Per un Governo di guerra o di pace?
di
Nino Mastropierro

L’esito delle elezioni europee ha ridato fiato alla sinistra, non tanto per il risultato complessivo da essa ottenuto, quanto per la crisi di consenso manifestatasi nei confronti della destra, in particolare del partito di maggioranza relativa, Forza Italia, e del suo capo indiscusso. La possibilità che il centro-sinistra e Rifondazione Comunista, alleati, possano sconfiggere, nel 2006 l’attuale maggioranza parlamentare ha riaperto il dibattito a sinistra sia sulle modalità con cui si potrebbe arrivare a costituire l’alleanza, sia su chi potrebbe guidarla, che sui contenuti. Un dibattito dagli esiti non scontati, considerato che l’eventuale alleanza fra il centro-sinistra e la sinistra d’alternativa si sta giocando come su una scacchiera. Una questione ci sembra la più rilevante fra quelle che gli strateghi del centro e delle sinistre devono affrontare: quali dovranno essere le linee strategiche di politica estera e di difesa del prossimo (eventuale) governo. Ovviamente problemi ci saranno anche sulle scelte di politica economica e sociale ma, a nostro avviso, proprio sulla politica estera si riverbera lo stato della democrazia nel nostro paese. Nella guerra scatenata da Stati Uniti e Inghilterra contro l’Iraq il nostro paese ha deciso di intervenire da occupante perché convinto di poter svolgere la sua parte nella divisione internazionale del “lavoro” di guerra che trova la sua giustificazione teorica nella “Strategia della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti d’America – settembre 2002” dell’attuale amministrazione americana. L’applicazione di quella strategia all’attuale fase della situazione internazionale trova giustificazione nell’intervento (pubblicato il 20 agosto scorso da Liberazione) del sottosegretario americano alla Difesa, Douglas J. Feith, al Policy Center for Strategic and International Studies il 3/12/03. Dice Feith che il presidente Bush ha proposto ai suoi collaboratori, fin dal giorno del suo insediamento, un impegno particolare: quello della “trasformazione”: I) nei rapporti con la Russia considerata non più come potenza ostile; II) nelle alleanze, con una Nato “più ampia e con capacità militari sempre crescenti”; III) nelle capacità militari degli USA, cioè “le strategie, le tecnologie e l’organizzazione, ma anche gli equipaggiamenti”. Se durante la guerra fredda le forze utilizzate non erano agili e veloci, oggi sono proprio queste le qualità che si richiedono agli uomini impiegati in missioni di guerra. Dopo l’11 settembre sono mutate le “circostanze strategiche” anche a causa delle “capacità di terroristi e ‘stati canaglia’ di disporre di armi di distruzione di massa e di utilizzarli contro gli Usa e i suoi alleati.” Le nuove “circostanze strategiche” inducono gli USA a ridistribuire le loro forze in virtù del “valore strategico delle nostre alleanze e partnership difensive con altri stati”. Ciò comporta la creazione di nuove basi americane su scala planetaria da cui trasferire le truppe ovunque sia necessario per far fronte alle “molte incertezze strategiche del mondo.” Per affrontare le nuove necessità strategiche (minori spese e maggior coinvolgimento di truppe di stati satelliti) gli Usa puntano su “risorse e relazioni per cooperare con gli alleati e gli amici in materia di sicurezza…” ”Riposizionando le forze degli USA si rafforzano anche le alleanze … le nostre forze saranno dispiegate in regioni selezionate allo scopo di raggiungere rapidamente i potenziali teatri di crisi, ma anche di mantenere una buona conoscenza di varie parti del pianeta.” Chi non ricorda la guerra umanitaria in Kosovo o quella contro il terrorismo in Afghanistan? O l’altra in corso in Iraq per le inesistenti armi di distruzione di massa? Al di là delle motivazioni di facciata la conseguenza reale di quelle guerre è stata ed è il controllo di nuove “regioni selezionate” su cui impiantare nuove basi per “far sì che le forze possano essere dispiegate rapidamente nelle zone in cui gli eventi lo richiedono”. Agli alleati spetta