Il gruppo 63: ritorno alle avanguardie
A partire dalla fine degli anni Cinquanta, gli anni del boom economico e della definitiva trasformazione della società italiana in società fortemente industrializzata (cfr. 25.2), in una situazione letteraria caratterizzata per un verso dall'esaurimento della fase neo-realistica, dal ritorno alle tematiche intimistiche e neo-crepuscolari e da un rifiuto della storia come oggetto di ispirazione e rappresentazione (Tomasi, Bassani, Cassola, ecc.) e per altro verso dal sempre più massiccio coinvolgimento degli intellettuali nei meccanismi dell'industria editoriale (cfr. Profilo, 2.1 e 26.1), assistiamo a un nuovo fenomeno di rilievo nello sviluppo delle poetiche novecentesche italiane: la nascita della cosiddetta neo-avanguardia. Gli scrittori che possono essere compresi in questo movimento, dopo esperienze separate sul piano sia della produzione letteraria sia della teoria e della critica e dopo la pubblicazione di un'antologia di poeti Novissimi (Sanguineti, Pagliarani, Giuliani, Porta, Balestrini), nel 1963 si riuniscono a Palermo e si organizzano in corrente, autodefinendosi Gruppo 63 (che è anche il titolo di un'antologia di scritti degli appartenenti al gruppo). Come i neorealisti muovendo dal rifiuto della metafisica ermetica e decadente e delle sperimentazioni delle avanguardie storiche si erano richiamati alla poetica del realismo ottocentesco, così gli scrittori della neo-avanguardia muovendo dal rifiuto dell'ideologismo talora greve dei neorealisti, come dal rifiuto dell'intimismo di quelle che spregiativamente chiamano le «Liale degli anni '60» (i Bassani, i Cassola, gli altri autori dei best seller di qualità), si richiamano alle poetiche sperimentalistiche delle avanguardie storiche. Mutano i contesti e le ragioni socio-culturali delle scelte, male principali soluzioni formali, e molti degli aspetti particolari della concezione stessa della natura e del ruolo dell'arte rimangono quelle dei modelli.
Contro l'ideologia
Negli scrittori della neoavanguardta il rifiuto dell'ideologizzazione esasperata della precedente letteratura si traduce in un sostanziale rifiuto dell'ideologia come chiave interpretativa della realtà: «oggi nessuna ideologia è in grado di offrire una interpretazione esauriente del mondo e allorché allora si tenti di utilizzarle in questo senso non possono che produrre falsi significati». La realtà nell'arte della neo-avanguardia deve essere recuperata «nella sua intattezza» (A. Guglielmi) attraverso un'operazione essenzialmente affidata al linguaggio. Ma il linguaggio della società odierna - la società capitalistica avanzata, dei mass media, della pubblicità, dell'industria editoriale, ecc. - è irrimediabilmente logoro, incapace ormai di farsi portatore di significati autentici e di reale comunicazione fra gli uomini. Tanto più la crisi investe la condizione di poeta: come credere ancora nell'esercizio tradizionale, artigianale delle tecniche di scrittura poetica, in un tempo e in un mondo in cui la letteratura è mercificata e le sue tecniche sono utilizzate per reclamizzare una lavastoviglie, un detersivo o una carta igienica? Un discorso analogo vale per le arti figurative nell'età della riproducibilità tecnica.
Mimesi del caos
Con il linguaggio di cui dispone e nel contesto in cui si trova a rovere, il poeta contemporaneo non potrà far altro che comunicare < la negazione della comunicazione esistente» (A. Guglielmi), ovvero compiere una mimesi diretta del caos, cioè una riproduzione immediata ed enfatizzata della mancanza di significato, dell'inautenticità della comunicazione normale (sia riproducendo lacerti di comunicazione quotidiana apparentemente dotati di significato, di cui evidenziare la banalità, svelare l'insignificanza; sia fornendone un equivalente provocatorio, un coacervo di parole preso poco meno che a caso). Asintattismo, asemanticità, parole in libertà, parole casualmente radunate e disposte sulla pagina, reperti del mondo della comunicazione (di massa e non: dallo slogan pubblicitario alla citazione televisiva, dal più recente anglismo al più remoto frammento lessicale delle lingue morte, ecc.), pratica del nonsense, uso ludico del significante (cioè dei puri e semplici corpi fonici delle parole), rifiuto del significato, e via dicendo sono tra le soluzioni formali più radicali adottate da molti esponenti di questo movimento.
È stato notato che il proporsi di quella che A. Guglielmi definiva «una poesia dell'alienazione» e «una sorta di visione schizofrenica della realtà» portava la neoavanguardia ad affrontare molte delle difficoltà di poetica e di procedura già in parte sperimentate dalle avanguardie storiche. Percorrere sino in fondo la via della negazione di ogni possibilità di comunicazione che non fosse la "comunicazione della non comunicazione", sino al silenzio e alla denuncia della morte dell'arte; ridurre la rappresentazione del caos del linguaggio e della realtà a gioco intellettuale, a puro e semplice divertissement; adottare soluzioni intermedie che non rifiutino completamente la semanticità del linguaggio (cioè la possibilità di trasmettere significati autentici attraverso il linguaggio): queste, che sono le principali strade percorse dagli scrittori della neoavanguardia, sono anche - a prescindere dai referenti e dai significati storico-culturali contingenti - le vie grosso modo percorse dalle avanguardie storiche. Gli stessi scrittori della neoavanguardia, del resto, ne sono in larga misura consapevoli e se spiegano le oggettive differenze che li separano dalle avanguardie storiche non ne rifiutano l'eredità e anzi tentano in varie sedi (ad esempio nell'antologia dei Poeti italiani del Novecento di Sanguineti) una rivalutazione e rivitalizzazione della tradizione avanguardistica nostrana.
