CRITICA LETTERARIA: PETRARCA

 

Luigi De Bellis

 
 
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La poesia di Laura
di F. DE SANCTIS



Il De Sanctis coglie i momenti essenziali della presenza di Laura nel Canzoniere, riconoscendo nelle rime «in vita» la proiezione nella figura della donna dell'intimo dissidio entro il poeta stesso fra ragione e senso, spirito e carne; nelle rime «in morte» Laura appare invece sciolta dalla contraddizione, quasi più vera e reale. È questa l'unica vicenda che il De Sanctis riconosce nel Canzoniere. che gli appare, in conformità con la sua visione di un Petrarca piuttosto artista che poeta, sostanzialmente privo di storia interna.

Questo sentimento delle belle forme, della bella donna e della bella natura, puro di ogni turbamento, è la musa del Petrarca. Diresti Laura un modello, del quale il pittore sia innamorato, non come uomo ma come pittore, intento meno a possederlo che a rappresentarlo. E Laura è poco più che un modello: una bella forma serena, posta lì per esser contemplata e dipinta; creatura pittorica, non interamente poetica: non è la tale donna nel tale e tale stato dell'animo, ma è la Donna, non velo o simbolo di qualcos'altro, ma la Donna come bella. Non ci è ancora l'individuo: ci è il genere. In quella quietudine dell'aspetto, in quella serenità della forma ci è l'ideale femminile ancora divino, sopra le passioni, fuori degli avvenimenti, non tòcco da miseria terrena, che il poeta crederebbe profanare calandolo in terra e facendolo creatura umana. La chiama una «dea»; ed è una dea, non è ancor donna. Sta ancora sul piedistallo di statua; non è scesa in mezzo agli uomini, non si è umanata. Coloro i quali vogliono leggere nell'anima di questo essere muto e senza espansione, e cercarvi il suo segreto, fanno il contrario di quello che volle il poeta: cercano la donna dov'egli vedeva la dea. Certo, a' nostri occhi Laura dee parere una forma monotona e anche talora insipida; ma chi si mette in quei tempi mitici e allegorici, troverà in Laura la creatura più reale che il medio evo poteva produrre.

La vita di Laura diviene umana appunto allora che è morta ed è fatta creatura celeste. Qui l'amore non può aver niente più di sensuale: è l'amore di una morta, viva in cielo, e può libera mente spandersi. Non vedi più i «capei d'oro» e le «rosee dita» è il «bel piede» , dal quale «l'erbetta verde» e «i fiori di color mille» desiderano d'esser tòcchi. Pure questa Laura non dipinta è. più bella, e soprattutto più viva, perché «meno altera», meno dea e più donna, quando apparisce all'amante, e siede sulla sponda del suo letto, e gli asciuga gli occhi con quella mano tanto desíata, e salendo al cielo fra gli angioli, si volge indietro come aspetti qualcuno; e nella suprema beatitudine desidera il bel corpo e l'amante, ed entra con lui in dolci colloqui. Cosí il mistero di Laura si scioglie nell'altro mondo, com'è nella Commedia: tutte le contraddizioni finiscono. Sciolta dalle condizioni del reale, tolta di mezzo la carne, divenuta creatura libera dell'immaginazione, Laura par fuori con chiarezza, acquista un carattere, dove ci è la santa e ci è soprattutto la donna. Esseri taciturni e indefiniti mentre vivono, Beatrice e Laura cominciano a vivere appunto quando muoiono.