sia di costruire basi efficienti sul proprio territorio che fornire forze pronte all’uso. Gli USA dal canto loro hanno aggiornato le loro capacità tecnologiche in ambito militare come stanno dimostrando le guerre in Afghanistan e Iraq ove “forze anche relativamente piccole possono ottenere effetti rilevantissimi sul piano strategico…” e se le forze più o meno speciali degli Usa commettono nefandezze e abusi, possono star tranquille perché il loro governo le proteggerà, con gli strumenti che la diplomazia consente o tollera, dalla curiosità della Corte Penale Internazionale. Fin qui il pensiero dell’amministrazione statunitense sulla nuova strategia militare dell’impero nell’ambito della visione guerroristica del mondo determinata dalla teoria e dalla pratica della guerra preventiva ed infinita. In questo quadro la funzione attribuita all’Italia è quella di eseguire le decisioni sia del Pentagono che della Nato, al punto d’essere organica al sistema delineato dal sig. Feith con la partecipazione diretta (con uomini e mezzi) e indiretta (con sole basi) alle operazioni militari dell’impero. Dando per scontata la fedeltà della destra ai desideri degli Usa non stupisce l’allineamento del governo attuale alle decisioni prese da Usa e Nato. D’altro canto, però, non ci sembra che i maggiori partiti del centro-sinistra si comportino in modo molto diverso nei confronti della potenza imperiale e cioè che, ad esempio, abbiano fatto particolari rimostranze al fatto che il comando della marina statunitense, destinato a lasciare Gaeta per la Spagna, abbia poi deciso di spostarsi a Taranto, oppure al fatto che Napoli dovrà ospitare il quartier generale della marina americana del Nord Atlantico, che era già di stanza in Gran Bretagna. Il sig. Feith parla di “trasformazione” e, sostanzialmente, la trasformazione, per quanto ci riguarda, interessa in particolare la sovranità del nostro paese ed il rispetto delle sue leggi. Della sua legge fondamentale, soprattutto. Non sfugge a nessuno il fatto che il trasferimento del quartier generale della marina Usa avvenga proprio in Italia, cioè nel cuore del Mediterraneo: le strade del petrolio confluiscono lì e, per l’utilizzo delle forze “agili” proposte dal sottosegretario americano Feith, il posizionamento delle strutture di comando Usa in pieno Mediterraneo è straordinariamente favorevole. Tanto per tenere a bada il mondo arabo.
Se questa è la situazione del nostro paese negli anni bui del governo di destra, quale politica estera sarà possibile ipotizzare da parte di un eventuale futuro governo di centro-sinistra? Ci viene in soccorso Giuliano Amato con un articolo apparso su Repubblica il 20 agosto scorso. Amato ritiene indispensabile dialogare con le anime moderate e filoamericane dell’elettorato, per scardinarle dalla fascinazione della destra. Ed è convinto che il recupero di questo elettorato non può che condizionare le scelte di politica estera del centro-sinistra. “Deve essere chiaro a noi del centro-sinistra che la relazione transatlantica non possiamo lasciarla alla destra come un’arma da brandire contro di noi. Primo, perché non sono solo di destra gli italiani che la considerano un valore…secondo, perché non è da posizioni antagonistiche agli Usa che è possibile governare l’Italia… E qui viene il punto: perché apparire tra i tifosi di Kerry e partecipare (con Fassino e Rutelli, n.d.r.) alla sua convenzione non è bastato e non basta a fugare il rischio di risultare schiacciati laddove la destra ci vorrebbe schiacciare? A parte la persistenza d’un estremismo antiamericano, pronto a dire ‘questo o quello per me pari sono’, è legittimo il dubbio che il rovesciamento d’impostazione che noi ci aspettiamo vada oltre il reale.” In poche parole, in caso di vittoria dei democratici non sarà da aspettarsi che il presidente sia “il compagno Kerry” né che la nuova amministrazione americana diventi un “alleato simileuropeo del duo franco-tedesco”. Se il prossimo presidente sarà democratico, continua Amato, il massimo che poteremmo aspettarci dagli Usa, nelle relazioni