che adunerà l'immagine. E un residuo della figura del carro, comparsa nel canto di San Domenico, si aggiunge al moto dell'Orsa Maggiore nel seno... del nostro cielo, a misurarne la profondità inesausta nel viaggio notturno e diurno. Sempre più misterioso ed assorto procede il discorso poetico dall'Orsa Maggiore alla Minore, perché di questa si avverte la figura, indicata come un corno, ma si suggerisce il moto di tutto il Primo Mobile che ruota intorno allo stelo che al suo vertice porta la stella polare. La Corona d'Arianna non entra nel novero delle stelle, ma suggerisce il ritmo della danza, mentre le ventiquattro stelle formano in cielo due nuove costellazioni che ruotano in senso inverso, con moto concentrico al punto in cui si trova il Poeta. La triplice raccomandazione, immagini, è introdotta per meglio inverare lo straordinario spettacolo celeste che la filosofia adorna con le sue figure: uno spettacolo tanto lontano dalle esperienze terrene quanto è lento il corso della Chiana, tra il Tevere e l'Arno, a paragone del cielo più veloce. Anche questo fulmineo trascorrere da un paesaggio toscano al Primo Mobile denota la forza di un intervento fantastico nelle cose della natura e dichiara l'ardire di un pensiero che procede oltre i termini della ricognizione sensibile.

Il canto e la danza giunsero simultaneamente al loro termine;

e quei santi spiriti volsero a noi la loro attenzione, rallegrandosi nel passare da una cura (la danza e il canto) ad un’altra (il chiarimento del dubbio di Dante).

Ruppe poi il silenzio tra i beati concordi (nel loro canto e nella loro danza) quella luce (San Tommaso) che mi aveva narrata la vita mirabile del poverello di Dio (San Francerco), e disse:

“ Poiché il tuo primo dubbio è stato discusso, e poiché il seme (di verità che ne è scaturito) è già stato riposto (nella tua mente), lo spirito di carità mi invita a sciogliere l’altro dubbio.

Tu credi che nel petto di Adamo, dal quale fu tratta la costola per formare il bel volto di Eva, il cui peccato di gola (nel provare il frutto proibito) fu causa di tanto male a tutto il mondo, e che nel petto di Cristo, il quale, trafitto dalla lancia, - offrì (a Dio) soddisfazione e per i peccati futuri e per quelli passati, tanto che sulla bilancia della giustizia divina esso vince (con i suoi meriti ) il peso di ogni colpa, sia stata infusa dall’onnipotenza divina che aveva creato l’uno e l’altro, tutta quanta la sapienza che è lecito alla natura umana possedere;

e perciò ti meravigli riguardo a quello che ti ho detto più sopra, quando affermai che l’anima beata di Salomone racchiusa nella quinta luce ( della prima corona) non ebbe chi l’uguagliasse (in sapienza).

Il canto trinitario e il moto concentrico e inverso delle due ruote si arresta e nel silenzio e nella quiete i santi lumi esprimono sfavillando l'allegrezza del trascorrere da un tema all'altro. Poi, passando dall'inno corale all'omelia e al discorso individuale, San Tommaso d'Aquino dispone il tema del secondo dubbio di Dante, sul primato sapienziale di Salomone. L'esordio del discorso è parafrastico e grande è nel Poeta la compiacenza di introdurre, attraverso le parole del teologo, un tratto del pensiero scolastico in stretto rapporto con un'elaborata immagine poetica. Adamo sapiente è parafrasato come il petto da cui si trasse la costola che plasmò Eva e la bella guancia di Eva e il palato che gustò il frutto proibito. C'è un'allegrezza intellettualmente raffinata in questo alludere, un'allegrezza tanto più certa quanto più è sicura la proposizione fondamentale già debitamente enunciata (fu Salomone più sapiente di Adamo e di Cristo? ) . La menzione di Eva, con un tratto che si ripete lungo tante vicende delle arti figurative rinascimentali, e più nella terzina empirea che la definisce tanto bella ai piedi di Maria (canto XXXII, verso 5 ), indugia in una variazione preziosa, ma il petto di Cristo, forato dalla lancia, riporta dal rinascimento delle arti alle confraternite della penitenza, e dalla teologia delle realtà terrene a quella della redenzione.

Ora rifletti bene a quello che ti rispondo, e vedrai che la tua convinzione (riguardo alla sapienza di Adamo e di Cristo) e la mia affermazione coincidono nella verità come il centro è nel mezzo del cerchio.

