QUELLO CHE L’AMERICA CI PUO’ INSEGNARE (di Oriana Fallaci)
Oriana Fallaci, la coscienza del vecchio continente come da titolo di qualche giornale americano, è stata la nostra più grande giornalista. Una voce importante, una voce autorevole che ci ha raccontato i più grandi conflitti del dopoguerra. Ma da qualche tempo era stanca, non voleva perdere più tempo con le cicale che non san far altro che esibirsi in televisione senza un briciolo di dignità o d’amor proprio. S’era ritirata nella sua casa di New York e s’era messa a lavorare al suo ultimo libro. Chiudendo una porta e barricandosi nel silenzio. Ma l’onda d’urto di quella mattina, dell’11 settembre, ha sconvolto anche la sue quiete eremitica. Così ha aperto la porta, ha abbandonato il suo silenzio, gesti inconsueto dei quali sembra meravigliarsi... Lo sguardo era dolce e insieme feroce. Ferruccio De Bortoli, l’allora direttore de “il corriere della sera” le aveva chiesto di scrivere quello che aveva visto, provato, sentito dopo quel martedì e Oriana ha raccolto su alcuni fogli emozioni, sentimenti. Pensieri forti. Dirompenti. Su cui ragionare e riflettere. Sull’America, sull’Italia, sul mondo islamico. Sulla Patria. Il suo libro, il suo bambino o la sua predica come lo chiama lei, hanno fatto grande clamore. “La rabbia e l’orgoglio” (best-seller in molti paesi) ha raccolto critiche e consensi, l’ha portata in tribunale più volte e l’ha fatta diventare il modello di qualcuno. Ha avuto insomma, reazioni contrastanti. «Qualcuno queste cose doveva dirle. Le ho dette io. Ora lasciatemi in pace. La porta è chiusa di nuovo. E non voglio riaprirla», sbotta lei con i suoi soliti artigli.


"Nonostante i difetti che le vengono continuamente rinfacciati, che io stessa le rinfaccio, (ma quelli dell’Europa e in particolare dell’Italia sono ancora più gravi), l'America è un paese che ha grosse cose da insegnarci. E a proposito dell'eroica efficienza lasciami cantare un peana per il sindaco di New York. Quel Rudolph Giuliani che noi italiani dovremmo ringraziare in ginocchio. Perché ha un cognome italiano, è un oriundo italiano, e ci fa fare bella figura all’estero cioè dinanzi al mondo intero. E’ un grande anzi grandissimo sindaco, Rudolph Giuliani. Te lo dice una che non è mai contenta di nulla e di nessuno incominciando da se stessa. Un sindaco degno di un altro grandissimo sindaco col cognome italiano, Fiorello La Guardia, e molti dei nostri sindaci dovrebbero andare a scuola da lui. Presentarsi da lui col capo chino, anzi con la cenere sul capo, e chiedergli “sor Giuliani, per cortesia ci dice come si fa?”. Lui non delega i suoi doveri al prossimo, no. Non perde tempo nelle bischerate e nelle avidità. Non si divide tra l'incarico di sindaco e quello di ministro o deputato. (C'è nessuno che mi ascolta nelle tre città di Stendhal, insomma a Napoli e a Firenze e a Roma?). Essendo corso subito, e subito entrato nel secondo grattacielo, ha rischiato di trasformarsi in cenere con gli altri. S'è salvato per un pelo e per caso. E nel giro di quattro giorni ha rimesso in piedi la città. Una città che ha nove milioni e mezzo di abitanti, bada bene, e quasi due nella sola Manhattan. Come abbia fatto, non lo so. E' malato come me, pover'uomo. Il cancro che torna e ritorna ha beccato anche lui. E, come me, fa finta d’essere sano. Lavora lo stesso. Ma io lavoro a tavolino, perbacco, stando seduta! Lui, invece... Sembrava un generale che partecipa di persona alla battaglia. Un soldato che si lancia all'attacco con la baionetta. «Forza, gente, forzaaa! Tiriamoci su le maniche, sveltiii!». E ieri ha detto “The first of the Human Rights is Freedom from the fear. Do not have fear. Il primo dei diritti umani è la libertà dalla paura. Non abbiate paura.” Ma può comportarsi così perché quelli intorno a lui sono come lui. Gente senza boria e senza pigrizia e con le palle. Uno è l’unico pompiere sopravvissuto al crollo della seconda torre anzi estratto vivo dalle macerie. Si chiama Jimmy Grillo, ha ventott’anni, i capelli biondi come il grano maturo, le pupille azzurre come il mare pulito. Stamani l’ho visto in tv, e sembrava un Ecce Homo. Ferite, bruciature, tagli, cerotti. Gli hanno chiesto se cambierà lavoro. Ha risposto: “I am a fireman. Always here, always in New York. To protect my city and my people and my friend. Io sono un pompiere, e per tutta la mia vita sarò un pompiere. Sempre qui, sempre a New York. Per proteggere la mia città, la mia gente, i miei amici”. Quanto all'ammirevole capacità di unirsi, alla compattezza quasi marziale con cui gli americani rispondono alle disgrazie e al nemico, bè: devo ammettere che lì per lì ha stupito anche me. Sapevo, sì, che era esplosa al tempo di Pearl Harbor, cioè quando il popolo s'era stretto intorno a Roosevelt e Roosevelt era entrato in guerra contro la Germania di Hitler e l'Italia di Mussolini e il Giappone di Hirohito. L'avevo annusata, sì, dopo l'assassinio di Kennedy. Ma a questo era seguita la guerra in Vietnam, la lacerante divisione causata dalla guerra in Vietnam, e in un certo senso ciò mi aveva ricordato la loro Guerra Civile d'un secolo e mezzo fa. Così, quando ho visto bianchi e neri piangere abbracciati, dico