Storie “minime” dalla Giordania
di Daniele Cantini

Una delle prime cose che colpiscono il viaggiatore nel suo impatto con Amman (Giordania (1)) è sicuramente la sua scintillante modernità, le sue macchine, le ville, i palazzi, i tanti cartelli in inglese, le luci al neon, i quartieri da passeggio, con i negozi delle firme più importanti del mercato mondiale. Il viaggiatore informato sa che Amman è una città senza storia recente, che non è mai stata una capitale, come sono Damasco, Gerusalemme o il Cairo. E il viaggiatore curioso scoprirà che dietro i palazzi e le vetrine, dietro i quartieri alla moda, come Shmeisani o Abdoun, è ben presente e radicata una realtà molto diversa. Senza bisogno di andare nei campi profughi che ancora ospitano, in condizioni di vita spesso ripugnanti, rifugiati palestinesi da più di mezzo secolo, o nei quartieri più poveri, o nel turbolento e tribale sud del paese (2).
Specialmente mi ha incuriosito la condizione della donna, in particolare nella capitale.
Alle ultime elezioni è stata introdotta una quota, molto ridotta, per far entrare le donne in Parlamento, e questo limitatissimo provvedimento ha suscitato profonde polemiche. Mi è stato riferito che l’ambasciatore italiano, durante una cena con i ministri del governo, sia stato avvicinato dal ministro – donna – per le pari opportunità, e che gli altri ministri – tutti uomini, generalmente shuyukh tribali – siano insorti, sostenendo che i problemi della Giordania sono altri, e che la situazione della donna è conforme ai precetti dell’Islam.
Al primo impatto, una visita nel campus suggerisce una netta separazione tra le ragazze “progredite”, senza velo, vestite all’occidentale, secondo le ultime mode, generalmente appartenenti a famiglie di censo più elevato, e le ragazze “all’antica”, velate – in vari modi, da quelle che portano un hijab (il velo più ridotto, che incornicia il volto) sopra i jeans e la maglietta, fino alle studentesse completamente velate di nero, senza neanche gli occhi scoperti (generalmente provenienti da paesi del Golfo) – che generalmente non rivolgono la parola agli stranieri. Il viaggiatore in visita solo nei quartieri “bene” e negli hotel di alta categoria potrebbe facilmente convincersi che le ragazze in questo paese godano di grande libertà, specialmente avendo presente il modello della giovane ed affascinante regina Rania, piuttosto popolare nei media occidentali.
Sabah è una ragazza di 26 anni, studentessa nella Facoltà di Scienze dell’Educazione. Di famiglia beduina, velata con l’hijab, è una persona molto attiva socialmente - collabora come volontaria in un centro che si occupa di minori con problemi motori – ed è una delle poche ragazze che conosco ad avere una vita sentimentale che ai miei occhi appare del tutto “normale”. Ha infatti un fidanzato, un ragazzo che vive nella regione di Petra – beduino anche lui – che ho conosciuto personalmente. Di recente si sono fidanzati ufficialmente, e secondo le loro usanze questo è il primo passo verso il matrimonio (3). Una mattina la vedo particolarmente stravolta, e poi non la incontro più per una settimana. Chiamo una comune amica che mi rivela che Sabah, avendo avuto un rapporto d’amore con il suo fidanzato, aveva paura di essere rimasta incinta e aveva confidato i suoi timori al partner che, probabilmente spaventato, o forse semplicemente soddisfatto dall’aver ottenuto quello che cercava, aveva deciso di lasciarla. Rimanere incinta prima del matrimonio in questa parte del mondo è ancora qualcosa che può condizionare una vita, come ai tempi di Maria! In questo caso tutto è finito bene, nel senso che la gravidanza non c’è stata, e Sabah ha potuto più o meno riprendere la stessa vita che faceva prima, probabilmente con meno fiducia nei confronti del genere maschile.
Mesa’ è una ragazza di 22 anni, da poco laureata nella Facoltà di Scienze Biologiche. Anche lei molto attiva socialmente – al momento della disoccupazione post lauream ha cominciato a fare volontariato come insegnante di matematica in una scuola di un campo profughi ad Amman – velata con l’hijab, a differenza di Sabah molto consapevole e convinta della sua appartenenza religiosa, dovuta probabilmente al fatto che suo padre è un mu’atazilita (4). Approfittando del rapporto di amicizia e di grande confidenza che c’è tra noi, ero solito provocarla scherzosamente, chiedendole come mai suo padre non le portava a casa un marito, visto che si era laureata, ma lei continuava a giurare che era l’ultima cosa alla quale pensava. Qualche giorno dopo mi ha confessato che aveva cominciato a frequentare un ragazzo, che aveva conosciuto in università, all’insaputa dei suoi, che non sapeva se fosse innamorata ma che aveva voglia di conoscerlo prima della eventuale presentazione in casa. Ed era sicura che suo padre avrebbe accettato qualunque cosa pur di saperla felice.
Leila è una ragazza di 22 anni, che studia nella Facoltà di Economia. È una delle numerose figlie di famiglie miste, con padre ovviamente musulmano e madre, di solito europea o nordamericana, più o meno convertita. Nel suo caso, la madre è di origine britannica, e Leila ne va tanto orgogliosa che parla correntemente l’inglese meglio dell’arabo, pur essendo nata e cresciuta in Giordania. Veste decisamente all’occidentale, non è velata né particolarmente religiosa, e delle tre è sicuramente quella che più appare “libera” ed “emancipata”, anche se devo dire che qualche sera ho potuto incontrare Sabah e Mesà senza grandi problemi d’orario, mentre lei ha l’obbligo di tornare a casa non oltre le otto. Di ritorno da una breve vacanza, la incontro nel campus e appena mi vede scoppia a piangere. Ci sediamo in un luogo il più possibile appartato, e mi spiega che suo padre ha deciso che è ora che si sposi, e le ha fatto conoscere un giovane dottore in medicina, che lei non aveva mai visto prima. Dopo una settimana c’è stato il fidanzamento ufficiale alla presenza delle due famiglie, e il matrimonio legale è previsto per soli tre mesi dopo. Ovviamente Leila ha protestato, soprattutto dopo che ha conosciuto un po’ il ragazzo e ha scoperto che non solo non hanno nulla in comune, ma che lui non le permetterà di lavorare né di rivolgersi a lui in inglese, essendo un puro musulmano orgoglioso della sua identità, anche linguistica. Ha cercato l’appoggio di sua madre, che le ha suggerito di provare a fidarsi del giudizio di suo padre. Ha provato a riparlarne con il padre, minacciando anche di fare una scenata il giorno del fidanzamento, e lui le ha detto che se avesse rifiutato il ragazzo non avrebbe avuto più il permesso di uscire di casa, e questa punizione sarebbe servita ad “ammorbidirla” nel momento in cui le venisse proposto un altro fidanzato. Leila è una ragazza piena di risorse, ed è riuscita a fingersi talmente odiosa da convincere il pretendente a ripudiarla – senza averla mai toccata. Ma è una situazione che le si può ripresentare in qualsiasi momento.