Le creature incorruttibili e quelle corruttibili non sono che una luce riflessa di quell’idea (il Verbo) che Dio, nostro re, genera con un atto d’amore:

perché la viva luce del Verbo che emana da Dio in modo tale, che non si separa né da Lui né dallo Spirito Santo, per sua bontà dirige e concentra i suoi raggi, come riflettendosi in tanti specchi, nelle nove essenze dei cori angelici, pur conservando in eterno la sua unità.

Dai nove cori angelici questa luce scende giù di cielo in cielo fino agli elementi del mondo terrestre, e si attenua a tal punto, che non produce più che creature contingenti e corruttibili;

e per queste realtà contingenti intendo le cose generate, che i cieli producono con il loro moto sia per mezzo di semi sia senza di essi.

I cori angelici comunicano ai cieli la luce divina, la quale in tale modo può raggiungere, nel mondo sublunare, la pura materia, la materia, cioè, passibile di ricevere la " forma". Qui giunta, però, tale luce ha perso molta della sua forza penetrativa, per cui è in grado di produrre, sempre attraverso la azione dei cieli (versi 65-66), solo elementi di poco valore ( contingenze: le cose che possono esistere o anche non esistere) e soggetti a corruzione: gli organismi vegetali e animali ( generati con seme ) e i minerali ( generati sanza seme ) .

La materia di queste creature inferiori e i cieli che la plasmano con i loro influssi non sono sempre nel medesimo rapporto;

e perciò questa materia poi resta più o meno illuminata dalla luce dell’idea divina.

Non sta d'un modo: infatti può variare la disposizione in cui si trova la materia rispetto all'azione dei cieli e può cambiare l'influsso dei cieli sulla terra con il variare delle loro posizioni e delle loro congiunzioni.

Perciò avviene che due alberi della medesima specie producano frutti migliori o peggiori e che gli uomini (pur appartenendo alla stessa specie) nascano con indoli e attitudini differenti

Se la materia ( nel momento in cui subisce l’azione dei cieli) fosse nelle condizioni migliori per essere plasmata e se il cielo si trovasse al massimo della sua potenza formatrice, la luce dell’impronta divina apparirebbe (nelle creature) in tutto il SUO splendore;

ma la natura ( cioè la causa seconda, che genera gli esseri inferiori) presenta sempre questa luce in modo imperfetto, perché essa opera come l’artista, che conosce la sua arte ma è incapace di realizzare perfettamente ciò che ha in mente.

Dopo il peccato originale la natura, come spiega il Montanari, "è inferma, poiché, pur essendo ancora perfetta in se, non ha più la puntuale sicurezza d'azione che era connessa con l'integrità di Adamo, e che andò perduta con l'integrità di questo. Le varie parti della natura sono rimaste perfette, ma il loro combinarsi è sfasato: soggetto ad imperfezioni ed errori".

Tuttavia se lo Spirito Santo dispone e imprime (sulla creatura) la luce del Verbo che procede dal Padre, allora in questa creatura si ottiene tutta la perfezione possibile.

Solo le creature che non sono generate dalle cause seconde, cioè dai cieli, sono perfette ed eterne, perché è la divina Trinità che opera direttamente la loro creazione: così avvenne per Adamo e per Cristo (versi 82-84)..

Così la terra (allorché Dio se ne servi per formare il corpo di Adamo) fu un tempo resa degna di accogliere tutta la perfezione possibile in un essere animato;

così (per opera dello Spirito Santo) fu generato Cristo nel grembo della Vergine: perciò io approvo la tua opinione, che la natura umana non fu né sarà mai cosi perfetta come fu in quelle due persone ( Adamo e Cristo ) .

