Iconografia di Dio Padre
di
Giuliana Tatulli

La nostra storia dell’arte, almeno fino al periodo contemporaneo, è per massima parte arte sacra e rappresenta personaggi e temi di carattere religioso, dalle più semplici icone raffiguranti Gesù, la Madonna e vari Santi, alle più complesse composizioni illustranti episodi delle sacre scritture. Ma per quanto si cerchi non si trovano icone che rappresentino la figura di Dio Padre isolata. Essa, quando appare, è da ricercare in contesti più complessi, e ha dato origine a vari modelli iconografici che si sono diffusi in varie aree geografiche e in varie epoche.
La religione ebraica, che è alle origini del cristianesimo, condanna la rappresentazione in forma umana di Dio ed oppone un netto rifiuto all’arte figurativa. L’Antico Testamento riporta numerosi esempi del danno arrecato dalla creazione di idoli scolpiti o dipinti, capaci di confondere l’animo umano, fino a sostituirsi a Dio.
La religione cristiana, invece, comprende le grandi potenzialità comunicative delle immagini sacre ai fini dell’indottrinamento dei fedeli analfabeti e favorisce lo sviluppo di rappresentazioni figurate che diventano la Biblia pauperum. Tuttavia nel cristianesimo delle origini non si conoscono rappresentazioni della Trinità, probabilmente perché c’era una certa riluttanza a rappresentare in modo naturalistico la prima persona della Trinità, che essendo invisibile non poteva essere conosciuta, si preferiva quindi una rappresentazione in forme simboliche. Agli inizi, il mondo cristiano adotta il repertorio iconografico del mondo pagano, attribuendo ad esso un nuovo significato religioso, poi elabora tutto un nuovo repertorio di immagini sia di carattere simbolico che figurativo adatto ad interpretare i valori della cultura cristiana.
La persona di Dio Padre è stata interpretata in vario modo nella tradizione pittorica occidentale, inserita in vari modelli iconografici. La ritroviamo variamente raffigurata, come mano benedicente o che regge una corona, come occhio, come triangolo, come alone luminoso, somigliante a Gesù o come un vecchio patriarca con la barba fluente, talvolta col globo terracqueo in mano o con lo scettro a simboleggiare la supremazia della Chiesa, nelle rappresentazioni della Trinità, nelle Assunzioni della Vergine, nelle scene della creazione del mondo e in tanti altri modelli iconografici religiosi.
A Ravenna, nella Basilica di San Vitale, nella scena dove è narrata l’ospitalità di Abramo e il sacrificio di Isacco, Dio è rappresentato da una mano, la dextera Dei, rappresentazione simbolica della volontà divina, che squarcia le nubi ed interviene ad interrompere in extremis il sacrificio. Ancora a Ravenna, nel grande catino absidale di Sant’Apollinare in Classe, in alto, al vertice, sulla grande croce gemmata, rappresentazione simbolica di Cristo, appare di nuovo la dextera Dei, e traduce in immagini la trasfigurazione di Gesù per volontà di Dio Padre. Questo modo simbolico di interpretare la prima persona della Trinità, ha molto successo, e lo ritroviamo in varie aree geografiche per diversi secoli. La mano di Dio squarcia l’azzurro per benedire Francesco che ad essa volge lo sguardo e le mani giunte in preghiera nella Rinuncia ai beni terreni del trecentesco ciclo giottesco della Basilica Superiore di Assisi. Le mani di Dio porgono a Mosè, tutto proteso verso Lui, le due dorate Tavole dei Comandamenti nel Mosè riceve le Tavole della Legge di Chagall (pittore che nel Novecento rivoluziona la tradizione pittorica ebraica) e il gesto che unisce l’uomo a Dio apre uno spiraglio di luce che illumina il popolo eletto rappresentato in trepidante attesa.
