Cogito e follia
di Mario Centrone

Il problema da porre è il rapporto fra pensiero e follia nella prima instaurazione del Cogito, la fase successiva al dubbio iperbolico, la rimozione e la scissura che l’io opera in rapporto alla propria corporeità e a quella degli altri. Nel momento in cui l’io pone se stesso come soggetto pensante non esiste come pulsione, desiderio sessuale, istinto di vita o di morte, non esiste come corpo. L’emersione del soggetto pensante caccia ai margini del pensabile la possibilità della follia, un soggetto che pensa non può essere folle; il pensiero razionale dell’uomo occidentale definendosi come dominio sul mondo non può comprendere la follia come una delle possibilità del soggetto.
“ Il mio punto di partenza può sembrare sottile e artificioso. Nel libro Folie et déraison. Histoire de la folie à l’age classique Michel Foucault dedica tre pagine ad un passo della prima delle Meditazioni cartesiane in cui la follia, la stravaganza, la demenza, l’insanità, paiono allontanate, escluse, espulse dal cerchio di ogni dignità filosofica, private del diritto di cittadinanza filosofica, del diritto alla considerazione filosofica, revocate immediatamente dopo esser state convocate da Descartes innanzi al tribunale, alla suprema istanza di un Cogito che, per essenza, non può essere folle.” (1)
Questo processo, coniugandosi con il definirsi delle prime forme di produzione capitalistica, segna l’inizio dell’età moderna e l’avvio delle pratiche disciplinari. La nave dei folli deve essere insediata in luoghi più stabili, facilmente controllabili, perimetrati, sia che assumono la forma di conventi sia quella di case di cura, carceri, collegi, caserme, quartieri dormitorio, scuole. La tensione fra pensiero e follia non può prescindere dal silenzio inteso sia come impossibilità di accedere alla parola, mancanza di istruzione, analfabetismo sia come rifiuto della parola. Che te lo dico a fare? Che cosa dico, perché lo dico? Che cosa posso dire contro l’inerzia del mondo e delle cose.
“ Attraverso tutto il libro ricorre questo tema che lega la follia al silenzio, alle parole senza linguaggio o senza soggetto parlante,
<< mormorio ostinato di un linguaggio che parlerebbe da solo; senza soggetto parlante e senza interlocutore, rannicchiato in se stesso, stretto alla gola, sprofondato prima di aver raggiunto qualsiasi formulazione, e ritornato senza strepito al silenzio da cui non si è mai separato; radice calcinata del senso>>. Fare la storia della follia stessa, è dunque fare l’archeologia di un silenzio.” (2)
Tutta la storia del pensiero occidentale moderno dimostra che la razionalità si è configurata come apparato di cattura delle esigenze del singolo, della follia dei folli, dello spazio del soggetto. Le anomalie selvagge del pensiero, come le filosofie di Bruno, Spinoza, Nietzsche, Artaud hanno espresso la stessa esigenza con il rifiuto di inserirsi in un orizzonte di significazione, la dimensione del si dice, le même, lo stesso, l’essere guardato, giudicato, censurato, il posto di assegnazione, lo stare nei ranghi, le caserme. (3) Il grande imprigionamento è avvenuto in primo luogo nell’attività del pensiero, pensare con ragione, con metodo, le regulae ad directionem ingenii, le scholae, le scuole, la riduzione della filosofia a disciplina, il corpo disciplinato, il corpo docile, addomesticato, non infettato dal sesso. L’uomo di ragione asessuato, il castrato.
Sotto questo profilo se “ la follia è pervertimento dei sensi – o della immaginazione – essa appartiene al corpo, sta dalla parte del corpo.”
Vi è un punto di eccedenza del cogito rispetto alla totalità, il punto in cui il soggetto si pensa in rapporto alla totalità infinita, questo punto limite, questo punto al limite è il luogo originario della domanda, è il punto in cui lo spazio del soggetto si salda alla totalità infinita eccedendo su di essa pur essendone parte; in questo punto si apre la possibilità della follia; quando il soggetto si rapporta alla totalità infinita rischia di diventare folle, è un luogo solitario, da esso non tutti fanno ritorno, è il luogo della singolarità assoluta, incomunicabile, non esiste un registro per la domanda sulla totalità, l’unico registro è il mistico. La bellezza del Diavolo. In fondo cosa è il diavolo, il maligno? Che cosa è la follia nel suo vero significato? E’ il singolo che osa pensare la totalità infinita.
