Questo sonetto - che è costruito su periodi molto lunghi (un primo periodo si snoda nelle quartine e un secondo nelle terzine, con una forte pausa al mezzo, segnata dal Ma del v. 9), su un ritmo lento e uguale («sonetto di vecchiaia» lo definisce Fubini, analizzandone la sintassi e il metro ampi e lenti)' si presta ad analisi approfondite e particolareggiate del suo denso contenuto tematico e concettuale. Ci fermiamo su alcuni punti.
Il rapporto autore-lettore (ascoltatore). Colpisce, nel sonetto, l'uso dei termini suono («il suono di quei sospiri») per indicare la materia del libro e ascoltate per indicare l'atteggiamento di coloro a cui il libro è rivolto (ascoltatori e non lettori). Questi termini, che assegnano le rime sparse e la loro fruizione alla sfera della musica e del canto, rimandano a una tradizione precisa: quella della poesia provenzale. La chanso trobadorica (da cui i termini italiani canzone e canzoniere) era un componimento destinato alla esecuzione e fruizione musicale, non era un prodotto della scrittura destinato alla lettura. Paul Zumthor ha basato proprio su questa peculiarità della «comunicazione» trobadorica la sua definizione di quella poesia (e della poetica che la sottende) come «circolarità del canto»: codice poetico che non rimanda a una situazione psicologica - di tipo «realistico» - dell'autorescrittore né a una volontà di penetrare psicologicamente dentro l'anima del pubblico-lettore, ma che si attua e consuma nel momento dell'esecuzione e dell'ascolto. Di qui l'invito a evitare «decodificazioni realistiche» delle liriche trobadoriche, e a studiare invece tutti gli elementi che ne compongono il codice chiuso.
Tanto più colpisce l'uso dei termini indicati, se si tiene presente che il passaggio dalla situazione del canto a quella della scrittura-lettura era già avvenuto ampiamente con l'attività dei poeti dell'età comunale e borghese (non è un caso che la scrittura e i suoi strumenti fornissero materiale, ad esempio, per le personificazioni dell'attività poetica in Cavalcanti).
Quel che avviene in Petrarca, in realtà, è proprio una rottura completa della «circolarità del canto», un «rovesciamento nel sistema letterario». Erano due le situazioni convenzionali possibili:
a. la poesia che si presenta come musica e canto (secondo la convenzione trobadorica);
b. la poesia che si presenta come scrittura e lettura (secondo la convenzione stilnovistica).
In questo sonetto Petrarca evita deliberatamente di utilizzare la convenzione che abbiamo indicato in b (che pure corrisponde alla realtà del suo operare, di lui che scrive, riscrive, rielabora, ordina le sue rime sparse in un libro destinato a essere letto) perché vuole rompere la circolarità lirica, vuole distogliere l'attenzione dall'operazione della scrittura (le personificazioni della situazione di scrittura, infatti, finivano negli stilnovisti per concentrare ancor più l'attenzione su di essa), e vuole invece attirare l'attenzione:
- da una parte sull'autore, sulla sua storia psicologica, il suo «errore», le sue esperienze, passioni e tormenti che divengono esemplari ed emblematici (è questa la nuova convenzione, il nuovo codice, che possiamo anche definire realistico-psicologico, della poesia petrarchesca);
- dall'altra parte sul lettore, che deve diventare un lettore partecipe, anche lui psicologicamente (e realisticamente) coinvolto nella storia.
Anziché utilizzare la situazione b, Petrarca utilizza allora quella a perché essa, che è ormai priva di qualsiasi riferimento reale di esperienza (le poesie dovevano essere lette, non ascoltate), può essere usata metaforicamente, allo scopo di attenuare e sfumare la «situazione di scrittura» e rimandare a una «situazione di vita»: «il primo "libro" della lirica moderna si dissolve nella metafora del suono». |