L’occhio come rappresentazione simbolica di Dio appare molto diffuso. Nell’iconografia rinascimentale spesso compare iscritto in un triangolo con riferimento alla Trinità. Nella Cena in Emmaus di Pontormo del 1525, conservata agli Uffizi a Firenze, la scena è sovrastata da un grande triangolo con un occhio al centro in un alone luminoso che si staglia sullo sfondo in ombra. In realtà, questo dettaglio così vistoso nel dipinto, non fu opera di Pontormo, ma un’aggiunta posteriore per conformare la rappresentazione ai nuovi dettami della Controriforma che indicava il triangolo occhiuto come iconografia ufficiale della Trinità. La rappresentazione dell’occhio ebbe molta fortuna anche in area nordica, dove si trovano particolari interpretazioni di questa forma. In un’opera attribuita a Bosch, I Sette Peccati capitali, i peccati vengono raffigurati in un cerchio identificabile con l’occhio di Dio, al cui centro è rappresentata la figura di Cristo eretta sul sepolcro. Ancora in Bosch, verso la fine del Quattrocento, troviamo una singolare rappresentazione di questa forma nella Storia della Passione. Il centro (la parte corrispondente alla pupilla) è occupato dall’immagine del pellicano, rappresentazione simbolica di Cristo; infatti il pellicano che si squarcia il petto per nutrire i suoi piccoli diventa metafora di Gesù che col proprio sangue redime il mondo, intorno (nell’iride) sono rappresentate le varie scene della Passione.
Molto più spesso, soprattutto nella pittura del Seicento e del Settecento, ma non mancano esempi in epoca precedente, Dio è rappresentato come un accecante fascio di raggi luminosi. Non dobbiamo dimenticare che già in epoca medievale Dio era inteso come luce del mondo e proprio per questo le grandi cattedrali gotiche erano state costruite con grandi vetrate policrome da cui abbondante doveva entrare la luce che doveva circondare il fedele, prefigurando la luce divina in cui si sarebbe trovato immerso nella Gerusalemme Celeste. Nel cielo scuro e tempestoso della Beata Michelina di Federico Barocci, nei Musei Vaticani, un alone luminoso squarcia drammaticamente le tenebre illuminando la beata, è la luce di Dio e la luce è Dio. In una tavola di Bosch raffigurante l’Ascesa all’Empireo, le anime nude, accompagnate da un numero di angeli decrescente man mano che si sale, sembrano attratte e risucchiate da un bagliore accecante che si accende in fondo al tunnel. Nella Tempesta di Giorgione, secondo l’interpretazione di Salvatore Settis, il fulmine luminoso che squarcia il cielo plumbeo, denso di cumuli di nubi minacciose, preannunciando l’imminente tempesta, è Dio adirato con Adamo ed Eva. Raggi non più luminosi, ma questa volta neri e minacciosi sono quelli rappresentati da Masaccio, nel 1425 nella Cappella Brancacci a Firenze, nella Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, per simboleggiare l’ira di Dio nei confronti di Adamo ed Eva che hanno disobbedito.