“ Anche se di fatto non accedo alla totalità, se non la comprendo né l’abbraccio di fatto, io formulo un tale progetto e questo progetto ha un senso tale che non si definisce se non nei confronti di una pre-comprensione della totalità infinita e indeterminata. Ecco perché in questa eccedenza del possibile, del diritto e del senso sul reale, sul fatto e sull’essere, questo progetto è folle e riconosce la follia come la sua libertà e la sua propria possibilità. Ecco perché esso non è umano nel senso della fattualità antropologica, ma metafisico e demoniaco: si riconosce prima di tutto nella sua lotta con il demone, con il Demone Maligno del non senso, e si misura alla sua altezza, gli fa resistenza, riducendo in sé l’uomo naturale. In questo senso nulla è meno rassicurante del Cogito nel suo momento inaugurale e proprio.” (4)
Nel pensare la totalità infinita, il momento eccezionale del pensare l’infinito è lo spazio della narrazione, lo spazio del soggetto narrante; uno spazio errante che non può definirsi in progetto costituito, ogni momento narrante risulta irripetibile e assume la forma di una preghiera solitaria. Che te lo dico a fare? Bisogna stare nei ranghi, bisogna essere normali. La follia del pensare l’infinito non rientra nella dimensione del pensiero normale.
Il pensiero normale, la razionalità occidentale ha avuto altri due momenti di grande espressione nell’Illuminismo e nella Fenomenologia di Husserl.
Il pensiero illuministico, pur rappresentando un momento di forte emancipazione della cultura occidentale, esprime la continuità del progetto cartesiano di instaurazione del Cogito. Se nobili e preti mantenevano bloccate le possibilità protagonistiche dei soggetti, la nuova classe borghese avanzava un progetto di trasformazione politica e culturale che rendeva universali le condizioni di realizzazione dei singoli attraverso le parole d’ordine di libertà, uguaglianza e fraternità. Tuttavia la razionalità astratta degli illuministi rimuove gli elementi pulsionali del sentire, lo stare al mondo come sogno e fantasia, lo spazio della vita come elementi irrilevanti nel processo di trasformazione. Il sogno, la fantasia,
les rêveries segneranno il declino di quella cultura e l’inizio del romanticismo. Un ulteriore momento di definizione egoica ed intersoggettiva della razionalità fu la fondazione trascendentale dell’episteme operata nella fenomenologia di Husserl. Con La crisi delle scienze europee il filosofo tedesco intendeva ridefinire il senso delle scienze formali che avevano perduto la direzionalità originaria nei confronti del mondo della vita. Il definirsi della scoperta all’interno di contesti linguistici e disciplinari specialistici non permette la domanda complessiva sul senso ultimo delle produzioni teoriche; per Husserl la formalizzazione dei saperi ha prodotto l’attenuazione, l’occultamento, la scomparsa della domanda sul senso dell’operare scientifico. Si può aggiungere che questo processo si accompagna alla prima cospicua affermazione della divisione tayloristica del lavoro intellettuale nell’ambito della società moderna. Tuttavia non si può ignorare il rapporto che anche nella Fenomenologia viene giocato con la dimensione della follia, si tratta di un non rapporto che caccia ai margini del pensare il pensiero folle e affida ai soggetti normali la possibilità di pensare.
“ Un giorno certo si scoprirà su quale terreno dogmatico e storicamente determinato la critica del deduttivismo cartesiano, lo slancio e la follia della riduzione husserliana della totalità del mondo hanno dovuto fondarsi. Mostrare come la neutralizzazione del mondo fattuale sia ( nel senso in cui neutralizzare significa anche padroneggiare, ridurre, lasciar liberi in una camicia di forza) una neutralizzazione del non senso, la forma più sottile di un colpo di forza. E in realtà Husserl andava sempre più associando il tema della normalità a quello della riduzione trascendentale. Il radicarsi della fenomenologia trascendentale nella metafisica della presenza, tutta la tematica husserliana del presente vivente è la garanzia profonda del senso nella sua certezza.” (5)
La fondazione trascendentale della scienza e del sapere si iscrive nel bisogno di certezza intrinseco al pensiero europeo; la mitologia bianca non ammette la follia, il pensiero magmatico, l’urlo come aspetti del pensare, il pensare folle, il pensare molteplice, il pensiero nomade. Vi fu nello stesso periodo un altro pensatore, che pur avendo rapporti con il positivismo logico, enunciò la necessità di un pensiero altro.
L.Wittgenstein dopo aver operato negli oscuri aforismi del Tractatus la riduzione del pensabile al dicibile, del dicibile a computabile, avverte la sterilità di un pensiero ridotto a manipolazione simbolica. La rinuncia alle postulazioni infinitarie, la scelta del finitismo, la scelta di operare in un orizzonte finito e computabile lasciano irrisolti i veri problemi della filosofia. Il Tractatus può essere interpretato come creazione di un mondo perfetto, cristallino, senza crepe, manipolabile, facilmente controllabile, anche se lascia intravvedere che all’interno del dicibile non sono proponibili tutti i problemi della filosofia, i problemi della vita. La scala deve essere gettata dopo che si è saliti per essa, andare oltre, tornare a domandare, a mettersi in questione, a sognare.