La lezione entra nel vivo delle argomentazioni e il suo scopo non sarà già di aprire un ulteriore divario tra la credenza di Dante e la sentenza di San Tommaso, bensì di conciliarle attraverso la convergenza di una realtà molteplice nell'unità di Dio, come centro in tondo. Subito s'innalza, in un lento moto a spirale, una delle terzine più belle della poesia dottrinale di Dante: contemplativa nel primo moto che abbraccia le cose periture del mondo e le forme immortali, ma drammatica nel segreto della genitura divina. Nella cantica della luce, l'accento cade sullo splendore: la realtà è luce dell'idea. Nella cantica dell'amore, la creazioni ne è atto d'amore: l'amore è l'espressione della luce. La luce è intrinseca alla vita divina del Padre, del Figlio e dell'Amore che compie il "ternario " che solo amore e luce ha per confine, come dirà un altro verso mirabile (canto XXVIII, verso 54). In queste terzine Dante riassume in una evidenza perfettamente armoniosa e commossa le più alte proposizioni della teologia sul mistero della creazione. La cosmografia della vita registra la discesa d'atto in atto della luce divina ed alla gerarchia delle nove sussistenze, dei nove cori angelici, risponde il brulicare delle brevi contingenze delle creature animali e vegetali e dei corpi inorganici. Al tema della luce il Poeta fa ancora ricorso allorché si tratta di spiegare la maggiore o minore rispondenza fra la materia terrestre e l'influsso celeste: e questo tema risale al punto dove volentieri convergono le sue meditazioni, filosofiche, la dottrina dell'arte: la natura opera come opera l'artista che ha cognizione tecnica della sua creazione febbrile, ma ha la mano tremante ( un altro paragrafo, questo, del nesso stabilito fra natura ed arte, e tante volte ribattuto). La conclusione del capitolo dottrinale riaccosta il discorso alle due operazioni divine da cui aveva preso inizio la meditazione: la perfetta creazione e la perfetta redenzione, con le quali la natura umana ha attinto - nelle due creature primogenite, Adamo e Cristo - la sua perfezione.

Ora se io non aggiungessi altro, tu mi faresti subito questa domanda: “Dunque, come mai costui (Salomone) non ebbe chi l’uguagliò (in sapienza) ?’’

Ma affinché appaia chiaro ciò che ancora non lo è, pensa quale era la condizione di Salomone, e quale motivo lo spinse a domandare ( la sapienza ), quando gli fu detto (da Dio) “Chiedi ( ciò che vuoi ) “.

Poco dopo che Salomone era succeduto al padre David sul trono di Gerusalemme, Dio gli apparve in sogno e gli domandò che cosa desiderasse ricevere da Lui. Salomone chiese il dono della sapienza per poter discernere rettamente il bene dal male e governare secondo giustizia il proprio popolo ( I Re III, 5,12).

Non ho parlato in modo cosi oscuro, che tu non possa capire che egli fu il re che chiese (a Dio) la saggezza per poter essere un sovrano capace di adempiere il suo ufficio, non per sapere quante sono le intelligenze motrici dei cieli, o per conoscere se una premessa necessaria e una contingente portano ad una conclusione necessaria;

né per sapere se è possibile (est) ammettere che esista (nell’universo) un moto primo dal quale dipendono tutti gli altri, o per conoscere se in un semicerchio si possa iscrivere un triangolo che non sia rettangolo.

Perciò, se esamini quello che ho detto prima (cfr. canto X, verso 114) e ciò che ho aggiunto ora, ( puoi capire che) quella sapienza che non ebbe uguali, alla quale intendevo alludere, è la sapienza che si addice a un re: e se mediti con mente non offuscata da preconcetti sul valore della parola “sorse”, vedrai che essa si riferiva solo ai re, che sono molti, pur essendo rari quelli che sanno ben esercitare il loro ufficio.

Dante opera in queste terzine una distinzione fra la sapienza propria del re, che deve governare il suo popolo secondo giustizia, e il sapere teologico, logico, metafisico, geometrico: Salomone chiese a Dio la saggezza politica e, in questo campo, non sorse il secondo che lo potesse uguagliare. Il Poeta, proponendo nei versi 97,102 una serie di problemi intorno ai quali la mente umana si è affaticata inutilmente, sembra voler rilevare polemicamente l'inutilità di quel sapere scientifico che si volge a questioni oziose o assurde. Cosi non è possibile conoscere il numero degli angeli, perché essi sono 'innumerabili' (Convivio II, IV, 15): così in un sillogismo, secondo le regole della logica di Aristotile, la conseguenza deve essere implicita nella premessa e il necessario non può essere nel contingente; inoltre non esiste nel, l'universo un moto primo, non determinato da alcun motore, perché " tutto il cielo in tutte le sue parti, nei suoi moti e nei suoi motori, è regolato da un unico moto quello del Primo Mobile, e da un unico motore, che è Dio'' (Monarchia 1, IX, 2 ); infine, secondo la geometria di Euclide ogni triangolo iscritto in un semicerchio deve avere un angolo retto.