1 Di particolare interesse sulla Giordania sono i numeri della rivista “Jordanie”, edita dal centro culturale francese, Ifpo, ex CERMOC, www.lb.refer.org, oltre a una serie di libri di carattere storico, è M. Wilson, “King Abdallah, Britain and the Making of Jordan”, Cambridge Middle East Library, Cambridge (Mass.), Cambr. Univ. Press, 1987. Per una prospettiva dei “nuovi storici” israeliani, si veda AA VV, Jordan, the making of a pivotal state, 1948-1988, Haifa University. Per una rilettura più recente, si veda George Joffé, (ed.), Jordan in transition, Hurst & Co., London, 2002. Per una discussione antropologica sul ruolo delle tribù nella costruzione statale giordana, Linda L. Layne, Home and Homeland. The dialogics of tribal and national identities in Jordan, Princeton, NJ, Princeton Univ. Press, 1994. I materiali disponibili in lingua italiana sono pochi. A titolo informativo, segnalo Ugo Fabietti, Antropologia del Medio Oriente, Einaudi, Torino, 2000, un’introduzione al campo degli studi antropologici nell’area mediorientale che copre aspetti sociali culturali e politici.
2 Si veda a questo proposito “Red alert in Jordan: Recurrent Unrest in Maan”, Middle East Briefing, 19 February 2003, disponibile sul sito www.icq.org . L’unico (breve) articolo in lingua italiana che ho trovato disponibile è sul sito www.reporterassociati.org a cura di Rosarita Catani.
3 Nell’Islam, è bene ricordarlo, il matrimonio non è un sacramento, ma un semplice contratto. Nella tradizione giordana generalmente una coppia comincia a frequentarsi dopo il fidanzamento ufficiale. Dopo pochi mesi avviene il matrimonio legale, alla presenza di un Imam e di due testimoni maschi – testimoni donne sono ammesse, ma devono essere due per valere come un testimone maschio. Questo matrimonio è seguito, anche dopo mesi, dal matrimonio “sociale”, con i tre giorni di festa con tutta le famiglie allargate e gli invitati. Gli sposi generalmente cominciano a vivere insieme, e ad avere rapporti, solo dopo quest’ultimo matrimonio, ma su questo punto non ci sono imposizioni religiose.
4 Una “setta” islamica molto antica, spesso duramente repressa, specialmente durante il califfato abbaside. Promuove un credo marcatamente razionalista, pur rimanendo fedele all’interpretazione letteralista del Corano.

settembre - dicembre 2004