Precarietà e lavoro intellettuale
di
Cristina Tajani

M. ha 28 anni. Ci siamo conosciute ad un’assemblea di “ricercatori precari” all’Università Statale di Milano, qualche mese fa. La ministra Moratti aveva appena presentato il suo disegno di legge sullo stato giuridico della ricerca e della docenza universitaria. Il messaggio contenuto in quel disegno di legge è pressappoco questo: sei un giovane laureato o un lavoratore “non strutturato” (leggi: precario) della ricerca? Pensi che continuare a studiare e a far ricerca in università o in un ente pubblico sia quello che vorresti fare nella vita? Ami questo lavoro perché pensi che la ricerca pubblica possa essere un modo per rispondere a bisogni socialmente condivisi? Beh, allora sappi che questi tuoi vizi saranno puniti per legge con un periodo variabile tra i 5 ed i 15 anni di precarietà. Che il tuo stipendio varierà tra gli 820 euro (da quasi 10 anni mai riadeguati all’inflazione) della borsa di dottorato ed i 1100 euro dell’assegno di ricerca, che la maternità, la malattia ed i contributi previdenziali saranno per te un irraggiungibile presagio di civiltà. In più il rinnovo del tuo contratto o del tuo assegno sarà subordinato alla “spendibilità” della tua ricerca: fai in modo che le tue idee coincidano con quelle del professore che potrà rinnovarti il contratto o che l’azienda che finanzia la tua borsa possa trarre profitti dai risultati delle tue ricerche (con buona pace dell’“utilità sociale”…).

M. prima di vincere il concorso di dottorato a Milano viveva a Firenze. Dopo la laurea ha fatto un master, dopo il master uno stage (rigorosamente non retribuito) al Pignone, ex-grande industria metalmeccanica, divisione Risorse Umane. Alla fine dello stage il suo capo le suggerisce di iscriversi all’Adecco: così l’avrebbero tenuta in quella divisione altri sei mesi come interinale. Lo stesso giorno della scadenza del primo contratto semestrale a M. viene comunicato che l’azienda ha deciso di rinnovarle il contratto per altri sei mesi. “Fino all’ultimo giorno non sapevo se disdire l’affitto della casa”, mi ha raccontato. Dopo un anno come interinale, contratto metalmeccanici, M. ha mollato. La politica del personale della General Electrics, proprietaria del Pignone, è spietata. Nella divisione Risorse Umane si vedono cose terribili – mi racconta – e poi ho sempre desiderato continuare a studiare, fare ricerca e sentirmi più utile…

M. si trasferisce a Milano piena di entusiasmo per il nuovo lavoro in Università. Il monolocale in periferia dove vive costa 550 euro al mese (la questione della casa, nelle grandi città, è una vera e propria emergenza sociale) e la borsa che percepisce (bimestralmente) ammonta a circa 820 euro. I contributi si versano nel fondo INPS per i parasubordinati (lo stesso dei co.co.co), ma l’idea della pensione è ancora remota ed M., seppur con disagio, può ancora contare sull’aiuto dei suoi.
Col passare dei mesi e con l’accendersi del dibattito e delle mobilitazioni contro il disegno di legge Moratti (“la precarietà fa bene alla ricerca!”, ha sostenuto la Ministra durante la presentazione del d.d.l.) M. si rende conto che la precarietà della sua condizione non è solo un dato materiale con cui fare i conti (l’affitto, l’impossibilità di progettare il futuro col suo compagno, l’incertezza del post-dottorato), ma che la ricattabilità della condizione precaria rende meno libero il suo lavoro di ricerca.

Con questa consapevolezza M. ha partecipato alle mobilitazioni dei precari della ricerca in questi mesi, con la stessa consapevolezza, durante il MayDay (il Primo Maggio dei precari milanesi e non solo), ha urlato il suo NO alla legge 30 ed alla precarietà come sistema di vita.
Da qualche settimana la nostra mobilitazione si è tradotta, grazie al lavoro comune con il sindacato della ricerca della Cgil (Snur-Cgil), nella costruzione di una piattaforma rivendicativa sulla base della quale abbiamo aperto una trattativa con l’Ateneo ed il Rettorato. Dopo l’esperienza di Milano altre mobilitazioni di ricercatori precari in altre città hanno raggiunto esiti simili, come nel caso di Bologna e Napoli, grazie al lavoro in rete che si è fatto tra le realtà in mobilitazione.
La nostra lotta però non finisce qui: quest’autunno il ddl Moratti vedrà ulteriori passaggi di discussione parlamentare mentre noi continueremo a mobilitarci per il suo totale ritiro.

settembre - dicembre 2004