Alternative alla neoavanguardia
Ma davvero la mimesi del caos, la comunicazione della non comunicazione, o addirittura un'ossessiva ma anche "accademica" sperimentazione per la sperimentazione (nella logica della rivoluzione permanente delle forme) è la sola alternativa che resta ad una letteratura mercificata e svilita nella sua insignificanza? Non ci sono altre strade e prospettive per la letteratura di fine Novecento? La neo-avanguardia ha oggi esaurito la propria spinta propulsiva e già altri fenomeni variamente connotati - dal postmodernismo alle transavanguardie - si sono profilati, in qualche caso durando non più che lo spazio d'un mattino.
Calvino: Logos contro caos
Alla mimesi del caos, al naufragio nel mare dell'oggettività, al perdersi nei labirinti del mondo moderno senza cercare una via d'uscita, proprio negli anni del boom delle neo-avanguardie si è ribellato in alcuni suoi interventi memorabili Italo Calvino (Il mare dell'oggettività del 1958 e La sfida al labirinto del 1962, editi entrambi ; «Il menabò», per cui cfr. 25.5), la cui esperienza letteraria è da sempre stata concepita all'insegna del logos contro il caos, all'insegna della ragione contro
l'irrazionalità. Analizzando ne La sfida al labirinto gli sviluppi della letteratura e delle avanguardie nel mondo contemporaneo, pur ammettendo la difficoltà del compito e la necessità di adeguarsi a una realtà in perenne movimento e sempre più complessa, Calvino ribadisce la fedeltà ai propri principi e delinea i compiti a cui a suo parere la letteratura e la cultura non possono sottrarsi: «Resta fuori chi crede di poter vincere labirinti sfuggendo alla loro difficoltà; ed è dunque una richiesta poco pertinente quella che si fa alla letteratura, dato un labirinto, di fornire essa stessa la chiave p. uscirne. Quel che la letteratura può fare è definire l'atteggiamento migliore per trovare la via d'uscita, anche se questa via d'uscita non sarà altro che il passaggio da un labirinto all'altro.
È la sfida al labirinto che vogliamo salvare, è una letteratura della sfida al labirinto che vogliamo enucleare e distinguere dalla letteratura della resa al labirinto».
Zanzotto: la ricerca del significato
Se questa di Calvino è l'opposizione più memorabile alla logica della letteratura delle neo-avanguardie italiane e straniere (Calvino polemizza anche con la francese "école du regard"), può forse valere la pena di notare, in proposito, che Andrea Zanzotto, una delle più inquiete, vigili e acute coscienze critiche dei nostri anni, oltre che poeta tra i maggiori della generazione successiva a quella di Montale, proprio negli anni della massima espansione della neoavanguardia, rimproverava anch'egli al Gruppo 63 la pura e semplice mimesi del caos, l'accettazione magari ludica della non significazione. Egli elaborava una personale e drammatica poetica di resistenza e sfida al labirinto, tentando di ipotizzare un cammino inverso dalla non significazione, dalla significazione inautentica e degradata del mondo contemporaneo - dato di fatto da cui a suo giudizio non si poteva comunque prescindere - alla riconquista di un'autenticità comunicativa e di una riqualificazione della ricerca poetica, mediante l'investigazione e il reperimento di tutti i possibili lacerti, le tracce, i bagliori di un linguaggio che faccia ancora presa sulle cose, in una ricerca che spazia dalla comunicazione prelinguistica dei bambini alla comunicazione postlinguistica della follia e che non rifiuta il confronto con le infinite manifestazioni di degradazione linguistica che offre il mondo contemporaneo.
Conclusioni
A prescindere da questo dibattito e dagli esiti ancora non ipotizzabili dell'odierna ricerca letteraria e culturale, a noi importa ora fare alcune osservazioni conclusive. In primo luogo, in una società letteraria dominata dall'industria editoriale in grado di immettere sul mercato e di offrire ai pubblici più disparati - di massa o d'élite ogni sorta di prodotto letterario, si assiste ormai alla compresenza (sia pure a differenti livelli di prestigio e di diffusione) di poetiche e pratiche di scrittura estremamente varie, che in definitiva ripropongono in rapida successione temporale o anche contemporaneamente tutte o quasi tutte le soluzioni sperimentate negli ultimi due secoli di storia letteraria (lo afferma esplicitamente anche il Guglielmi). In secondo luogo, le vie percorse dalla sperimentazione letteraria d'avanguardia sembrano, come già si accennava, destinate o condannate a riproporre senza possibilità di alternative realmente radicali e innovative le soluzioni "rivoluzionarie" (sul piano strettamente letterario) che già altri movimenti, altri gruppi hanno precedentemente sperimentato. Le possibili risposte alle avanguardie, senza rifiutare del resto la ricerca sperimentale, mirano in vario modo e in varia misura alla riconquista di un rapporto autentico tra lingua e realtà, tra parole e cose - rapporto la cui crisi o la cui impossibilità è uno dei principali oggetti della denuncia delle avanguardie -, ma sono anche consapevoli che la ricostituzione di questo rapporto in termini di autenticità non è questione di sola pertinenza letteraria, ma investe il senso, le direzioni di sviluppo dell'intero mondo in cui viviamo. Compiere queste riflessioni significa anche porsi un interrogativo sulle vie e sui destini futuri dell'arte moderna, un interrogativo sulla capacità di perpetuazione di quei principi estetici e poetici che hanno fatto la loro comparsa nella cultura occidentale con l'avvento della prima grande rivoluzione letteraria del mondo moderno, quella
romantica.
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