E il mistero si scioglie anche nel Petrarca. In vita di Laura, sorge l'opposizione tra il senso e la ragione, tra la carne e lo spirito. Questo concetto fondamentale del medio evo, se nel Petrarca è purificato della sua forma simbolica e scolastica, rimane pur sempre il suo « credo » cristiano e filosofico. L'opposizione era sciolta teoricamente con l'amicizia platonica o spirituale, legame d'anime puro di ogni concupiscenza; dalla quale astrazione non potea uscire che una lirica dottrinale e sbiadita, senza sangue, dove non trovi né l'amante né l'amata né l'amore. Vi sono momenti nella vita del Petrarca abbastanza tranquilli e prosaici, perché egli si possa dare a questo spasso. Allora riproduce la scuola de' trovatori con tutti suoi difetti, in una forma eletta e vezzosa che li pallia. E vi trovi il convenzionale, il manierato, le regole e le sottigliezze del codice d'amore, soprattutto il concettoso, dotato com'era di uno spirito acuto. Non coglie se stesso nel momento dell'impressione; l'impressione è passata, e se la mette dinanzi e la spiega come critico o filosofo; hai un di là dell'impressione, l'impressione generalizzata e spiegata, come è nella più parte de' suoi sonetti in vita di Laura; antitesi, freddure, sottigliezze; ragionamenti in forma pretensiosa e civettuola. Allora tutto e chiaro, tutto è spiegato con Platone e col codice d'amore; hai il solito contenuto lirico allora in voga sulla donna, sull'amore, pomposamente abbigliato. Trovi un maraviglioso artefice di verso, un ingegno colto, ornato, acuto, elegante: non trovi ancora il poeta e non l'artista. Ma nel momento delle impressioni, tra le sue irrequietezze e agitazioni, circuito di fantasmi, par fuori la sua personalità: trovi il poeta e l'artista. Quello che sente è in opposizione con quello che crede. Crede che la carne è peccato, che il suo amore è spirituale, che Laura gli mostra la via «che al ciel conduce», che il corpo è un velo dello spirito. E se in questo «credo» trovasse ogni suo appagamento, avremmo Dante e Beatrice. Ma non vi si appaga: l'educazione classica e l'istinto dell'artista si ribella contro queste astrazioni di uno spiritualismo esagerato; si rivela in lui uno spirito nuovo, il senso del reale e del concreto, cosí sviluppato ne' pagani. Non vi si appaga l'artista, e non vi si appaga l'uomo, perché si sente inquieto, non ben sicuro di quello che crede e vuol far credere, e sente il morso del senso e tutte le ansietà di un amore di donna. Scoppia fuori la contraddizione o il mistero. Il suo amore non è cosí possente che lo metta in istato di ribellione verso le sue credenze, né la sua fede è cosí possente che uccida la sensualità del suo amore. Nasce un fluttuar continuo di riflessioni contraddittorie, un sí ed un no, un voglio e non voglio:

              ch' i' medesmo non so quel ch'io mi voglio.

Nasce il mistero dell'amore, che ti offre le piú diverse apparenze, senza che il poeta giunga ad averne chiara coscienza:

              Se amor non è, che dunque è quel ch' i' sento? 
                  ma s'egli è amor, per Dio, che cosa e quale?


Manca al Petrarca la forza di sciogliersi da questa contraddizione, e più vi si dimena, più vi s'impiglia. Il canzoniere in vita di Laura è la storia delle sue contraddizioni. Ora gli pare che contraddizione non ci sia, e unisce in pace provvisoria cielo e terra, ragione e senso, gli occhi che mostrano la via del cielo e gli occhi alfin dolci tremanti,

               ultima speme de' cortesi amanti.

Sono i suoi momenti di sanità e di forza, di entusiasmo più artistico che amoroso, dal quale escono le vivaci descrizioni del bel corpo e le tre «canzoni sorelle». Ora si sente inquieto, e si lascia indietro alla corrente delle impressioni e delle immaginazioni, e vede il meglio e al peggio s'appiglia, come conchiude nella canzone:

                 I' vo pensando, e nel pensier m'assale,

dove è rappresentata la lotta interna tra la ragione e il senso, la ragione che parla e il senso che morde. E ci son pure momenti che la ragione piglia il di sopra, e si volge a Dio, e si confessa, e fa proposito di svellere dal suo cuore il «falso dolce fuggitivo»,

                che 'l mondo traditor può dare altrui.

Non c'è dunque nel Canzoniere una storia, un andar graduato da un punto all'altro; ma è un vagar continuo tra le più contrarie impressioni, secondo le occasioni o lo stato dell'animo in questo o quel momento della vita. Non ci è storia, perché nell'anima non ci è una forte volontà né uno scopo ben chiaro; perciò è tutta in, balla d'impressioni momentanee, tirata in opposte direzioni.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it