“ In questa situazione la crisi o l’oblio non è forse l’accidente ma è il destino della filosofia parlante che non può vivere se non imprigionando la follia ma che si estinguerebbe come pensiero e per una violenza ancora peggiore se una nuova parola non liberasse ad ogni istante l’antica follia, pur imprigionando in essa, nel suo presente, il folle del giorno. Solo grazie a questa oppressione sulla follia può dominare un pensiero finito, vale a dire una storia. Il regno di un pensiero finito non può fondarsi se non sopra l’imprigionamento, l’umiliazione, l’incatenamento e la derisione più o meno mascherata del folle in noi, di un folle che non può mai essere che il folle di un logos, come padre, come signore,
come re.” (6)
L’impero del logos si ripropone nella stabilità sistemica della lingua delineata nel dualismo saussuriano fra langue e parole; il linguaggio parla, esso parla, il soggetto è abitato dal linguaggio, il linguaggio parla affidando alla parole le possibilità di trasformazione, ancora una volta lo spazio della narrazione. In questo spazio viene rimessa in gioco la parola del folle, la possibilità del parlante di decostruire, le da-da, l’onomatopea, l’urlo. Che te lo dico a fare? I momenti fino a questo punto delineati nell’ambito della cultura si proiettano sul corpo sociale attraverso meccanismi di esclusione e di controllo che volta per volta producono il corpo suppliziato, il corpo del condannato, i corpi disciplinati, i corpi docili, i corpi impomatati. Seguendo Foucault si possono isolare alcune figure sociali che più delle altre sono state sottoposte a queste pratiche di controllo: il carcerato, il malato di mente, l’operaio, lo studente, il soldato. Se le prime due sono considerate vere e proprie anomalie all’interno di una determinata organizzazione sociale, più complesso si presenta il problema disciplinare rispetto alle altre figure che rappresentano la parte più vitale del corpo sociale. In questo modo il corpo diventa un terreno di investimento politico, i corpi servono se sono produttivi e disciplinati.(7) Le tecniche governamentali si definiscono come nuove forme del sapere creando un forte intreccio fra sapere e potere.
Specialmente nelle fabbriche, nelle scuole, nelle caserme bisogna definire spazi cellulari, ben compartimentati che siano funzionali all’ordine, alla disciplina, alla produzione.
“Le discipline organizzando le celle, i posti, i ranghi fabbricano spazi complessi: architettonici, funzionali e gerarchici nello stesso tempo. Sono spazi che assicurano la fissazione e permettono la circolazione; ritagliano segmenti individuali e stabiliscono legami operativi; segnano dei posti e indicano dei valori; garantiscono
l’ obbedienza degli individui, ma anche una migliore economia del tempo e dei gesti.”(8)
I settori precedentemente individuati sono organizzati secondo rigide gerarchie che ne garantiscono l’ordine e la stabilità. La sorveglianza gerarchica si estende all’intero tessuto sociale che assume l’aspetto di una macchina militare. Anche gli spazi vengono definiti in modo cellulare e segmentato perchè tutti possano essere controllati.
“Si ritrova nell’urbanistica, nella costruzione di città operaie, di ospedali, di ospizi, di prigioni di case d’educazione il modello del campo militare, o almeno il principio che lo sottende: l’incastrarsi spaziale della sorveglianza gerarchizzata.” (9)
Lo si ritrova nelle scuole e nelle università, luoghi istituiti per l’emancipazione che sono invece diventati luoghi di servilismo e di tortura. La nuova società non sopporta più questo regime carcerario, i continui sussulti che i movimenti di massa stanno provocando sul piano internazionale indicano che qualcosa deve cambiare. I giovani devono ribellarsi alle pratiche servili abusate nel reclutamento universitario, i dottorati di ricerca devono essere generalizzati per portare ad un livello più alto l’arco dei processi formativi. Le fabbriche di armi, le fabbriche di morte devono essere nazionalizzate e distrutte; bisogna scegliere fra una società che fabbrica strumenti di morte e una società fondata sulla cultura e i saperi, la società dei sapienti. Il terrorismo non può essere combattuto con le armi, ma con una profonda trasformazione dei rapporti fra Oriente e Occidente. La promessa messianica di un mondo nuovo deve essere realizzata. I giovani devono distruggere la situazione che si è venuta a creare e devono rifiutare i corpi docili, le pratiche di assoggettamento che in ogni settore il potere induce a formare.(10) Specialmente la scuola e le università sono diventate terreno di sperimentazione delle pratiche disciplinari. La specializzazione delle mansioni impedisce la possibilità di avviare momenti unitari di confronto e di discussione; la segmentazione e gerarchizzazione dei docenti istituisce meccanismi di sorveglianza che bloccano le possibilità eversive dei soggetti. Bisogna essere normali, nel pensiero, nei comportamenti, nel modo di vivere.