Quando a partire dal X secolo comincia a diffondersi il modello iconografico della Trinità in forma antropomorfa comincia a diffondersi l’immagine in sembianze umane di Dio Padre. Fino al IX secolo, la Trinità veniva solitamente rappresentata in forma simbolica, l’immagine più frequente era quella di tre cerchi concentrici, ma poteva essere anche un trifoglio, o un gruppo di tre angeli della stessa statura o una croce Tau. A partire dal X secolo va progressivamente scomparendo il ricorso al puro simbolismo e si diffonde un nuovo modello iconografico costituito da tre figure maschili quasi identiche ciascuna con gli attributi che la contraddistingue: Dio Padre porta una corona sul capo, il Figlio, seduto alla destra del Padre, porta una croce, lo Spirito Santo una colomba. Più o meno nello stesso periodo, però, viene proibita dalla Chiesa la rappresentazione antropomorfa dello Spirito Santo e così, la colomba entra a far parte della triade divina. Nel corso del XIII secolo si afferma una nuova iconografia, però ben presto vietata dalla Chiesa: una sola persona seduta su un trono con tre volti. Si diffonde un altro modello iconografico della Trinità che ha larga diffusione e per molto tempo: Cristo in croce, sostenuto da Dio Padre posto più in alto dietro la croce e lo Spirito Santo in forma di colomba. Nella Trinità masaccesca di Santa Maria Novella del 1426 Dio Padre in piedi dietro la croce, secondo un’iconografia già ampiamente diffusa in ambito gotico ed entrata nell’iconografia fiorentina alla fine del Trecento, al vertice della composizione piramidale domina l’intera scena. E’ un uomo maturo dall’aria solenne con barba e capelli lunghi, un’aureola dorata, indossa una tunica rossa coperta da un manto blu, e l’inquadratura frontale ne accresce la maestosa sacralità. Nell’Adorazione della Trinità di Durer, in alto Dio Padre dietro la croce, con lunga barba e una tiara sul capo, coperto da un grande manto dorato foderato di colore verde, rappresenta la potenza dell’Essere Supremo, mentre il Figlio in croce rappresenta l’intelligenza divina e l’amore che redime l’umanità. Nell’Incoronazione della Vergine di Enguerard Quarton (metà ‘400) la rappresentazione speculare della stessa figura umana sia nelle vesti del Padre, che del Figlio, fa riferimento al dogma dell’incarnazione del Verbo e la croce Tau rappresentata nelle aureole è simbolo della grazia, la divisione della scena in tre fasce distinte: il cielo, la terra e gli inferi è un ulteriore riferimento alla Trinità. Un’interpretazione tardo medievale sul tema della Trinità, molto diffusa in area germanica nel corso del XV secolo, di Jean Malouel Santissima Trinità e compianto, vede Dio Padre come un anziano padre affettuoso che con sguardo di potente intensità regge tra le braccia il corpo esanime di Cristo, con uno strano richiamo ad un altro modello iconografico quello della Pietà.
Dal modello iconografico della Trinità originano due modi di rappresentare in sembianze umane Dio Padre. Il primo, che si diffonde in epoca più antica, vede Dio Padre rappresentato simile a Gesù, il secondo, dal XII secolo in poi, soprattutto in Francia e nell’Italia settentrionale, vede Dio Padre raffigurato come un vecchio patriarca con la lunga barba fluente. Vediamo Dio rappresentato come Gesù nel mosaico della creazione dell’uomo nella Basilica di San Marco a Venezia, dove ha sul capo l’aureola a forma di croce, tipico attributo di Gesù, e con lo scettro in mano simbolo dell’autorità divina. Ancora nella Basilica di San Marco, nella scena della cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre, Egli stesso li spinge materialmente fuori dall’Eden prendendoli per le spalle, dopo averli coperti di vesti secondo una consuetudine tutta orientale che vuole che sia il padre di famiglia a preparare le vesti per i figli in segno di protezione e dignità. Qui Dio è rappresentato come un padre che, pur adirato, vuole difendere e conferire dignità ai propri figli. Anche il Dio rappresentato nel Duomo di Modena nei rilievi scolpiti con scene della Genesi, opera di Wiligelmo (1099-1106 circa), ha nell’aureola la croce. All’inizio affiora a mezza figura dalla mandorla di gloria, simbolo della maestà divina, con in mano un libro aperto su cui si legge “Lux ego su(m) mundi-via verax vita perennis”. Di seguito rappresentato di tre quarti, con una lunga veste panneggiata, con gesto deciso infonde vita nel corpo di Adamo e con fare affettuoso trae Eva dal corpo di Adamo e tenendola teneramente con una mano le infonde vita benedicendola con l’altra. Ancora nel tardo Quattrocento, ma in area nordica, la figura di Dio confusa con quella di Gesù appare nel Paradiso Terrestre di Bosch.
