CRITICA LETTERARIA: IL CINQUECENTO

 

Luigi De Bellis

 
 
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Il linguaggio "narrativo" dell'Ariosto
di N. CAPPELLANI



Il «tono medio», cioè l'uso di forme ugualmente lontane dall'elevatezza delle espressioni dotte e dall'umiltà di quelle popolari, caratterizza la lingua dell'Orlando. Questa lingua si organizza in una sintassi eminentemente narrativa, né lirica, né descrittiva, né sentenziosa, che si accentra sul verbo come sull'elemento che meglio è atto a manifestare lo svolgersi incessante dell'azione.

In questo parlare e rivolgersi a un uditorio di media cultura, in questo cercare una lingua di medio uso, un che di mezzo tra la lingua dei dotti e la lingua del popolo, sta anche il superamento ariostesco aell'umanesimo erudito e latino, sta il suo porsi, quasi come preromantico, nella scia più luminosa del nostro Rinascimento in volgare. Perciò l'Ariosto non consegnò ai posteri nessuna grande frase. Intendo per grandi frasi quelle che alla cultura media arrivano per bocca degli iniziati della letteratura con aria di mistero, con maliosi sottintesi di profondo e accentrato lirismo. L'Ariosto non è quindi un ricercatore di vocaboli peregrini, né un costruttore di frasi pregnanti; non è uno scrittore incisivo, epigrammatico. La sua creazione di linguaggio riguarda meno il vocabolario; più il dizionario, per il libero accostamento delle parole nelle frasi e per l'audacía con cui ha rinnovato il significato delle parole nel contesto; ma soprattutto ríguarda la più vasta sintassi delle parole, dei versi, delle ottave e dei canti. Ripeto: il tono del linguaggio ariostesco ha la sua nota più originale nel suo distendersi secondo una linea orizzontale: ritmo da narratore, e, senza contraddire chi, studiando la vera prosa dell'Ariosto, ne ha dato un giudizio sfavorevole, dirò ritmo tendenzionalmente da prosatore. Nella scelta delle parole l'Ariosto attuava ed esplicava il suo gusto di libertà. Senza preferenze né limitazioni iniziali, le parole ricevevano nell'organismo poetico il soffio di una nuova vita. Il loro significato nella dizione trascendeva, travalicava e spezzava l'involucro della tradizione e dell'accademia; dilagava verso nuovi orizzonti; oppure ritornava a significati primigeni, o anche a forme idiomatiche latine. Anche le parole che normalmente erano accolte nella loro usata eccezione, a volte venivano scambiate con altre simili, in obbedienza alle esigenze del fantasma poetico.
Per non moltiplicare gli esempi, mi fermo sulle parole «viaggio», «sentiero» e «inchiesta». L'Ariosto preferisce queste parole che indicano idee distese, allungate, a quelle che normalmente si adopererebbero. Ecco «viaggio», per di più fatto trisillabo dalla dieresi, al posto di «via»:

... Or un de' tuoi mi trova, 
che più di me sia del viaggio esperto


Altra volta invece al posto dell'immateriale «viaggi» il poeta adopera la parola «sentieri», per meglio determinare come idea visiva il groviglio di movimenti lineari tra loro intersecantisi:

Ferraú, Brandimarte e il re Gradasso, 
re Sacripante et altri cavallieri
vi ritrovò, ch'andavano alto e basso, 
né men facean di lui vani sentieri... 


Anche per questa parola l'esempio piú interessante si trova nel primo canto:

Re Sacripante, che non può patire 
che quel con l'importuno suo sentiero 
gli abbia interrotto il gran piacer ch'avea...




Sentiero, in questo caso è passaggio, ma è qualche cosa di più: è separazione, è taglio, è urto che distacca re Sacripante da Angelica, proprio quando il «cavalier» pensava di non voler essere fiducioso e ingenuo, e rispettoso, come Orlando, della virtù della bella donna; la parola taglia l'avventura, come un viottolo che incida la distesa di una campagna o l'intrigo di un bosco. La parola « inchiesta » già adoperata, ma in modo scialbo, senza assurgere a significazione cosmica, nei romanzi cavallereschi precedenti, solo nel Furioso si trova in primo piano ed è motivo fondamentale. Essa significa ricerca e corteggiamento a distanza; inseguimento e fedeltà su un piano di nobiltà amorosa è insomma il tormento di Orlando:

Tra il fin d'ottobre e il capo di novembre, 
ne la stagion che la frondosa vesta 
vede levarsi e discoprir le membre 
trepida pianta, fin che nuda resta, 
e van gli augelli a strette schiere insembre, 
Orlando entrò ne l'amorosa inchiesta; 
né tutto il verno appresso lasciò quella, 
né la lasciò ne la stagion novella.


Il sesto verso è veramente un acquisto della redazione finale. Nelle edizioni 1516 e 1521 si diceva: «Si pose Orlando in l'amorosa inchiesta»; e l'inchiesta era ancora una cosa statica. Nell'edizione del 1532 mutò «si pose» in «entrò»; e l'inchiesta fu corsa, via, linea orizzontale. A quello stesso punto, e come conseguenza del nuovo acquisto lirico, il poeta operò nel 1532 la prima e più grossa aggiunta, per allungare anche narrativamente l'inchiesta di Orlando: dopo la strofa settima del nono canto, furono aggiunte le strofe 8-94 del tutto nuove, le strofe 1-34 del canto decimo di nuova formazione: sia quelle che queste dedicate alla storia di Olimpia.
Non si creda, d'altra parte, che i casi di significato estensivo o del tutto nuovo siano pochi. Lo spoglio attento di un dizionario riserba sorprese notevoli. Anzitutto sorprende il numero, la frequenza e il genere degli esempi che dal Furioso sono passati a corredare coi loro significati le parole della nostra lingua. Accanto a Dante, al Petrarca e al Boccaccio, l'Ariosto ha il maggior posto. Non c'è pagina, non c'è voce, si può dire, che dall'Ariosto non sia stata illustrata. Specialmente non c'è verbo. Il verbo è il centro della lingua ariostesca. Alla già nota povertà della aggettivazione, povertà soprattutto numerica, corrisponde una ricchezza e un'abbondanza di verbi, che provano l'interesse prevalente che il poeta ha rivolto all'azione e alla narrazione, anziché alla descrizione.
La lingua dell'Ariosto somiglia A parlare di ogni giorno o quasi: è una lingua confidenziale: ma essa è trascesa e superata dall'interno: rinnovata dal genio trávalicante dell'Ariosto. Quel genio stesso che gli farà adottare il verso proprio della poesia cavalleresca, ma spezzandone spesso e sempre allargandone il ritmo; gli farà adottare l'ottava, ma aprendone e rendendone disuguale e, generalmente, meno conchiuso il respiro; gli farà scrivere episodi - troppi episodi, si è creduto finora -, ma tessendone intimamente una sola trama piú vasta e poeticamente unitaria.

2000 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it  - Collaborazione tecnica Iolanda Baccarini - iolda@virgilio.it