“Il normale si instaura come principio di coercizione nell’insegnamento con l’introduzione di una educazione standardizzata e con l’organizzazione delle scuole normali; si instaura nello sforzo di organizzare un corpo medico e un inquadramento ospedaliero nazionale, suscettibile di far funzionare norme generali di sanità; si instaura nella regolamentazione dei procedimenti e dei prodotti industriali.” (11)
Da questo stato di cose ha origine il Panopticon; essere scrutati, sorvegliati, censurati, giudicati, gettati nella disperata solitudine, vivere come randagi, nuovi clochards. Il potere che scruta, giudica, censura, decide se un soggetto è normale e docile, se va inserito nei ranghi oppure deve essere emarginato. Di qui l’effetto principale del Panipticon: “indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere.
La folla, massa compatta, luogo di molteplici scambi, individualità che si fondono, effetto collettivo, è abolita in favore di una collezione di individualità separate. Dal punto di vista del guardiano, essa viene sostituita da una molteplicità numerabile e controllabile; dal punto di vista dei detenuti da una solitudine sequestrata e scrutata.”(12)
La condizione del detenuto è simile a quella delle masse che conducono una vita normale; scuole, ospedali, città, case di cura, tribunali, uffici pubblici, luoghi di villeggiatura, lidi balneari non sfuggono a questa configurazione carceraria che i rapporti di potere hanno definito per i soggetti assoggettati. I parvenues, i nuovi ricchi tendono sempre più a isolarsi ed ergere barriere protettive contro possibili eversioni. Anche durante il Wto di Genova venne perimetrata la zona rossa, uno spazio pubblico sottratto alle masse, interdetto ai cittadini genovesi, vietato ai giovani convenuti da tutto il mondo.
“La nostra società non è quella dello spettacolo, ma della sorveglianza; sotto la superficie delle immagini si investono i corpi in profondità; dietro la grande astrazione dello scambio, si persegue l’addestramento minuzioso e concreto delle forze utili; i circuiti della comunicazione sono i supporti di un cumulo e di una centralizzazione del potere; la bella totalità dell’individuo non è amputata, repressa, alterata dal nostro ordine sociale, ma l’individuo vi è accuratamente fabbricato secondo tutta una tattica di forze. Noi siamo assai meno greci di quanto non crediamo. Noi non siamo né sulle gradinate né sulla scena, ma in una macchina panoptica, investiti dai suoi effetti di potere che noi stessi ritrasmettiamo perché ne siamo un ingranaggio.” (13)

1 J. Derrida, Cogito e storia della follia in La scrittura e la differenza, Torino 1971, p. 40
2 J. Derrida, Cogito e storia della follia in La scrittura e la differenza, Torino 1971, p. 41
3 “Ogni nostro linguaggio europeo, il linuaggio di tutto ciò che ha partecipato da vicino o da lontano all’avventura della ragione occidentale, è l’immensa delegazione del progetto che Foucault definisce sotto la specie della cattura o della oggettivazione della follia.” J. Derrida, Cogito e storia della follia in La scrittura e la differenza, Torino 1971, p. 45
4 J. Derrida, op. cit., pp. 70-71
5 J. Derrida, op. cit., p. 76
6 J. Derrida, op. cit., p. 77
7 “Il corpo è anche direttamente immerso in un campo politico: i rapporti di potere operano su di lui una presa immediata, l’investono, lo marchiano, lo costringono a certi lavori, l’obbligano a delle cerimonie, esigono da lui dei segni. Questo investimento politico del corpo è legato, secondo relazioni complesse e reciproche alla sua utilizzazione economica.” M. Foucault, Sorvegliare e punire, Torino 1976, p. 29
8 M.Foucault, op. cit., p. 161
9 M.Foucault, op. cit., p. 188
10 “ Addestrare dei corpi vigorosi, imperativo di salute; ottenere ufficiali competenti, imperativo di qualificazione; formare militari obbedienti, imperativo politico; prevenire la dissolutezza e l’omosessualità, imperativo di moralità. Quadruplice ragione per stabilire paratie stagne tra gli individui, ma anche apertura per una continua sorveglianza.”
M. Foucault, op. cit., p. 189
11 M. Foucault, op. cit., p. 201
12 M. Foucault, op. cit., p. 219
13 M. Foucault, op. cit., p. 236.

settembre - dicembre 2004