abbracciati, quando ho visto democratici e repubblicani cantare abbracciati «God bless America, Dio benedica l'America», quando gli ho visto cancellare tutte le divergenze, sono rimasta di stucco. Lo stesso quando ho udito Bill Clinton (persona verso la quale non ho mai nutrito tenerezze) dichiarare “stringiamoci intorno a Bush, abbaite fiducia nel nostro presidente”. Lo stesso, quando le medesime parole sono state ripetute con forza da sua moglie Hilary ora senatrice per lo stato di New York. Lo stesso quando sono state reiterate da Lieberman, l’ex candidato democratico alla vice presidenza. (Soltanto lo sconfitto Al Gore è rimasto squallidamente zitto). Lo stesso quando il Congresso ha votato all'unanimità d'accettare la guerra, punire i responsabili. Lo stesso quando ho scoperto che il motto degli americani è un motto latino che dice “Ex pluribus unum, da tutti uno”. Insomma, uno per tutti. Anzi, quando ho saputo che i bambini lo imparano a scuola e lo recitano come da noi si recita il Pater Noster, mi sono addirittura commossa. Ah, se l'Italia imparasse questa lezione! È un Paese così diviso, l'Italia. Così fazioso, così avvelenato dalle sue meschinerie tribali! Si odiano anche all'interno dei partiti, in Italia. Non riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, lo stesso distintivo! Gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai propri interessi personali. Alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia, alla propria popolarità di periferia. Pei propri interessi personali si fanno i dispetti, si tradiscono, si accusano, si sputtanano... Io sono assolutamente convinta che, se Usama Bin Laden facesse saltare in aria la Torre di Giotto o la Torre di Pisa, l'opposizione darebbe la colpa al governo. E il governo darebbe la colpa all'opposizione. I capoccia del governo e i capoccia dell'opposizione, ai propri compagni e ai propri camerati. E detto ciò lasciami spiegare da che cosa nasce la capacità di unirsi che caratterizza gli americani.
Nasce dal loro patriottismo. Io non so se in Italia avete visto e capito quel che è successo a New York quando Bush è andato a ringraziar gli operai (e le operaie) che scavando nelle macerie delle due torri cercano di salvare qualche superstite ma non tiran fuori che qualche naso o qualche dito. Senza cedere, tuttavia. Senza rassegnarsi, sicché se gli domandi come fanno ti rispondono: «I can allow myself to be exhausted not to be defeated. Posso permettermi d'essere esausto, non d'essere sconfitto». Tutti lo dicono, tutti. Bianchi, neri, gialli, marroni, viola... L'avete visti o no? Mentre Bush li ringraziava non facevano che sventolare le bandierine americane, alzare il pugno chiuso, ruggire: «Iuessè! Iuessè! Iuessè! Usa! Usa! Usa!». In un paese totalitario avrei pensato: «Ma guarda come l 'ha organizzata bene il Potere!». In America, no. In America queste cose non le organizzi. Non le gestisci, non le comandi. Specialmente in una metropoli disincantata come New York, e con operai come gli operai di New York. Sono tipacci, gli operai di New York. Più liberi del vento. Quelli, ti assicuro, non obbediscono neanche ai loro sindacati. Ma se gli tocchi la bandiera, se gli tocchi la Patria... In inglese la parola Patria non c'è. Per dire Patria bisogna accoppiare due parole. Father Land, Terra dei Padri. Mother Land, Terra Madre. Native Land, Terra Nativa. O dire semplicemente My Country, il Mio Paese. Però il sostantivo Patriottismo c'è. L'aggettivo Patriotic c'è. E a parte la Francia, forse non so immaginare un Paese più patriottico dell'America. Ah! Io mi son tanto commossa a vedere quegli operai che stringendo il pugno e sventolando la bandiera ruggivano Iuessè-Iuessè-Iuessè, senza che nessuno glielo ordinasse. E ho provato una specie di umiliazione. Perché gli operai italiani che sventolano il tricolore e ruggiscono Italia-Italia io non li so immaginare. Nei cortei e nei comizi gli ho visto sventolare tante bandiere rosse. Fiumi, laghi, di bandiere rosse. Ma di bandiere tricolori gliene ho sempre viste sventolar pochine. Anzi nessuna. Mal guidati o tiranneggiati da una sinistra arrogante e devota all'Unione Sovietica, le bandiere tricolori le hanno sempre lasciate agli avversari. E non è che gli avversari ne abbiano fatto buon uso, direi. Non ne hanno fatto nemmeno spreco, graziaddio. E quelli che vanno alla Messa, idem. Quanto al becero con la camicia verde e la cravatta verde, non sa nemmeno quali siano i colori del tricolore. Mi-sun-lumbard, mi-sun-lumbard. Quello vorrebbe riportarci alle guerre tra Firenze e Siena. Risultato, oggi la bandiera italiana la vedi soltanto alle Olimpiadi se per caso vinci una medaglia. Peggio: la vedi soltanto negli stadi, quando c'è una partita internazionale di calcio. Unica occasione, peraltro, in cui riesci a udire il grido Italia-Italia.
Eh, sì! C'è una bella differenza tra un paese nel quale la bandiera della Patria viene sventolata dai teppisti negli stadi e basta, e un paese nel quale viene sventolata dal popolo intero. Ad esempio, dagli irreggimentabili operai che scavano nelle rovine per tirar fuori qualche orecchio o qualche naso delle creature massacrate dai figli di Allah".
Oriana Fallaci