transatlantiche sarà una maggiore attenzione all’Europa, ma “sempre nel contesto d’una ‘missione’ per lui prioritaria, quella di garantire la sicurezza degli americani e di combattere i loro nemici.” Di conseguenza, nei rapporti con l’amministrazione democratica, l’eventuale futuro governo di centro-sinistra non potrà sottrarsi dalle nuove necessità: l’Europa e gli Usa dovranno avere in “agenda” elementi di programma comuni. “E’ chiaro che questo chiede a noi assunzione di responsabilità superiori a quelle che ci siamo prese finora… Ci potrà anche essere chiesto di concorrere ad azioni militari. Potremo opporre, in questo contesto, pregiudizievoli obiezioni di principio?...O che neppure su sua richiesta potremo fornire al governo iracheno (quello creato dagli occupanti? n.d.r.) assistenza militare, non alla spicciolata, ma su comune decisione europea?” Per rispondere a queste questioni è opportuno contrastare “ostilità e pregiudizi”, tenendo presente “ il nuovo senso di responsabilità di cui si è fatto interprete Fausto Bertinotti…” Abbiamo voluto presentare queste due posizioni per cercare di capire meglio la portata delle questioni in campo: il sottosegretario –repubblicano e conservatore- alla Difesa americano dice sostanzialmente: abbiamo la capacità militare, grazie all’uso della tecnologia ed all’apporto degli alleati (Italia compresa, per quello che abbiamo già visto), di controllare il mondo. Giuliano Amato, che è convinto atlantista e culturalmente affine ai democratici americani, affronta direttamente il problema del rapporto Italia-Usa e invita il centro-sinistra a non esasperare la polemica con gli Usa perché, in caso di vittoria di Kerry, Europa e Stati Uniti potranno cercare di migliorare le cose del mondo. Anche ricorrendo alla guerra. Delle cose dette da Feith c’è poco da commentare; qualcosa vorremmo dire delle argomentazioni di Amato: ad esempio il riferimento “alle comuni responsabilità” quando la chiamata alle armi verrà fatta da Kerry. “Ci potrà anche essere chiesto di concorrere ad azioni militari. Potremo opporre in questo contesto pregiudizievoli obiezioni di principio?” L’ex presidente del consiglio si riferisce, probabilmente, all’articolo 11 della Costituzione e, francamente, stupisce il fatto che chi ha ricoperto alti incarichi istituzionali possa ritenere “pregiudizievoli obiezioni di principio” la nostra carta fondamentale. Nell’articolo scritto per Repubblica dall’ex presidente del consiglio il problema centrale è proprio quello della guerra: il rapporto con gli Usa se spinge le forze progressiste italiane a cercare il consenso tra i moderati, innesca in realtà ben altri problemi e sono quelli che i pacifisti, e fra essi Rifondazione Comunista (come ribadisce in un’intervista di fine agosto Bertinotti ad Avvenimenti), hanno posto all’ordine del giorno, nella loro avversione all’attuale processo di globalizzazione : il rifiuto della guerra come avversione al fenomeno più grave prodotto, in nome del profitto, dallo sfruttamento di uomini e risorse naturali su tutto il pianeta. E nei fatti il nocciolo del problema nei rapporti tra sinistra di alternativa e le altre forze politiche sta in questo: mentre tra le forze conservatrici e moderate la differenza è sul rispetto delle regole, il divario tra queste forze e la sinistra d’alternativa è, in ultima analisi, sulla difesa della pace contro le mene delle multinazionali divoratrici di risorse in tutto il mondo. Se Amato ammette la possibilità della guerra perché ci sono comuni responsabilità tra alleati, la sinistra di alternativa esclude quella possibilità non “per pregiudizi” ma perché ne contesta la ragione d’essere. In sostanza si capisce perché la borghesia nazionale, nel suo complesso (moderata e reazionaria) voglia modificare la Costituzione nata dalla resistenza: perché questa non risponde più alle esigenze che la stessa borghesia avverte. E se le modifiche non si riescono a fare per tempo a causa di ovvie e varie resistenze, allora si ricorre alla Costituzione europea che, nella sua ottica liberista, consente di tutto.