La figura di Dio come vecchio patriarca è davvero molto diffusa, sia a figura intera insieme alle altre figure delle scene sacre rappresentate, sia a mezza figura come testimone degli avvenimenti sacri che vengono narrati. Nella Trinità del senese Marco Pino, nella seconda metà del Cinquecento, conservata nella Pinacoteca di Bari, Dio, a figura intera, seduto su un trono di nuvole, alla presenza dello Spirito Santo, una bianca colomba al centro di un alone luminoso, incorona Cristo. L’Eterno è una figura possente, il volto severo e la lunga barba bianca, vestito di una tunica azzurra e un manto rosso foderato d’oro. Nella Disputa del Sacramento di Raffaello nelle Stanze Vaticane, abbiamo la Chiesa trionfante attorno alla figura di Cristo risorto in una grande aureola, alla sua destra la Madonna e a sinistra San Giovanni Battista, in alto nella gloria degli angeli, Dio Padre, a mezzo busto, con il globo terracqueo nella sinistra, benedice con l’altra mano. Il successo di questo tipo iconografico resiste nel tempo e, pur con delle varianti lo troviamo ancora nella pittura dell’Ottocento e del Novecento. Molto suggestiva è l’immagine di Dio ne L’Origine del Mondo di William Blake, dei primi decenni dell’Ottocento: in un cerchio luminoso giallo e rosso che squarcia le tenebre, Dio è rappresentato come un uomo nudo, dalla possente muscolatura, accovacciato in avanti con un braccio proteso verso il basso, il volto chinato e una lunga capigliatura e la barba bianca agitate dal vento. Nella Processione dei Penitenti di Furnes dell’espressionista Ensor (1913) ai Musei Vaticani, nella animata via crucis rappresentata, tra le figure più grandi in primo piano, appare Dio Padre caratterizzato dal colore blu, colore usato anche per Giuseppe, creando così un simbolico legame tra le due figure paterne.
Ma chi più di tutti ha meglio saputo rappresentare la grandezza e l’onnipotenza di Dio è forse Michelangelo. La volta della Cappella Sistina sembra l’apoteosi dell’immagine di Dio come vecchio patriarca. Nelle scene della Genesi, dipinte agli inizi del ‘500, Dio appare in tutta la sua onnipotenza. La sua figura possente e muscolosa appare maestosa reiterata più volte nelle cinque scene dedicate alla creazione del mondo. La Separazione della luce dalle tenebre è l’atto iniziale della creazione dell’Universo. Qui Dio occupa quasi tutta la composizione, coperto da una veste rosea che non nasconde la possente muscolatura, con atto deciso separa le masse chiare da quelle scure. Nel riquadro successivo in cui crea le piante, il sole e la luna, sono unite due giornate della creazione e così Dio appare due volte, di prospetto, e, con grande virtuosismo di scorcio di schiena, lasciando intravedere attraverso la veste quasi trasparente le terga, con i lunghi capelli canuti scomposti ed agitati dal vento, quasi a sottolineare l’infinita mobilità di Dio: l’essere qui e altrove contemporaneamente. Nella Separazione delle acque Dio ancora rappresentato in volo, in un mirabile sottinsù, circondato da un grande manto rosa gonfio di vento domina ancora la scena con fare grandioso. Nella Creazione di Adamo Dio ancora con la sua corta e semplice tunica rosa sorretto da dodici angeli privi di ali, con accanto una figura femminile con un bambino, la Madonna e Gesù, nel manto di un rosa più scuro gonfiato dal vento, col semplice accostare del suo indice a quello di Adamo riesce ad infondere vita nel corpo del primo uomo, infine nella Creazione di Eva Dio appare non più in movimento, ma calmo e solenne, di profilo, coperto da un pesante mantello panneggiato sembra istruire Eva su ciò che è concesso e ciò che è proibito nell’Eden. Ciò che ci resta negli occhi è la grandezza e la semplicità di quel gesto di un indice proteso verso un’altra mano.

settembre - dicembre 2004