Interpreta le mie parole con questa distinzione (fra uomini e re: Salomone fu il più sapiente come re non come uomo);

e così esse potranno accordarsi con quello che tu credi intorno alla sapienza di Adamo e di Cristo.

E questo (il dubbio che è sorto in te per aver tratto frettolose conclusioni dalle mie parole) ti insegni a procedere sempre con i piedi di piombo, per andare cauto e lento come uomo affaticato e nel negare ciò che non puoi distinguere chiaramente:

perché bene in basso nella scala della stoltezza è colui che afferma e nega senza fare le necessarie distinzioni sia nel caso che si debba dire di si sia nel caso che si debba dire di no, poiché accade che spesso un giudizio affrettato inclini all’errore, e che poi l’attaccamento (alla nostra opinione) non lasci più libero l’intelletto (di ricredersi).

Colui che cerca nel mare della verità e non conosce l’arte di farlo, si allontana dalla riva più che inutilmente, perché non ritorna nella condizione in cui era partito ( cioè: era partito in uno stato di ignoranza, ritorna carico di errori, perché crede cose false).

E offrono al mondo chiara testimanianza di questo fatto Parmenide, Melisso, e Bryson e molti altri, i quali procedevano nella loro ricerca senza rendersi conto delle conseguenze:

Parmenide e Melisso furono due filosofi greci del V secolo a. C., appartenenti alla scuola eleatica, i quali furono accusati da Aristotile nel primo libro della Metafisica di mancare di metodo nelle loro ricerche ( cfr. anche Monarchia III. IV, 4, dove Dante ri porta questo severo giudizio). Greco fu anche Bryson, il quale, con il suo maestro Euclide, si interessò soprattutto di problemi geometrici.

così fecero Sabellio e Ario e tutti quegli eretici che falsano il significato delle Scritture come colpi di spada sfigurano un bel volto.

Molti interpreti offrono un'altra spiegazione a proposito dei versi 128-129 "come spade che restituiscono deformati i volti che vi si rispecchiano". Sabellio, un eretico africano del III secolo, negò il dogma della Trinità. Ario, vissuto ad Alessandria nel IV secolo, rifiutò la divinità di Cristo e fondò la setta eretica che da lui prese il nome di Arianesimo.

Gli uomini non si mostrino, inoltre troppo sicuri nel dare giudizi. come colui che calcola il valore della messe quando è ancora sul campo, prima che sia giunta a maturazione:

perché io ho visto durante tutto l’inverno il pruno apparire secco e spinoso, e poi (in primavera) l’ho visto far sbocciare la rosa sulla sua cima;

e vidi già una nave percorrere sicura e veloce il mare per tutto il viaggio che doveva compiere, e naufragare infine proprio all’ingresso del porto.

Prendendo spunto dall'errore di coloro che supponevano Salomone dannato a causa dei suoi peccati (cfr. canto X, versi 110-111), alla fine del canto si leva, appassionata e concisa, un'esortazione agli uomini: nessuno pretenda di giudicare intorno alla salvezza e alla dannazione degli altri, perché la sorte eterna di ciascuno è decisa solo dentro al consiglio divino. Il tono dell'ultima parte della lezione è anch'esso pratico: esortazione alla virtù della discrezione, che si traduce sul piano teorico in capacità di distinzione, e sul piano attivo in prudenza (per farti mover tento com'uom lasso). E poiché c'è bisogno di un certo sollievo, e il maestro accorto sa anche fare sorridere, il discorso assume toni più distesi con l'immagine della scala che misura i gradi di stoltezza e con quella di chi pesca per lo vero e non ha l'arte della ricerca. A mo' di consolazione, rifletta pure il discepolo ai tanti illustri rappresentanti della storia della filosofia, che pure errarono, e ai tanti eretici della storia della Chiesa. Si accende infine la libertà della poesia intorno all'immagine della rosa, del pruno e dell'eterno rinascere della natura. Accanto ad esse ecco la mimica dell'esperto che trae il pronostico del raccolto quando il frumento è in erba e la ciarla proterva di monna Berta e ser Martino, che pretendono di anticipare il giudizio di Dio, mentre la nave corre ardita al suo destino.

Non credano donna Berta e ser Martino (due nomi usati genericamente), per il fatto di vedere uno rubare, un altro fare elemosine, di poterli considerare come già giudicati da Dio, perché quello può riscattarsi dal peccato, e l’altro può perdersi ”.

 



2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it