Attualmente le dinamiche tra le forze politiche nel nostro paese sono grosso modo queste: la destra sta facendo il lavoro “sporco” di demolizione dell’assetto politico e sociale nato dalla resistenza, avendo la mente rivolta a tristi ambizioni verso altissimi seggi istituzionali, trovando debole resistenza a sinistra, perché il centro-sinistra in sostanza lascia fare, non erge barricate, cerca solo di porre un argine alle numerose debordazioni causate dagli interessi privati e dagli strafalcioni extraistituzionali dei vari componenti del governo. La sinistra d’alternativa è troppo debole per contrastare un piano elaborato nei minimi particolari da diversi anni dalla destra reazionaria. Per porre un argine ai guasti più profondi prodotti dall’attuale governo il centro-sinistra e Rifondazione Comunista hanno dichiarato, come dicevamo agli inizi di questo articolo, di voler trovare un accordo. E le differenze sono numerose ma non riguardano solo la politica estera. Se la sinistra d’alternativa (movimenti, Rifondazione, Verdi, ecc…) chiede a gran voce che si modifichino o si annullino leggi come quelle della disarticolazione della scuola pubblica, della sanità, delle pensioni, del lavoro, ecc… Rutelli replica che non si possono modificare le cose in questi settori ad ogni cambiamento di maggioranza parlamentare, lasciando intendere che la sostanza di quasi tutti i provvedimenti di modifica dello stato sociale presi dal governo in carica dovrà essere rispettata dal prossimo governo. Allo stato delle cose, quindi, al di là delle modalità con cui si sceglieranno programmi e uomini alternativi alla destra, per certo abbiamo questo dato: è auspicato da diversi soggetti un accordo tra Rifondazione Comunista e centro-sinistra. Rifondazione Comunista vorrebbe garantire la partecipazione dei movimenti all’elaborazione del programma ed indurre il variegato mondo della sinistra a far fronte comune contro la destra; il centro-sinistra vorrebbe coprire le ansie dell’elettorato democratico e moderato per isolare la destra. E tuttavia le cose non sono così semplici perché sia nello schieramento di centro-destra che nell’altro ci sono profonde divergenze. Non sono un mistero i litigi tra i partiti della destra né è un mistero il desiderio di protagonismo dell’UDC; d’altro canto, in maniera speculare, è evidente il desiderio di protagonismo dell’UDEUR, nel centro-sinistra, ed il lavorio in cui si sta esercitando Rutelli di ricostruire un grande centro moderato, di possibile ispirazione confessionale, che faccia da contrappeso ai DS nel centro-sinistra e che, soprattutto, tenga ai margini definitivamente la sinistra d’alternativa e le sue chimere su programmi, pacifismo e “antiamericanismo”. Allora, dato per scontato, che per gli USA l’Italia è un alleato satellite e che per le forze politiche sia reazionarie che moderate di casa nostra la condizione di satellite non viene messa in discussione, perché la sinistra d’alternativa e tra questa Rifondazione Comunista dovrebbe fare alleanza col centro-sinistra una cui parte da tempo ha mostrato di non gradirne la compagnia? Bertinotti ha spiegato in diverse interviste che per il suo partito è prioritario sconfiggere le destre e che per ottenere questo risultato si può ricorrere, se necessario, allo strumento delle primarie per stabilire sia il candidato premier che il programma. In questa proposta di Rifondazione Comunista c’è qualcosa di più di una disponibilità a trattare con possibili futuri alleati: c’è necessità di recuperare la grande fascia di elettori insoddisfatti dalle scelte compiute dal centro-sinistra negli ultimi anni e comunque preoccupate che la divisione a sinistra possa favorire ancora una volta la destra; ma c’è anche la preoccupazione che un nuovo isolamento finisca per penalizzare Rifondazione Comunista non consentendole, alle prossime elezioni politiche, di raggiungere il quorum per essere presente in parlamento: che è come dire che i conflitti sociali, sempre numerosi e talvolta gravi in Italia, potrebbero essere considerati da allora in poi come manifestazione di eversione. In sostanza il confronto in atto, a sinistra, vede gli attori giocare su questioni che non sono solo di principio e ancora una volta la portata del confronto è quanto dello stato sociale potrà essere salvato o migliorato, quale tipo di democrazia sarà consentita agli italiani, quale futuro ci spetterà se di pace o di lutti per altri oltre che per noi.

settembre - dicembre 2004